CONTRORIVOLUZIONE IN VENEZUELA.

 

Venezuela, una battaglia decisiva

 

di Atilio Boron (*); da. Surysur.net; 26.3.2014 

 

Cosa bisogna fare per mettere fine alla scalata violenta in Venezuela? E’ ovvio che l’impero ha un’agenda, come diceva Chàvez nella conferenza tenuta il 10 dicembre 2007 nel Centro Culturale della Cooperazione. Un’agenda che contiene un processo programmato di fascistizzazione, come quello visto nel Cile di Allende.

 

In seguito il manuale si è andato via via perfezionando per progettare nuove strategie di “cambio di regime”. I casi di Libia, Siria, Ucraina e Venezuela stanno a dimostrare quello che stiamo dicendo. 

 

Il sistema internazionale attraversa una turbolenta fase di transizione geopolitica globale.

 

Gli Stati Uniti continuano ad essere la potenza militare più importante del pianeta, ma questo non basta loro per vincere le guerre, come dimostrano il Vietnam, l’Iraq e l’Afganistan. I loro alleati sono sempre più vacillanti e incerti, i loro vassalli meno obbedienti; e i loro avversari e rivali sempre più potenti e influenti. Washington perde posizioni in Medio Oriente; in Asia Centrale il sentimento anti-nordamericano arriva a livelli senza precedenti; e nell’Estremo Oriente la crescente gravitazione della Cina sembra irresistibile e muove le placche tettoniche del sistema internazionale.

 

E’ in questo quadro di declino imperiale che bisogna intendere la cruenta offensiva sediziosa lanciata contro il Venezuela bolivariano, sede della più grande riserva di petrolio del mondo.

 

Come successe nel decennio degli anni ’70 del secolo scorso, quando le sconfitte in Indocina (Vietnam, Laos, Cambogia) scatenarono una controffensiva che culminò con l’instaurazione di dittature militari in quasi tutti i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, l’arretramento globale degli Stati Uniti li spinge nuovamente a cercare rifugio nel loro “cortile posteriore”, come ha detto poco tempo fa John Kerry durante la sua visita all’OEA (Organizzazione  degli Stati Americani). O nella sua tradizionale “retroguardia strategica”, come la definivano Fidel e il Che. E per fare questo bisogna spazzare via i regimi politici ed i governi indesiderabili, a qualsiasi costo.

 

 

 

Da qui l’enorme difficoltà a porre fine all’attacco dei fascisti in Venezuela, per quanti appelli al dialogo e alla pace faccia il presidente Nicolàs Maduro. Il Venezuela è la testa di ponte di una strategia di destabilizzazione continentale delle democrazie latinoamericane, che proseguirà in Ecuador e Bolivia, fino a raggiungere Argentina, Brasile e Uruguay.

 

Alla fine della strada si affaccerebbe un’America Latina simile a quella che esisteva alla vigilia della Rivoluzione Cubana, piagata da governi neocoloniali e servili rispetto agli interessi economici e geopolitici di Washington. Questo è ciò che converte l’attuale battaglia del Venezuela nell’equivalente di ciò che fu Stalingrado nella 2° Guerra Mondiale: una battaglia decisiva per le nostre democrazie, i diritti umani e le lotte emancipatrici in corso nella regione. 

 

Per fermare questa scalata di violenza è necessario:

 

a) una forte pressione internazionale e all’interno degli Stati Uniti perché la Casa Bianca smetta di sostenere, organizzare e finanziare la destra venezuelana, e in particolare la sua ala fascista. Per questo, Barak Obama deve riconoscere la legittima vittoria di Nicolàs Maduro alle elezioni del 14 aprile 2013, ratificata dalla decisiva vittoria del chavismo nelle municipali dell’8 dicembre dello stesso anno. Per quanto ha fatto finora Obama dovrebbe essere denunciato al Tribunale Penale Internazionale come principale istigatore della violenza che ha provocato tante morti in Venezuela.

 

b) far pesare tutto il rigore della legge su coloro che vogliono rovesciare il governo e imporne un altro, appellandosi alla violenza. Altrimenti si produrrebbe la metastasi della fascistizzazione, inglobando settori sempre più ampi dell’opposizione attratti, da una parte, dall’impunità che sperano di strappare al minacciato governo bolivariano, che è stato eccessivamente tollerante con i rivoltosi (stiamo parlando di gente che distrugge beni pubblici e privati, usa filo spinato per sgozzare i motociclisti, attacca con bombe molotov, ecc.); dall’altra, per “l’esempio riuscito” dell’Ucraina, dove una turba di scagnozzi neonazi si è appropriata di una protesta originalmente pacifica e, commettendo ogni tipo di crimini, si è impadronita del governo, che è stato riconosciuto dalla Casa Bianca e dai suoi compagnucci dell’Unione Europea.

 

c) terzo: potenziare e migliorare l’organizzazione e la mobilitazione della base chavista. La destra tenterà di combinare le sue azioni violente e destabilizzatrici con il controllo “pacifico” delle strade con “guarimbas”  (blocchi stradali costituiti da masserizie che vengono poi incendiate, n.d.t.), marce e manifestazioni di strada e col suo enorme controllo dei media.

 

Il chavismo dovrà recuperare la sua memoria e ricordare che il suo predominio nelle strade è stato cruciale per sconfiggere il golpe del 2002, e dovrà continuare a mantenerlo ancor più oggi, al di là di qualsiasi accordo a cui si possa giungere al tavolo del dialogo. E dovrà anche rendere cosciente quella base chavista, e il popolo in generale, che è in gioco il futuro della Rivoluzione Bolivariana e le conquiste storiche di 15 anni, e che la loro effettiva difesa richiede inesorabilmente l’approfondimento del socialismo e l’immediato compiersi degli orientamenti stabiliti dal Comandante Hugo Chàvez Frìas nel “colpo di timone” (ultimo discorso di Chàvez, n.d.t.) del 20 ottobre 2012.

 

Qualunque governo che sorga quale prodotto di questa controrivoluzione in marcia opererà nello stesso modo in cui lo fece il governo golpista di Pedro Carmona Estanga, quando, con il suo primo decreto, abolì con un tratto di penna la Costituzione del 1999 e tutti i diritti espressi nella stessa, dissolse tutti i poteri dello Stato, dichiarò illegale la cornice giuridica esistente, rimosse tutte le autorità scaturite dal voto popolare a livello nazionale, statale e municipale e mise fine all’accordo di cooperazione con Cuba.  

 

Ciò che è in gioco, nientemeno, è il futuro della rivoluzione. 

 

(*) Politologo e sociologo argentino. 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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