INTERVENTO IMPERIALISTA IN MALI

Per non dimenticare....

 

Dal colonialismo francese all’intervento in Mali

 

di Mohamed Hassan (*) (Estratto dal libro di M. Hassan “La strategia del caos”,Couleur Livres, 2012)

 

Il conflitto in Mali si inscrive in un ampio contesto e porta dietro di sè una lunga storia. Da un lato abbiamo gli yihaidisti che hanno lasciato la Libia per dirigersi al Nord del Mali, armati da Qatar e Arabia Saudita. E dall’altro ci sono i militari francesi, belgi e altri, occidentali e africani, che sono intervenuti in Mali. Per situare correttamente questo intervento francese , è necessario uno sguardo retrospettivo sul colonialismo francese in Mali.

 

 Quando i colonialisti francesi conquistarono il Mali, il territorio era parte di una vasta zona economica che si estendeva in lungo e in largo per il Sahel. Le carovane partivano da una città-oasi verso l’altra, in linea retta attraverso il deserto. In quella economia originale regnava l’armonia tra i contadini e i nomadi. I contadini avevano bisogno dei nomadi per poter comprare le merci provenienti da altre regioni, e in questo modo costituivano la loro clientela. Tutta la popolazione della regione era musulmana.

Questa zona economica, all’epoca, era assai prospera.  L’anno scorso la pagina Internet  celebritynetworth.com classificò un maliense in prima posizione della lista dei 25 individui più ricchi che mai abbiano calpestato la terra. La classificazione è stata possibile convertendo i beni, tenuto conto del prezzo attuale dell’oro e dell’inflazione nel corso dei secoli, del re Mansa Moussa 1°, che diresse dal 1312 al 1337 un regno situato all’interno del Mali dei nostri giorni. Quell’uomo, al giorno d’oggi, varrebbe circa 400 mila milioni di dollari.

 

La regione disponeva anche di una vita intellettuale ricchissima: Timbuctù giunse ad essere considerata uno dei primi e principali centri intellettuali del mondo. Al suo apogeo, il regno maliense si estendeva fino alla costa del Senegal. L’arabo era la lingua veicolare.

 

Ma il colonialismo francese distrusse completamente quel sistema. Per eliminare qualsiasi capacità intellettuale, furono assassinati migliaia di professori. Così come succede con la quasi totalità dei paesi africani, le frontiere del Mali che conosciamo oggi sono artificiali. La regione faceva parte di quello che allora era noto come Sudan francese. Nel 1960 diventò indipendente, prima attraverso una federazione con il Senegal ma, dopo appena due mesi, il Senegal abbandonò quella federazione.

 

Il Mali attuale è il quarto paese africano per la sua superficie. Dopo il colpo di stato contro il primo presidente nazionalista del Mali, Modibo Keita (1960-1968), il paese è diventato uno stato neocoloniale.

 

Un simile stato non può costituire una nazione né può svilupparsi in maniera autonoma. Il Nord, una regione desertica, è abbandonato alla sua sorte e i suoi abitanti sono discriminati. Ci sono tensioni etniche tra i tuareg (nomadi) e gli altri gruppi di popolazione. Il commercio su grande scala del passato ha conosciuto un completo declino. Cosa resta al grande numero di nomadi che solcano la regione con le loro caravane? Contrabbando, rapimenti in cambio di riscatti, traffico di persone...

 

Una parte importante di questi tuareg sono diventati soldati in Libia, nell’esercito di Gheddafi. Dopo il loro ritorno nel Nord del Mali, hanno iniziato una guerra per l’indipendenza che essi chiamano Azawad – una lotta che, da alcuni decenni, si risveglia bruscamente e poi si calma nuovamente. Il 24 gennaio 2012, essi si impadronirono della città di Aguelhok e uccisero un centinaio di soldati dell’esercito maliense. Nel corso dei due mesi seguenti, continuarono ad attaccare altre città del Nord.

 

Il massacro di Aguelhok suscitò un enorme scontento in seno all’esercito e tra le famiglie dei soldati, dato che questi, armati in modo piuttosto precario, dovettero combattere contro insorti ben armati ed addestrati. Il 22 marzo, il presidente maliense Amadou Toumani Touré (chiamato “ATT”) fu rovesciato da un colpo di stato di militari scontenti e di ufficiali subalterni, sotto la guida di Amadou Sanogo.

 

Per i paesi vicini del Mali che, dopo il rovesciamento del presidente della Costa d’Avorio Gbagbo, subiscono pesantemente l’influenza della Francia, quel fatto è stato un pretesto per annunciare l’embargo sulle armi contro l’esercito maliense che, così, si ritrovava senza alcuna possibilità di far fronte agli insorti che arrivavano in massa. I mesi seguenti il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione di Azawad) si impadronì di tutto il Nord del paese. In seguito il MLNA fu espulso a sua volta da tre gruppi yihaidisti: Ansar Dine, Al Qaeda del Magreb Islamico (AQMI) e MUJAO – gruppi che ricevono armi e denaro dal Qatar e dall’Arabia Saudita – e così le cose si complicarono.

 

Proprio quando sembrava che i gruppi yahidisti si stessero precipitando verso la capitale maliense Bamako, il presidente de facto Dioncounda Traoré avrebbe chiesto di intervenire militarmente al presidente francese François Hollande (Parti Socialiste). Il che rendeva impossibile definitivamente il piano elaborato con difficoltà e attenzione dalle Nazioni Unite e dall’unione Africana.

 

 Conclusione.

 

Come dovrebbe evolvere la situazione? A qualsiasi soluzione per il conflitto in Mali si oppongono tre problemi importanti.

 

Primo: nessuno sta lasciando che i maliensi risolvano da soli le loro differenze ed i loro problemai. L’ingerenza straniera lo rende impossibile. La guerra non farà altro che esasperare le mutue tensioni in tutto il paese. Se hai la pelle più chiara degli altri e ti confondono con qualcuno del Nord, oggi corri il rischio di non poter traversare facilmente le strade di Bamako.

 

Secondo: gli stati africani sono molto deboli, specialmente se vediamo che un paese come il Mali non può neppure finirla con una ribellione bene organizzata di 500 yihaidisti. Anche l’Unione Africana (UA) è debole. I paesi della SADC (Southern African Development Community) cercano di cambiare il corso delle cose ed erano in prima fila nell’opposizione della UA alla guerra in Libia. Ma ancor oggi ci sono troppi capi di stato africani che pensano prima ai loro interessi – e agli ordini che ricevono dai loro padroni in Europa e Stati Uniti – che all’unità africana.

 

Terzo: se, dal 2008 – anno in cui si è aggravata la crisi del capitalismo mondiale – la Francia non vuole diventare una nuova Spagna, Italia o Grecia, deve difendere la sua egemonia in “Françafrique” e attorno al Mediterraneo. Ma le cose non si mettono molo bene per la Francia, visto che in Africa le contraddizioni con gli Stati Uniti aumentano. In Costa d’Avorio l’esercito francese è intervenuto per mettere Ouatarra al potere; bene, in realtà quest’ultimo è soprattutto una pedina degli Stati Uniti. E gli Stati Uniti hanno avuto buon gioco dalla guerra in Mali per installare una base per i loro droni nel paese vicino, la Nigeria.

 

In altre parole, possiamo prepararci ad un periodo durante il quale il Mali e tutta la regione che lo circonda si troveranno in conflitto permanente, come quello che la Somalia ha conosciuto nel corso degli anni ’90.

 

(*) Saggista, specialista in questioni del Medio Oriente e dell’Africa; da: lahaine.org; 21.10.2013.

 

 (di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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