MASSACRO IN NORVEGIA

Riflessioni politiche sulla tragedia norvegese

di Aslak Sira Myhre, da: kaosenlared.net, 25.7.2011 

 

Come qualsiasi altro cittadino norvegese di Oslo, ho vagato per le strade e per gli edifici attaccati. Ho anche visitato l’isola in cui sono stati massacrati i giovani attivisti politici. Condivido il sentimento di paura e di dolore del mio paese. Ma il problema continua ad essere il perché: questa violenza non è stata cieca.

Il terrore, in Norvegia, non è venuto da estremisti islamici. Neppure dall’estrema sinistra, per quanto entrambi siano stati accusati più volte di costituire una minaccia interna per il “nostro modo di vita”. Finora, comprese le terribili ore del pomeriggio del 22 luglio, il poco terrorismo che il mio paese ha conosciuto è venuto sempre dall’estrema destra.

Per decenni la violenza politica in questo paese è stata privilegio esclusivo dei neonazisti e di altri gruppi razzisti. Negli anni ’70 attentarono con esplosivi librerie di sinistra e una manifestazione del Primo Maggio. Negli anni ’80,due neonazisti furono uccisi a causa del sospetto di aver tradito il loro gruppuscolo. Negli ultimi due decenni, due giovani norvegesi non-bianchi morirono a causa di attacchi razzisti. Nessun gruppo straniero ha ucciso o ferito persone in territorio norvegese, fatta eccezione per il servizio segreto di Israele, il Mossad, che uccise per errore un innocente a Lillehammer nel 1073.

 

Tuttavia, e nonostante questi antecedenti, quando ora ci ha colpito questo terrorismo devastante, i sospetti sono immediatamente caduti sul mondo islamico. Sono stati gli jihaidisti. Devono essere stati loro.

Senza por tempo in mezzo si è denunciato un attacco alla Norvegia, al nostro sistema di vita.

Non appena si venne a sapere la notizia, molte ragazze vestite con l’hijab e di aspetto arabo sono state minacciate nelle strade di Oslo. Naturale. Da almeno 10 anni ci raccontano che il terrore viene dall’Est. Che un arabo è in quanto tale, sospetto; che tutti i mussulmani sono segnati. Regolarmente vediamo come la sicurezza aeroportuale esamina la gente di colore in stanze apposite; ci sono dibattiti infiniti sui limiti della “nostra” tolleranza. Nella misura in cui il mondo islamico è diventato “l’Altro”, abbiamo cominciato a pensare che ciò che distingue “loro” da “noi” è la capacità di uccidere civile a sangue freddo. C’è, bisogna dirlo, un’altra ragione perché tutto il mondo dipenda da Al-Qaeda. La Norvegia ha preso parte, da dieci anni, alla Guerra in Afganistan; per qualche tempo siamo intervenuti anche nella guerra all’Iraq e ora tiriamo bombe su Tripoli.

Quando partecipi per tanto tempo a guerre in terra straniera, può arrivare il momento in cui la guerra ti fa visita a domicilio. E, anche se tutti lo sapevamo, la guerra è stata appena accennata quando abbiamo siamo stati colpiti dall’attacco terrorista. La nostra prima risposta aveva radici nell’irrazionalità: dovevano essere “loro”.

Io avevo paura che la guerra che stiamo combattendo all’estero potesse arrivare in Norvegia. E allora, che sarebbe successo? Che sarebbe accaduto alla nostra società? Alla nostra tolleranza, al nostro dibattito pubblico, ai nostri immigranti e ai loro figli nati in Norvegia?

Ma non è stato così. Una volta di più, il cuore delle tenebre si annida nel più profondo di noi stessi. Il terrorista era un giovane nordico bianco. Non un mussulmano, ma un islamofobo.

Non appena questa è stato chiaro, si è cominciato a discutere della carneficina come dell’opera di un pazzo; si è smesso di vederla come un attacco alla nostra società. La retorica è cambiata; i titoli dei giornali hanno spostato la mira. Nessuno parla più di guerra. Si parla di un “terrorista”, al singolare, non al plurale: un individuo particolare, non un gruppo indefinito facilmente generalizzabile per includervi simpatizzanti o chiunque abbia una fantasia arbitraria. L’atto terribile è ora ufficialmente una tragedia nazionale.

La questione è: sarebbe successo lo stesso se l’autore fosse stato sì un pazzo, ma di origine islamica?

 

Anch’io sono convinto che l’assassino è pazzo. Per dare la caccia e uccidere degli adolescenti in un’isola per un’ora intera, bisogna aver perso la trebisonda. Ma, proprio come nel caso dell’11 settembre o di quello delle bombe nel metro di Londra, si tratta di una pazzia con una causa, una causa tanto clinica quanto politica.

Chiunque abbia dato un’occhiata alle pagine Web dei gruppi razzista, o seguito i dibattiti on line dei giornali norvegesi, si sarà reso conto della furia con cui si diffonde l’islamofobia; dell’odio velenoso con cui scrittori anonimi sputano contro i “pidocchi-progre” antirazzisti e contro tutta la sinistra politica. Il terrorista del 22 luglio partecipava a questi dibattiti. E’ stato membro attivo di uno dei grandi partiti politici norvegesi, il partito populista di destra Partito del Progresso norvegese. Lo ha abbandonato nel 2006 e ha cercato la sua ideologia nella comunità dei gruppi anti islamici di Internet.

Finchè il mondo ha creduto che questo fosse opera del terrorismo islamico, tutti gli uomini di Stato – da Obama a Cameron – ha detto di essere al fianco della Norvegia nella nostra lotta contro il terrorismo. E adesso, in cosa consiste la lotta? Tutti i dirigenti occidentali hanno lo stesso problema all’interno delle loro frontiere. Scateneranno una guerra contro il crescente estremismo di destra, contro l’islamofobia e il razzismo?

 

Alcune ore dopo lo scoppio della bomba, il primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg, ha detto che la nostra risposta all’attacco dovrebbe essere più democrazia e più apertura. Se lo si paragona con la risposta di Bush agli attacchi dell’11 settembre, ci sono ragioni per sentirsi orgogliosi.

Ma dopo la più terribile esperienza che la Norvegia abbia conosciuto dopo la fine della II Guerra Mondiale, a me piacerebbe andare più lontano.

E’ necessario partire d questo tragico incidente per lanciare l’offensiva contro lì intolleranza, il razzismo e l’odio, crescenti non solo in Norvegia, non solo in Scandinavia, ma in tutta Europa.

 

(*) Scrittore norvegese, direttore della Casa della Letteratura di Oslo ed ex dirigente dell’Alleanza Elettorale Rossa norvegese. 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

Scrivi commento

Commenti: 0

News