IL TERRORISMO USA CONTRO CUBA

L'insostenibile pesantezza dell'Impero.

 

Antonio Guerrero, Fernando González, Gerardo Hernández, Ramón Labañino, René
González ennesime vittime della “politica del cortile di casa” statunitense.


                                                                di Spartaco Codevilla

In poco più di mezzo secolo di vita la Revolucion cubana ha subito
centinaia di attentati sotto forma di incendi dolosi, sabotaggi, omicidi
politici e ricorso ad armi batteriologiche. Con il tacito avallo (e spesso, la
fattiva collaborazione) degli Stati Uniti, la mafia di Miami ha procurato al
popolo cubano oltre 3500 morti e un numero imprecisato di feriti e mutilati;
senza contare gli ingenti danni materiali. Alcuni responsabili confessi di
questi attentati, come Posada Carriles e Bosch, operano senza alcuna
limitazione sul territorio degli Stati Uniti; ricevendone anzi sostegno e
protezione.
 

Nell'ottica di prevenire queste operazioni terroristiche, il governo cubano
ha infiltrato alcune organizzazioni terroristiche che facevano base in Nord
America, raccogliendo informazioni fondamentali per impedire altri atti
criminosi. Nel 1998, con la mediazione dello scrittore colombiano Garcia Màrquez,
l'allora presidente Clinton acconsentì ad un incontro all'Avana a cui parteciparono alti dirigenti del Dipartimento di Stato Usa e dell'FBI. In
quell'occasione, il governo cubano presentò le prove delle a ttivitàterroristiche condotte contro Cuba dal territorio nordamericano.

In cambio delle preziose informazioni, pochi mesi dopo, nel settembre del 1988, l'FBI, lungi dal porre fine alle attività terroristiche, arrestò i cinque patrioti cubani con accuse pesantissime quali l'associazione a delinquere e lo spionaggio.

 

In puro “stile Guantanamo”, forse per non far mancare loro un pò dell'aria
del Caribe in salsa yankee, i Cinque vengono reclusi in totale isolamento per 17 mesi. Il tribunale di Miami, sede notoriamente infiltrata dalla mafia
anticastrista e dunque ostile per principio, dopo un processo inusitatamente lungo che ha prodotto oltre 20.000 pagine di documentazione, commina pene la cui gravità non ha precedenti nella storia della giustizia nordamericana: 5 ergastoli (a 3 dei 5) più decine di anni di prigione per gli altri. Dopo la condanna, i Cinque vengono reclusi in cinque diversi carceri di massima sicurezza, applicando loro il massimo regime detentivo disponibile (il “nostro” 41-bis, per intenderci, è roba da educande). 

Nonostante il processo d'appello presso la corte di Atlanta del 2005 abbia
annullato il processo di primo grado e nonostante la pronuncia del Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite abbia dichiarato arbitraria la detenzione dei Cinque (Opinione n.ro 19/2005), la formidabile pressione del Governo degli Stati Uniti ha ottenuto, il 4 giugno 2008, che la Corte di Appello di Atlanta riconfermasse la sentenza di primo grado invitando genericamente il tribunale di Miami a rivedere alcune delle pene inflitte. Eterno merito va, in questa occasione, alla giudice Phyllis Kravitch che, esprimendo il proprio voto contrario alla delibera, ha sottolineato come il Governo non abbia fornito alcuna prova a sostegno delle accuse.

Il 30 gennaio 2009 la difesa dei Cinque, forte di una campagna di solidarietà internazionale, ha presentato istanza alla Corte Suprema degli
Stati Uniti, accompagnando la richiesta con una petizione firmata da 10 premi Nobel, dal plenum del Senato del Messico e da centinaia di parlamentari e organizzazioni di tutto il mondo. Ciononostante, senza fornire alcuna motivazione a supporto, la Corte Suprema ha annunciato, il 5 giugno dello stesso anno, la sua decisione di non riesaminare il caso dei Cinque cubani. Lo Stato non processa sè stesso , come ben sappiamo in Italia.

 

L'odio dei governi nord-americani nei confronti della piccola isola
caraibica ha assunto oramai una forma atavica. E neppure ci si può servire
della Revolucion come scusa (che certo con la sua fiera ultracinquantennale resistenza ha acuito questo sentimento). E' infatti sin dalla guerra ispano-americana del 1898 che, nelle intenzioni degli Usa, Cuba doveva occupare docilmente la sua posizione di pedina nello scacchiere imperialista che la giovane repubblica nord-americana aveva immaginato per il suo futuro. A partire da quell'evento bellico, gli USA
inaugurarono una costante e progressiva politica imperialista, consapevolmente volta a difendere gli interessi espansionistici della loro industria e del loro commercio. A corollario di questa impostazione politica, l'atteggiamento del governo statunitense nei confronti di Cuba fu, fin dall'inizio dell'ostilità verso la Spagna, di totale indifferenza per la popolazione cubana, che aveva combattuto per la libertà con un proprio piccolo esercito, e volto unicamente a stabilire una sorta di protettorato politico-militare per lo sfruttamento delle risorse e dei vantaggi derivanti dalla posizione strategica dell'isola lungo le rotte commerciali. Dopo l'entrata in Cuba dell'esercito statunitense, i comandanti militari e il governo USA si comportarono come se l'esercito insurrezionale cubano non fosse mai esistito, e a nessun cubano fu consentito di intervenire nelle trattative di pace aperte con la Spagna. L'isola non fu annessa al territorio degli Stati Uniti, ma l'assemblea costituente di Cuba fu informata che l'esercito nordamericano non avrebbe lasciato il suo territorio finché essa non avesse recepito nella nuova Costituzione, l'emendamento Platt, approvato dal Congresso nel febbraio 1901, che conferiva unilateralmente agli Stati Uniti «il diritto di intervenire per salvaguardare l'indipendenza di Cuba e garantire un governo in grado di proteggere la vita, il patrimonio e le libertà dei cittadini...».

Nell'ultimo secolo gli Stati Uniti hanno fatto ricorso a metodi che vanno dalla strategia del terrore fino all'invasione. Fallito questo tentativo, si è deciso di intensificare la campagna del terrore, con lo strangolamento economico, l'isolamento culturale e l'intimidazione ai danni di chiunque tenti di eludere l'accerchiamento dell'isola 

E' su questo presupposto fraudolento che si basa il rapporto degli Stati Uniti con Cuba. Ed è ricalcando il medesimo presupposto ed “esportandolo” nei quattro angoli del globo che gli Stati Uniti sono divenuti, nelle parole di Noam Chomsky “una potenza imperialista la cui egemonia militare ed economica costituisce oggi il pericolo maggiore per la stabilità e la stessa sopravvivenza del pianeta”.

Combattere per la libertà dei Cinque (che, nel frattempo sono diventati Quattro grazie alla liberazione di René González) significa non solo difendere la Revolucion cubana dall'ennesimo vile attacco, ma inaugurare un nuovo capitolo della più generale battaglia contro l'imperialismo. Poco importa se questo assume la faccia rassicurante e glamour di Obama.

“Triste è quel popolo che ha bisogno di eroi”, liberiamoli! Subito!


 

Pubblicato sulla rivista “nuova unità” (luglio 2013)

Scrivi commento

Commenti: 0

News