LE BUGIE IMPERIALISTE SULLA SIRIA

Il dilemma siriano

di Juan Gelman (*)

La Casa Bianca oscilla tra il trasformare la Siria in un’altra Libia o continuare la sua guerra “coperta” attraverso ogni tipo di aiuto che dà ai ribelli per finirla con il regime presieduto da Bashar al-Assad.

La settimana scorsa il capo del Pentagono, Leon Panetta, e altri funzionari e diplomatici del governo Obama hanno avvertito che Assad si apprestava ad usare armi chimiche in quella che è ormai una guerra civile, il che giustificherebbe la prima opzione (//worldnews.nbcnews.com, 5-12-12). Ma martedì scorso Panetta ha abbassato i toni: ha suggerito che questo pericolo era diminuito, segnale – forse – che Washington continuerà solo a sostenere l’opposizione. Per ora.

La Siria nega di possedere armi chimiche. Se così fosse si sta ricorrendo allo stesso argomento che servì per invadere l’Iraq e scoprire – alla fine – che Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa, come proclamava ogni minuto George W. Bush. In ogni modo gli USA e alcuni alleati della NATO hanno assunto specialisti della guerra chimica per addestrare i combattenti dell’Esercito Siriano Libero a mettere in sicurezza e gestire gli arsenali di tali armi. Questo addestramento ha luogo in Giordania, Turchia e nella stessa Siria (//securityblogs.cnn.com, 9-12-12).

Questo porrebbe un altro problema, se Assad avesse davvero queste armi: che esse cadano in mano ad una opposizione in cui gli jihaidisti e gruppi affini ad Al Qaeda guadagnano posizioni. Il New York Times in ottobre ha segnalato un fatto preoccupante: “La maggior parte delle armi inviate per conto dell’Arabia Ssaudita e del Qatar per rifornire i ribelli siriani che combattono contro il governo di Bashar al-Assad finiscono nelle mani degli jihaidisti islamici radicali”. Nonostante ciò gli USA continuano a coordinare gli invii.

 

Un gruppo di membri della CIA che opera nel sud della Turchia decide a quale delle numerose fazioni dei ribelli debbano andare i fucili automatici, i lanciagranate o i cannoni anticarro che anche Ankara finanzia (www.nytimes.com, 21-6-12). Ma la destinazione finale non obbedisce alla CIA: “I gruppi oppositori che stanno ricevendo la maggior parte degli aiuti letali (leggasi: armi) sono esattamente quelli che noi non vogliamo le abbiano” ha detto un funzionario statunitense esperto del tema (www.nytimes.com, 14-10-12). Tra questi emerge il Qatar, “che destina i suoi invii soprattutto agli estremisti islamici”.

 

Questo è un altro dilemma o, come si dice, un “rischio calcolato” per la Casa Bianca: Al-Qaeda tende a giocare un ruolo preponderante nella lotta ribelle. Circola un video in cui uomini mascherati si attribuiscono l’appartenenza all’Esercito Libero Siriano. “Stiamo formando cellule suicide per fare la jihad in nome di Dio”, dice il portavoce in arabo classico, come era solito fare Bin Laden. Sullo sfondo delle immagini pendono due bandiere di Al-Qaeda (www.nytimes.com, 24-10-12). Si tratta di altri terroristi di un nuovo gruppo, Jabhat al-Nusra (il Fronte di Appoggio), che ha strettissimi rapporti con Al-Qaeda, se non appartiene direttamente ad essa.

A quanto sembra il numero dei suoi membri non raggiunge il migliaio. Ma, oltre agli attentati terroristici suicidi compiuti a Damasco che hanno causato centinaia di morti, essi sono diventati un elemento fondamentale per facilitare l’avanzata dei combattenti ribelli. Funzionari statunitensi hanno rivelato che le operazioni di questa frazione “sono compiute dalle stesse persone e con le stesse tattiche di Al-Qaeda in Iraq” e che “molti dei suoi membri sono siriani che dicono di aver combattuto con Al-Qaeda in Iraq” (www.mcclatchydc.com, 2-10-12). Dove, ad un anno dalla ritirata della maggior parte degli effettivi statunitensi, continuano a commettere attentati terroristici.

 

Armi e dollari degli USA in mano al nemico: è una strana situazione che dà origine ad altre non meno strane. Lunedì scorso gli USA hanno informato ufficialmente che Jabhat al-Nusa era stata aggiunta alla lista delle organizzazioni terroristiche, un tentativo della Casa Bianca di “marginalizzare gli estremisti che sono diventati una forza militare sempre più potente nell’opposizione” (www.washingtonpost.com, 10-12-12).

E, guarda un po’, 83 tra battaglioni e gruppi differenti del campo ribelle, che si sappia mai legati ad Al-Qaeda, hanno firmato una dichiarazione di solidarietà a Jabhat al-Nusa e criticato la decisione statunitense (www.microsofttranslator.com, 11-12-12). C’è una spiegazione: questo gruppo ha un’esperienza di combattimento ed esegue i compiti più pericolosi sul fronte.

 

Le alleanze con i settori estremisti islamici che la Casa Bianca costruisce per continuare nella sua strategia di cambiamento dei regimi in Medio Oriente non sembra dare frutti molto brillanti.

Lo confermerebbero - se potessero farlo - i quattro statunitensi, compreso l’ambasciatore Chris Stevens, assassinati a Bengasi senza che i miliziani organizzati dagli USA muovessero un solo dito per fermare i loro compari islamici.

 

(*) Poeta, scrittore e giornalista argentino; da:surysurnet; 13.12.2012

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni,  

e-mail      cip.mi@tiscali.it                                                   web   ciptagarelli.jimdo.com/

 

 

 

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