HAITI' PAESE OCCUPATO E DIMENTICATO.

Haitì, paese occupato

di Eduardo Galeano (*); da: pagina12.com.ar; 28.9.2011

 

Consulti qualsiasi enciclopedia. Chieda quale è stato il primo paese libero in America. Riceverà sempre la stessa risposta: gli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti dichiararono la loro indipendenza quando erano una nazione con seicentocinquantamila schiavi, che continuarono ad essere schiavi per un secolo, e nella loro prima Costituzione stabilirono che un nero valeva i tre quinti di una persona.

E se lei chiede a qualsiasi enciclopedia quale fu il primo paese che abolì la schiavitù, ricevererà sempre la stessa risposta: l’Inghilterra.

Ma il primo paese che abolì la schiavitù non fu l’Inghilterra ma Haitì, che sta ancora espiando il peccato della sua dignità.

Gli schiavi neri di Haitì avevano sconfitto il glorioso esercito di Napoleone Bonaparte e l’Europa non perdonò mai quell’umiliazione. Haitì pagò alla Francia, per un secolo e mezzo, un indennizzo gigantesco, per essere colpevole della propria libertà, ma neanche quello è bastato. Quell’insolenza nera continua a far male ai bianchi padroni del mondo.

 

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Di tutto questo, sappiamo poco o nulla.

Haitì è un paese invisibile.

Ha avuto un attimo di fama quando il terremoto dell’anno 2010 uccise più di duecentomila haitiani.

La tragedia ha fatto sì che il paese occupasse, fugacemente, la prima pagina dei mezzi di comunicazione.

Haitì non è conosciuta per il talento dei suoi artisti, maghi dei rifiuti capaci di trasformare la spazzatura in bellezza, né per le sue azioni eroiche nella guerra contro la schiavitù e l’oppressione coloniale.

Vale la pena ripeterlo un’altra volta, perché i sordi ascoltino: Haitì è stata il paese fondatore dell’indipendenza dell’America e il primo a sconfiggere la schiavitù nel mondo.

Marita molto di più che la notorietà nata dalle sue disgrazie.

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Attualmente, gli eserciti di vari paesi, compreso il mio, continuano ad occupare Haitì. Come si giustifica questa invasione militare? Ma.. sostenendo che Haitì mette in pericolo la sicurezza internazionale!

Niente di nuovo.

Per tutto il secolo diciannovesimo, l’esempio di Haitì ha costituito una minaccia per la sicurezza dei paesi che continuavano a praticare la schiavitù. Lo aveva già detto Thomas Jefferson: da Haitì veniva la peste della ribellione. Nella Carolina del Sud, ad esempio, la legge permetteva di incarcerare qualsiasi marinaio nero, mentre la sua nave era in porto, per il rischio che potesse portare il contagio della peste antischiavista. E in Brasile questa peste si chiamava haitianismo.

Già nel secolo Ventesimo Haitì fu invasa dai marines, perché era un paese insicuro per i suoi creditori stranieri. Gli invasori cominciarono impadronendosi delle dogane e consegnarono la Banca Nazionale alla City Bank di New York. E già che c’erano, rimasero per diciannove anni.

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L’incrocio della frontiera tra la Repubblica Dominicana e Haitì si chiama Il passo cattivo.

Forse il nome è un segnale di allarme: lei sta entrando nel mondo negro, la magia nera, la stregoneria…

Il vudù, la religione che gli schiavi portarono dall’Africa e che fu nazionalizzata ad Haitì non merita di chiamarsi religione. Dal punto di vista dei proprietari della Civiltà, il vudù è una cosa da neri, è ignoranza, arretratezza, pura superstizione. La Chiesa Cattolica, dove non mancano fedeli capaci di vendere unghie di santi e piume dell’arcangelo Gabriele, riuscì a far proibire ufficialmente questa superstizione nel 1845, nel 1860, nel 1915 e nel 1942, senza che il popolo se ne accorgesse.

Ma, ormai da qualche anno, sono le sette evangeliche che si incaricano della guerra contro la superstizione ad Haitì. Queste sette vengono dagli Stati Uniti, un paese che non ha il 13° piano nei suoi edifici, né la fila 13 sui suoi aerei, abitato da civilizzati cristiani che credono che Dio abbia creato il mondo in una settimana.

In quel paese, il predicatore evangelico Pat Robertson ha spiegato alla televisione il terremoto dell’anno 2010.

Questo pastore di anime ha rivelato che i neri haitiani conquistarono l’indipendenza dalla Francia con una cerimonia vudù, invocando l’aiuto del Diavolo dal profondo della selva haitiana. Il Diavolo, che diede loro la libertà, mandò il terremoto per fargli pagare il conto.

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Fino a quando i soldati stranieri resteranno ad Haitì? Erano arrivati per stabilizzare ed aiutare, ma sono sette anni che stanno ostacolando e destabilizzando questo paese che non li vuole.

L’occupazione militare di Haitì sta costando alle Nazioni Unite più di ottocento milioni di dollari all’anno.

Se le Nazioni Unite destinassero questi fondi ala cooperazione tecnica e alla solidarietà sociale, Haitì potrebbe ricevere un buon impulso allo sviluppo della sua energia creatrice. E così si salverebbe dai suoi salvatori armati, che hanno una certa tendenza a violentare, uccidere e regalare malattie fatali.

Haitì non ha bisogno che nessuno venga a moltiplicare le sue calamità. E non ha neanche bisogno della carità di nessuno. Come dice bene un antico proverbio africano, la mano che dà sta sempre al di sopra della mano che riceve.

Ma Haitì ha sì bisogno di solidarietà, di medici, di scuole, di ospedali e di una collaborazione vera che renda possibile il rinascimento della sua sovranità alimentare, assassinata dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e da altre società filantropiche.

Per noi, latinoamericani, questa solidarietà è un dovere di gratitudine: sarà il modo migliore di dire grazie a questa piccola nazione che nel 1804 ci aprì, con il suo esempio contagioso, le porte della libertà.

 

(Questo articolo è dedicato a Guillermo Chifflet, che è stato obbligato a rinunciare al suo seggio alla Camera dei Deputati dell’Uruguay quando ha votato contro l’invio dei soldati ad Haitì).

 

Questo testo è stato letto ieri dallo scrittore uruguaiano alla Biblioteca Nazionale, nel quadro dell’incontro-dibattito “Haitì e la risposta latinoamericana).

 

 

(*) Scrittore, saggista e poeta uruguaiano, autore, tra gli altri libri, di “Le vene aperte dell’America Latina”.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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