Il "ritiro" delle truppe USA dalI'Iraq

Il “ritiro” delle truppe USA dall’Iraq

Di guerra in guerra …….

 

Il 1° settembre 2010 è terminata l’”Operazione Libertà Iraq”, con la partenza (per il vicinissimo Kuwait) di 100.000 dei 150.000 soldati americani, dopo sette anni di occupazione e di guerra.

Si lasciano dietro altri 50.000 soldati e non si sa quanti “contrattisti”, nome più accettabile di “mercenari”. Le compagnie che lavorano in questo settore ringraziano: Halliburton (tra i cui soci c’era l’allora vice-presidente Dick Cheney, per fare solo un esempio) ha visto volare il valore delle sue azioni. D’altra parte bisognerà bene che qualcuno continui a garantire che i profitti del petrolio iracheno continuino a fluire verso le compagnie petrolifere straniere (compresa l’italiana ENI che si è assicurata i pozzi di Nassyria, oltre alle solite Exxon-Mobil,Royal Dutch Shell, British Petroleum ecc.).

 

Si lasciano dietro il saccheggio e la distruzione dei tesori archeologici iracheni.

Si lasciano dietro (finiti in chissà quali tasche) quasi 9.000 milioni di dollari del DFI (Fondo di Sviluppo per Iraq) - costruito nel 2003 dal proconsole Paul Bremer quando le forze USA “conquistarono” l’Iraq e smantellarono il suo governo e costituito dai fondi iracheni congelati negli USA e dalla vendita dei campi petroliferi nazionalizzati: in un rapporto pubblicato dagli uffici di Ricerca Speciale USA per la ricostruzione il 27 luglio scorso, si afferma che il Pentagono non può dar conto del 95% di questi fondi, la bella cifra di 8.700 milioni di dollari.

4.247 soldati statunitensi hanno perso la vita; 34.260 sono i feriti; 52.000 veterani ritornati a casa soffrono di sindrome da stress post traumatico; i suicidi sono all’ordine del giorno (circa 4, secondo lo stesso Pentagono).

Ai cittadini nordamericani la guerra è costata, secondo i calcoli dell’economista e premio Nobel Joseph Stiglitz , la fantastica cifra di 3 bilioni di dollari e altri 3 bilioni è costata ai cittadini degli altri paesi che hanno partecipato all’avventura.

 

E al popolo iracheno cosa lasciano le truppe “vittoriose”?

Una lunga lista di menzogne: dalle armi di distruzione di massa di Saddam, mai trovate in sette anni di occupazione, ai suoi vincoli con Al Qaeda, quando è ben dimostrato che il terrorismo è entrato in Iraq insieme alle truppe nordamericane. Del resto chi ha un po’ di memoria ricorda che Bin Laden e la sua organizzazione (allora si chiamavano “mujaiddin del popolo) sono stati pensati, organizzati e foraggiati dalla CIA nella guerra per cacciare l’Unione Sovietica dall’Afganistan. Menzogne riconosciute a mezza bocca persino da George W. Bush, ma che non hanno spostato di un millimetro la posizione degli altri paesi della NATO che partecipano anch’essi alla spartizione dei tesori iracheni.

Un milione di vedove, un milione e mezzo di “effetti collaterali” defunti, un tasso di mortalità infantile triplicato, un territorio avvelenato dall’uranio impoverito che colpirà, proprio come l’agente Orange in Vietnam, anche le generazioni future.

Un paese devastato, tornato alle condizioni di vita di 40 anni fa, con infrastrutture inesistenti (migliaia di medici uccisi, ospedali e scuole distrutti, acqua e energia elettrica a singhiozzo, ironia della sorte, proprio in uno dei paesi più ricchi di petrolio). Un governo corrotto in mano a gruppi “mafiosi” e un popolo diviso tra odi religiosi e etnici (tutti contro tutti, sciiti, sunniti, kurdi, cristiani), strategia già ben sperimentata anche in Jugoslavia e nell’altro teatro di guerra, l’Afganistan, dove ormai da anni USA e governo trattano – l’amministrazione statunitense l’ha ammesso apertamente - con i signori della guerra delle varie etnie e con i talebani “buoni”.

