ISRAELE CONTINUA A MASSACRARE I PALESTINESI

A Gaza stiamo bene; e voi?

di Magid Shihade (*); da: rebelion.org; 19.11.2012

 

Per celebrare l’85° anniversario del Partito Comunista di Siria e Libano, il cantante e scrittore palestinese Jaled El-Hidr cantava queste parole:

 

A Gaza stiamo bene, e voi?

Stiamo bene, sotto attacco

E voi?

I nostri martiri giacciono sotto le macerie

I nostri bimbi vivono ora sotto le tende

E chiedono di voi.

A Gaza stiamo bene;

e voi?

.........

Il mare è dietro di noi

Ma lottiamo

Il nemico è di fronte a noi

Ma continuiamo a lottare.

Abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno:

Cibo e armi

Promesse di pace.

Vi ringraziamo del vostro appoggio!

A Gaza stiamo bene;

e voi?

Le nostre anime

Le nostre ferite

Le nostre case

I nostri cieli

I nostri volti

Il nostro sangue

I nostri occhi

Le nostre bare

Ci proteggano dalle vostre armi

Dalle vostre promesse

Dalle vostre parole

Dalle vostre spade

…………..

A Gaza stiamo bene;

e voi?

 

In quella che sembra una costante ripetizione del passato, non è facile per le parole descrivere la sadica politica israeliana (con l’appoggio dell’Occidente), sempre dedita alla caccia ai palestinesi, a perseguitare e angustiare continuamente i nativi, a utilizzarli come laboratorio per le armi, come laboratorio per i giochi elettorali di Israele: quanti più palestinesi ucciderai, tanti più voti guadagnerai nelle prossime elezioni.

 

Dopo una sollevazione su grande scala in Giordania che ha avuto luogo alcune ore prima dell’attuale invasione israeliana, in cui per la prima volta i giordani chiedevano un cambio di regime e non solo riforme cosmetiche dei governi, ci si può domandare perché Israele non dovrebbe preoccuparsi per il suo leale vicino: il re di Giordania. Oppure anche questo fa parte del calcolo israeliano in questa invasione, attirare l’attenzione pubblica sulla Palestina e permettere che il brutale regime giordano reprima la sollevazione?

 

Il defunto Fayez Sayegh, nel suo libro pubblicato nel 1965 “Zionist colonization of Palestine” analizzava la natura violenta dello Stato colonialista israeliano, gonfio di ideologia sionista, come un progetto per eliminare con tutti i mezzi possibili la popolazione nativa attraverso il trasferimento forzato, la segregazione e le guerre continue contro quella popolazione e coloro che la attorniano.

Per conquista esso ebbe origine e attraverso la forza e la guerra deve continuare; da qui il pericolo che questo Stato militarizzato rappresenta per i nativi palestinesi e per gli arabi che vivono attorno a loro.

 

Proseguiva Sayegh: E’ uno Stato che percepisce se stesso come il fronte dell’Occidente contro l’Oriente; per questo ottenne allora l’appoggio occidentale e continua ad averlo ora. Sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti hanno riaffermato il loro appoggio all’attuale invasione israeliana, proclamando che Israele ha diritto di difendersi. Da che cosa? Da un popolo che è il laboratorio delle politiche razziste israeliane ed un laboratorio dell’armamento israeliano finanziato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea? Da un popolo che cerca solo di vivere con dignità, di muoversi liberamente e di portare avanti una vita normale lavorando, creando, divertendosi e sognando?

 

Nell’analisi di Sayegh, Israele non è solo il fronte dell’Occidente contro l’Oriente, ma è anche un pugnale nel territorio che unisce Africa e Asia, e continua ad esserlo anche in questo stesso giorno come potere egemonico in entrambi i continenti. Le sue mani arrivano fino al Sudan, all’Etiopia e ad altri luoghi nella vendita di armi all’Africa per sostenere qualsiasi regime che possa contribuire all’egemonia israeliana, e lo stesso fa in Asia.

