PRATO: ANCORA MORTI PER IL PROFITTO

 

Di lavoro si continua a morire:

A Prato 7 operai sono morti e due feriti nel rogo di una fabbrica

 

Domenica mattina 1 dicembre dopo l’allarme lanciato da un passante che ha visto una colonna di fumo uscire dal capannone in cui dormivano e lavoravano lavoratori cinesi trattati come moderni schiavi sono scattati i soccorsi.  Alcuni soccorritori intervenuti immediatamente prima dell’arrivo dei vigili del fuoco hanno raccontato di aver visto il fumo e di essere intervenuti con un estintore, aiutando un altro lavoratore cinese che stava già lavorando in preda al panico per spegnere le fiamme fra le urla dei compagni imprigionati all’interno del capannone.

 

Al momento i morti sono sette, cinque uomini e due donne, gli operai della ditta trovati morti all'interno della fabbrica. Altri due sono invece rimasti gravemente ustionati e sono stati trasportati all’ospedale. Una giovane donna è rimasta ferita ma in maniera più lieve.

 

Come sempre, la logica del profitto non fa distinzioni di nazionalità, religione o colore della pelle, non guarda in faccia a nessuno. La sete di profitto d’imprenditori senza scrupoli che sfruttano fino all’osso i lavoratori, pagandoli con un tozzo di pane e un giaciglio di morte, per aziende e multinazionali straniere o italiane, “democratiche” della moda e del tessile, spesso dai nomi italiani che nascondono che il made in Italy è confezionato dalle piccole mani veloci degli immigrati orientali è la causa di queste continue stragi. Questa è un’altra strage annunciata. Governo, istituzioni, partiti e sindacati, tutti, sapevano le condizioni in cui erano costretti a vivere e lavorare questi operai e nulla hanno fatto per cambiarle, perchè il profitto viene prima di tutto

 

Oggi si sprecano le frasi di cordoglio di circostanza facendo finta di aver scoperto solo ora che dei lavoratori, degli esseri umani senza diritti, nuovi schiavi “moderni”, lavoravano e dormivano in ambienti costruiti in cartongesso su  un pagliericcio, in un capannone diviso anche altre ditte.

 

In questo lager anche le finestre erano sbarrate. Uno degli operai rimasti uccisi, aveva tentato invano di mettersi in salvo rompendo il vetro di una finestra del capannone ma le sbarre di ferro gli hanno impedito di mettersi in salvo.

 

Dopo la strage della ThyssenKrupp nel 2007, in cui 7 operai furono bruciati vivi e quella all’Eureco nel 2010 (4 operai morti carbonizzati) ora la strage si ripete, come se fossimo ancora nell’800, nascondendo che questa, invece, è la “modernità” del capitalismo.

 

Allora come oggi i padroni della fabbrica cercheranno di definire questa ennesima strage un “fatale incidente”; i politici di ogni colore alzano la voce sulle misure di sicurezza e i sindacati confederali, che accettano come legittimo il profitto, siglando in ogni accordo il peggioramento delle condizioni di lavoro si lavano s’indignano. Tutti i responsabili di questi omicidi, sono  parte integrante e complici di quel sistema di sfruttamento dei lavoratori che si chiama capitalismo e per salvare il sistema cercano di scaricare le responsabilità gli uni sugli altri.

 

I morti sul lavoro, e per malattie professionali non sono mai una fatalità: sono il costo pagato dagli operai alla realizzazione del profitto.

 

I morti sul lavoro sono parte della brutalità e della violenza del sistema capitalista. Protetti da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione, lo sfruttamento e il profitto, i capitalisti hanno impunità e licenza di uccidere. Passata l’attenzione del momento dell’opinione pubblica, nulla cambierà, perché i borghesi e questo sistema sociale che si appropria della ricchezza prodotta dai lavoratori e si alimenta sul loro sfruttamento..

 

GLI OPERAI NEL SISTEMA CAPITALISTA NON SONO ALTRO CHE FORZA-LAVORO: CARNE DA MACELLO.

 

 

 

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

 

 

e-mail:cip.mi@inwind.it                                                                         http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com

 

Sesto San Giovanni, 2 dicembre 2013

 

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