Il ricordo, incancellabile per gli iracheni e ben presto dimenticato dal resto del mondo, dell’orrore di Abu Ghraib commesso in nome dei “diritti umani” e della democrazia. Così come sarà ben presto dimenticata la pratica delle “renditions”, (i rapimenti mirati in altri paesi di persone ritenute “esponenti” terroristici) che, a seguito dell’appello del presidente premio Nobel per la Pace Obama, un tribunale USA ha appena dichiarato non isoggetti ad inchiesta né perseguibili per “ragioni di sicurezza nazionale” (vi sono coinvolti tutti o quasi i paesi dell’Europa occidentale, Italia compresa).

 

Ma torniamo ai 50.000 soldati e ai mercenari che restano. A far che? Ufficialmente ad “addestrare e consigliare” le nuove forze armate irachene, il cui comandante riconosce che non saranno in grado di difendere il paese autonomamente fino al 2020. In realtà serviranno da gigantesca guardia del corpo per gli uomini d’affari occidentali, oltre che da cani da guardia degli interessi economici in gioco visto che, tra resistenza e guerra civile “di bassa intensità”, tutte le previsioni sulla produzione e l’appropriazione dei profitti del petrolio hanno dovuto essere riviste al ribasso e si mantengono ai livelli del 2003-2005.

 

Quindi gli eserciti statunitensi (e alleati), una volta di più, militarmente sono stati sconfitti nonostante la loro sconfinata potenza. Dalla guerra di Corea, al Vietnam, fino all’Iraq e all’Afganistan oggi, dal punto di vista militare, gli USA sono – apparentemente – usciti con le ossa rotte da ogni guerra che hanno provocato.

Che si tratti di una strategia suicida o incomprensibile dipende da quali sono gli occhi che la guardano. Se si tratta di quelli dei soldati, cittadini americani o immigrati a cui si promette la cittadinanza, è certo una strategia suicida, lo provano le centinaia di migliaia di morti, feriti, disadattati che non riescono più a inserirsi nella loro società. Lo è altrettanto, anche se non è ancora chiaro a tutti, per i cittadini USA, le cui generazioni future pagheranno l’enorme deficit statale provocato dalle spese militari in continuo, pazzesco, crescendo. Lo è anche per noi europei, nel mezzo della più pesante crisi economica degli ultimi 50 anni, con il taglio di tutti i diritti conquistati negli ultimi quarant’anni.

 

Ma c’è chi ha vinto: il complesso militare-industriale nordamericano, che ha svecchiato tutto il suo arsenale di guerra, che ha sperimentato nuove armi (come la bomba “taglia-margherite” utilizzata in Arganistan, probabile prototipo di atomica di piccola portata da utilizzarsi in futuro per non contaminare troppo il territorio), che ha visto – unico settore – i propri utili in continua, spettacolare ascesa, mai in crisi. Hanno vinto le compagnie petrolifere, anche se non quanto speravano, perché oltre a rapinare con tranquillità le materie prime, non avranno costi aggiuntivi per la sicurezza, dato che questa sarà garantita (e pagata) direttamente dai governi (ossìa dai cittadini).

 

Il colonialismo si appropriava di interi territori, ma i costi, alla lunga, divenivano antieconomici. L’imperialismo si appropria direttamente delle materie prime senza dover preoccuparsi di quelle strutture e sovrastrutture necessarie ad uno stato per funzionare. Oggi è il petrolio, domani sarà l’acqua. Una volta messe le mani sulle loro risorse, se i popoli vedono distrutte tutte le speranze di un futuro e di una vita dignitosa non è problema del capitale.

