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La Palestina, le Nazioni Unite e l’illegalità internazionale

di Ernesto Gòmez Abascal (*), da: rebelion.org, 28.6.2011

 

E’ poco probabile che si ottenga il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma il fatto di renderlo pubblico da parte del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas ha almeno il merito di mettere in evidenza, una volta di più, l’illegalità internazionale vigente.

 

Credo che ci troviamo davanti alla peggiore delle Organizzazioni delle Nazioni Unite di tutti i tempi e forse davanti al peggior Segretario Generale, e bisogna dire che ce ne sono stati di cattivi.

Oserei dire anche che questi è il più impegnato con il governo degli Stati Uniti. E’ vero che questo è un riflesso del carattere antidemocratico delle norme che reggono questa organizzazione internazionale e della correlazione internazionale di forze esistente, molto sfavorevole per gli interessi dei popoli, specialmente per i paesi che compongono l’ancora chiamato Terzo Mondo, dopo la sparizione dell’Unione Sovietica e del Campo Socialista, che almeno assicuravano un certo equilibrio in questa correlazione.

Se non esistessero sufficienti antecedenti della violazione, da parte della stessa Organizzazione, degli obiettivi di base per cui fu creata – “Garantire la Pace e la Sicurezza Internazionali” – quello che sta succedendo attualmente in Libia sarebbe più che sufficiente per metterla in discussione. Là, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sta venendo utilizzata dalla NATO, con l’ipocrita pretesto di proteggere la popolazione civile, per massacrarla, occupare il paese e convertirlo in una colonia al servizio dei suoi interessi. Il colmo dell’illegalità!

 

La cosiddetta “questione palestinese” è stata probabilmente il tema che ha ricevuto più attenzione dalla creazione dell’ONU. Esistono ragioni in abbondanza perché la Palestina faccia parte delle Nazioni Unite e sia riconosciuta come Stato indipendente. La Risoluzione 181 dell’Assemblea generale, che nel novembre 1947 divise la Palestina storica in due stati, fissava la creazione di uno stato arabo, la Palestina, e di un altro ebreo, Israele. Anche se la Risoluzione fu approvata a maggioranza (1), il delegato di Cuba, che votò contro la spartizione, la denunciò come illegale, perché si stava decidendo il destino di un territorio abitato da un popolo che nessuno aveva consultato: “ … si sta disponendo della sorte di una nazione, privandola del suo suolo nazionale, del suolo che ha posseduto per molti secoli, senza che la si sia consultata per conoscere la sua opinione.”. Ma, in ogni caso, questa risoluzione è rimasta come antecedente, con piena validità, di un pronunciamento dell’ONU che instaurava lo Stato palestinese.

 

I sionisti proclamarono il loro Stato indipendente il 14 maggio 1948, un anno prima che spirasse il mandato britannico, quando già occupavano – mediante azioni terroristiche – molto più territorio di quello assegnatogli dalla Risoluzione 181. I palestinesi non riuscirono a creare il loro come reazione all’ingiustizia di cui erano stati oggetto. Israele sarebbe stato ammesso come membro dell’ONU nel maggio 1949, mediante la risoluzione 273, che in uno dei suoi paragrafi dice: “L’Assemblea Generale decide che Israele è uno Stato amante della pace che accetta le obbligazioni stabilite nella Carta, è qualificato a compiere tali obbligazioni ed è disposto a farlo”.

Israele - l’unico Stato creato attraverso una risoluzione dell’ONU - contrariamente a quanto disposto nell’articolo precedente, si è convertito nello Stato che più ha violato le sue risoluzioni e disposizioni, ha occupato - e continua a farlo – la maggior parte del territorio corrispondente allo Stato palestinese e rifiuta con tutti i mezzi la possibilità che questo popolo costituisca il proprio Stato indipendente. Con la forza occupa anche territori di altri due stati: Libano e Siria. Israele ha rifiutato, finora, di definire le sue frontiere. In circa una trentina di occasioni gli Stati Uniti, mediante l’esercizio del veto, hanno dovuto proteggerlo dall’essere sanzionato o condannato dal Consiglio di Sicurezza. L’opinione pubblica internazionale lo ha accusato reiteratamente di praticare il terrorismo di stato.

 

La Lega Araba, l’Unione Africana e il Movimento dei Paesi Non Allineati hanno fatto dichiarazioni appoggiando la giusta aspirazione palestinese ad entrare come Stato membro nell’ONU ed è molto probabile che riesca a raggiungere il necessario appoggio dei due terzi dell’Assemblea Generale (128 su 192), se questo verrà messo in votazione nel settembre prossimo.

Tuttavia il procedimento stabilito nella Carta delle Nazioni Unite esige la preventiva approvazione del Consiglio di Sicurezza, dove già gli Stati Uniti hanno annunciato che metteranno il veto. E’ assai probabile che, come già succede, i membri dell’Unione Europea si pieghino e agiscano in accordo alla posizione statunitense.

 

Davanti a questo, bisogna dire che i palestinesi hanno la possibilità di appellarsi alla votazione di una risoluzione nell’Assemblea Generale, per mezzo di un precedente stabilito da una formula chiamata “Unione per la Pace” che potrebbe dar loro un riconoscimento come Stato, anche se non un seggio come membro in piena regola dell’Organismo.

Fino ad ora, sembra che i dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese persistano su questa via, anche se il Dipartimento di Stato degli USA ha già minacciato di cancellare anche il suo appoggio economico se succederà questo. Anche Israele formula minacce di ogni tipo e si muove intensamente in campo diplomatico per cercare di sottrarre appoggi alle intenzioni dell’Autorità Nazionale Palestinese

 

Ai Palestinesi resta l’alternativa di cominciare una nuova Intifada, o “sollevazione degli indignati”, come ora la si chiama, mobilitando i quasi cinque milioni che compongono la popolazione di Gaza, della Cisgiordania e dello stesso territorio israeliano. Questi, appoggiati da mobilitazioni dei milioni che vivono come rifugiati nei paesi limitrofi a Israele – Giordania, Egitto, Libano e Siria – potrebbero costituire un formidabile elemento di pressione su Israele e sulla comunità internazionale, molto più importante di una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU.

 

Per portare avanti con successo questo movimento, i suoi dirigenti devono finire per convincersi che l’unità palestinese è essenziale e viene prima di impegni e interessi personali e settari.

 

(*) Giornalista e scrittore cubano. E’ stato ambasciatore in vari paesi del Medio Oriente.

(1) Dei 57 membri che allora facevano parte delle Nazioni Unite, 33 votarono a favore, 13 votarono contro e 10 si astennero.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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