Le armi sono il principale prodotto del commercio israeliano, un prodotto naturale proprio di uno stato militarizzato; ma le armi portano solo ad una cosa: guerra e violenza; da qui l’esportazione di guerre e violenza e dei loro effetti, al di là della Palestina.

 

In passato gli asiatici e gli africani non sono mai stati consultati sulla colonizzazione e sulle invasioni europee, e neppure vengono consultati oggi alle Nazioni Unite sulle questioni riguardanti le loro regioni, che sono così importanti per il loro futuro. Le decisioni sono sempre state, e continuano ad esserlo per la maggior parte, un privilegio dell’Occidente, soprattutto per quel che riguarda la guerra e la violenza.

Se succede che parli un linguaggio diverso, che fai piani autonomamente, se decidi per te stesso e in virtù delle opinioni del tuo popolo, particolarmente per quello che si riferisce alle questioni centrali del “consenso” Washington/Occidente, cadrai in disgrazia, diventerai persona non grata, un terrorista.

Non cercano altro che l’acquiescenza, la dignità non la rispettano mai.

 

Nel suo film “I fantasmi di Goya”, uscita nel 2006; il regista ceco Milos Forman ci ricorda l’infinito regime di inquisizione sotto cui viviamo, che ci colpisce tutti ma che schiaccia soprattutto i deboli.

In una scena che quasi descrive molte delle avventure occidentali nel Terzo Mondo il Re, Carlo IV, riunisce i suoi armati, sceglie una zona per la caccia ed egli e i suoi più vicini vassalli circondano la zona scelta e cominciano a sparare contro gli uccelli; dopodiché i suoi soldati/servitori raccolgono gli uccelli cacciati e tornano in città esibendoli alla moltitudine, che sembra ammirare l’attitudine aggressiva del re e la forma con cui ha organizzato la caccia. Quando il Re torna a palazzo, il pittore Francisco Goya sta per terminare il ritratto della sua sposa, la Regina Maria Luisa. Una volta finito, nel guardare il ritratto la Regina   scoppia in una collera furiosa e il Re si affianca a Goya per dirgli che ha dipinto un ritratto brutto. Così lo castiga obbligandolo ad ascoltarlo suonare il violino e trasformare in penose litanie le grandi opere di Beethoven. Quello che il re vuole insegnargli è che il brutto ritratto non è un riflesso fedele della regina ma la mancanza di abilità del pittore.

 

I due esempi illustrano bene molte delle politiche e pratiche occidentali contro i popoli del Terzo Mondo, che considerano un luogo e una riserva di caccia dove esibire la loro mascolinità, ammirata da molti e che serve ad illustrare una gran parte delle guerre sadiche, l’ultima delle quali è quella attuale di Israele contro Gaza in Palestina.

Il rifiuto di accettare il prodotto dell’opera del pittore quale abile riflesso e riflessione della realtà che egli vede, è anche la negazione a guardarsi da vicino nello specchio rischiando l’orrore di contemplare la propria realtà. Questo implica anche un rifiuto a fermarsi a considerare come gli altri vedono la realtà, perché questa realtà è la negazione della natura e delle funzioni di macchina bellica e delle dinamiche di dominazione che servono a strutturare la mentalità di coloro che occupano il potere in Occidente, in primo luogo nel momento di dirigersi ai propri popoli e, poi, a tutti gli altri del Terzo Mondo.

Non è facile che coloro che detengono il potere rinuncino a questa dominazione e a queste pratiche sadiche. Per lo meno è difficile che vi rinuncino con il ragionamento, anche se non è male ricordare loro che chi semina vento raccoglie tempesta, e che tutto ciò che sale finisce per cadere.

 

Dall’altra parte non dobbiamo sottovalutare il potere del popolo, e la canzone che iniziava questo articolo è illustrativa dell’enorme potenziale di un popolo che continua a difendere la propria vita e a lottare:

 

A Gaza stiamo bene,

In Palestina stiamo bene,

E voi?

 

(*) Scrittore, giornalista e professore dell’Istituto Abu-Lughod dell’Università di Birzeid, Palestina.

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni, MI)

 

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