 

Il prossimo a sperimentare questa strategia sembra essere il popolo iraniano, nel cui territorio si trovano enormi riserve di petrolio. Da anni vittima di operazioni “coperte” come la rivoluzione verde, i bombardamenti di siti industriali, gli embarghi, le minacce più o meno dirette, dal 9 settembre scorso anno una risoluzione dell’ONU permetterà a nordamericani e alleati di fermare e ispezionare le navi che vanno e vengono dall’Iran, che non ha diritto ad avere energia atomica, neppure per usi civili, nonostante che il vicino Israele possegga circa 300 testate atomiche, che l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) non ha mai potuto ispezionare.

Ultima provocazione in ordine di tempo: la mobilitazione internazionale per Sakineh, la donna iraniana minacciata di lapidazione. Qualcuno salterà sulla sedie leggendo questo, ma prima di cadere per terra sappia che: dal 2002 il governo iraniano ha decretato una moratoria per la pena della lapidazione; ci sono alcune proposte al parlamento iraniano perché la pena della lapidazione venga cancellata dai codici islamici; la lapidazione è invece usata attualmente sia in Arabia Saudita che in Kuwait ma, dato che questi sono paesi “democratici”, nessuno ne fa mai parola. Ora, è vero che la lapidazione fa orrore, ma altrettanto dovrebbero farci orrore i corpi straziati dalle bombe intelligenti o dai droni di donne, uomini e bambini. E soprattutto, purtroppo, il mondo è pieno di donne – e uomini – che ogni giorno non trovano altra soluzione ai loro problemi che uccidere i propri mariti, mogli, compagni, a torto o a ragione. Tutti i giorni, nessuno escluso, ne leggiamo episodi sui giornali e nessuno si sognerebbe mai di fare di questi assassini o presunti tali dei simboli da difendere. Ma già lo sappiamo, la morale ha un doppio binario, dipende a chi e a che cosa serve, che è il metro fondamentale di giudizio che dovremmo sempre usare, per non cadere ogni volta miseramente nella stessa trappola.

Da tempo Fidel Castro ammonisce il mondo sulle conseguenze di una provocazione verso l’Iran, che potrebbe scatenare la guerra atomica. E, per dirla con le parole di Albert Einstein (uno che se ne intendeva……) se “la Terza guerra mondiale si combatterà con le armi atomiche, la Quarta si combatterà con le clave”.

 

L’imperialismo quindi, per dirla in parole povere, ha tagliato i “costi improduttivi” del colonialismo. Quello USA lo sta facendo anche dal punto di vista militare, e in questa ottica prepara l’uscita da guerre ormai troppo costose, che hanno già raggiunto il loro obiettivo - la rapina - come quella dell’Iraq e prossimamente dell’Afganistan. Ha quindi studiato una strategia di intervento “leggero”, come sta attuando in America Latina, assicurandosi non più estesi territori e pesanti contingenti militari, ma basi militari e distaccamenti armati dispiegati ovunque nel mondo, che possano intervenire “rapidamente” e chirurgicamente dovunque (lo ha spiegato dettagliatamente proprio Hilary Clinton recentemente). Solo in Italia ci sono circa 300 tra basi e siti militari della NATO.

 

Lo spettro della guerra e dell’inverno nucleare veleggia sempre più anche sulle nostre teste e la Jugoslavia ha dimostrato che la guerra è faccenda anche europea, non solo di angoli remoti del mondo. Di guerra in guerra, la logica del profitto sta conducendo il pianeta alla distruzione. Quanto più è in crisi, tanto più si fa selvaggia e cieca. Ma non cadrà da sola, come già avvertiva Marx, ma solo per l’azione cosciente del proletariato, degli sfruttati e degli oppressi.

Altra strada non c’è, se non la scomparsa degli esseri umani tutti.

 

 

Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto San Giovanni, mail: cip.mi@tiscali.it    

 

                

Web                                                                  http://ciptagarelli.jimdo.com/

 

 

Pubblicato su “nuova unità” n. 6/2010, settembre

 

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Commenti: 1
  • #1

    wlp (giovedì, 25 giugno 2015 12:44)

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