CRISI E LOTTA DI CLASSE

Nel laboratorio segreto della produzione borghese

di Alejandro Nadal (*) da: jornada.unam.mx: 22.2.2012

 

Si è scritto molto sulla natura della crisi globale. Gli economisti eterodossi e post-keynesiani hanno dato importanti contributi. Ma sembra che qualcosa di fondamentale gli resti sempre nella penna.

Le prospettive di ottica marxista sulle origini e sull’evoluzione della crisi sono la chiave per colmare queste lacune e completare la nostra comprensione sulla natura della crisi.

Le messe a fuoco di Marx sulle crisi del capitale si trovano disseminate in molti lavori (tra cui il Contributo alla critica dell’economia politica, i Grundrisse e, naturalmente, Il Capitale e le Teorie sul plusvalore). Ma in tutti c’è un filo conduttore: la crisi non è una patologia del capitale, è il risultato delle contraddizioni che lo definiscono come modo di produzione storicamente determinato. La crisi è intimamente legata alla lotta di classe.

Il disastro nel settore delle ipoteche-spazzatura negli Stati Uniti è solo un anello in una catena piena di fatti che parte negli anni Settanta con la caduta del tasso di profitto negli USA e in Europa. Questo fenomeno è stato rilevato e studiato da molti autori, tra i quali Gérard Duménil y Dominique Lévy, Michel Husson, Anwar Shaikh, Fred Moseley, James Crotty e Robert Brenner. Uno studio econometrico interessante è quello di Basu e Manolakos (scholarworks.umass.edu).

Le cause di questa caduta del saggio di profitto sono oggetto di un accalorato dibattito. La lotta di classe è presente in tutte le interpretazioni. Alcuni autori preferiscono l’interpretazione in termini di un incremento della composizione organica del capitale (maggiore meccanizzazione per aumentare la produttività), mentre altri propendono per gli aumenti di salario o per la relazione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo.

 

A fronte della riduzione dei profitti, la classe capitalista reagisce con grande forza e cerca in tutti i modi di ridurre il salario reale. In questo processo si scatena una grande offensiva contro i sindacati, a partire dal 1971/73. Più tardi si cerca di integrare questo primo passo con la contrattazione a termine, la segmentazione del processo produttivo, fino a portare gli impianti produttivi in paesi a basso costo di manodopera (eufemismo che significa salari da miseria).

 

La classe dei capitalisti ha avuto un grande successo nella sua offensiva. Il salario reale si è abbassato dagli anni Settanta e la classe operaia ha dovuto compensare questa perdita con un maggiore indebitamento. Per dirlo in altro modo, il salario smise di esser importante e l’indebitamento lo sostituì come principale referente per la riproduzione della forza lavoro.

La misura del trionfo del capitale sta nella grandezza della crisi globale che oggi affonda le economie capitaliste.

 

La riduzione dei profitti degli anni Settanta generò incentivi per la speculazione nel settore finanziario. Per il capitale, la produzione è un male necessario; il suo sogno è passare direttamente al profitto, senza dover contrattare lavoratori e comprare mezzi di produzione. Per questo, secondo Marx, tutte le nazioni capitaliste sono periodicamente preda di un desiderio febbrile di produrre profitti senza passare dalla produzione. Ma mancavano le strade per realizzare questo desiderio.

Il collasso del sistema di Bretton Woods (le parità fisse) aumentò il rischio cambiario per i capitalisti, ma aprì anche un enorme campo di azione per la speculazione sul mercato delle divise. La liberalizzazione finanziaria avrebbe permesso di approfittare in piano di questo terreno. Una conseguenza diretta di questa combinazione è il sorgere del mostro finanziario, che oggi domina non solo la politica macroeconomica ma che mette in ginocchio interi Stati.

 

L’interpretazione marxista della crisi tesse un illuminante racconto che va dalla lotta di classe all’interno del laboratorio segreto della produzione borghese (formula di Marx nell’iniziare la sua analisi del processo di produzione capitalistico) fino alla circolazione generale e all’espansione del settore finanziario, passando per l’evoluzione del tasso di profitto e dell’investimento. Questa analisi integra anche il ruolo dello Stato e della spesa pubblica nella riproduzione del ciclo del capitale.

Si capisce così la natura suicida delle politiche di austerità che oggi vengono imposte a beneficio del capitale finanziario.

I problemi teorici che l’analisi marxista ha affrontato, in particolare per quello che si riferisce al problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione, non ci deve impedire di ricorrere alla ricca prospettiva analitica marxista per comprendere la natura della crisi attuale.

 

Il capitale ha le sue interpretazioni sulle sue crisi e sui suoi cicli. Queste sono destinate a facilitarne l’intervento sul terreno della politica economica.

La prospettiva dal punto di vista dell’analisi marxista ha un obiettivo diverso: rivelare alla classe lavoratrice le forze con cui si può rimuovere e sostituire il capitale.

 

(*) Laureato in Economia all’Università di Parigi, A.N. è attualmente professore e ricercatore del Centro di Studi Economici dell’Università di Città del Messico.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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