ELEZIONI, RAZZISMO E IMPERIALISMO

 

ruolo del razzismo nell’offensiva imperialista

 

di Alberto Rabilotta (*) 

 

Lo scorso 23 marzo il partito Fronte Nazionale (FN) ha ottenuto importanti avanzamenti nelle elezioni municipali in Francia. Niente di che sorprendersi per chi ha studiato un poco la campagna elettorale, in cui i media hanno dedicato una speciale e molto varia attenzione al FN, un partito che promuove uno stantio sciovinismo e il razzismo. I media  e i giornali hanno dato molto spazio al FN, moltissimo di più che al Fronte di Sinistra (FG) che elettoralmente ha un peso superiore o simile al FN, come ha sottolineato Jean-Luc Mélanchon, dirigente del FG).

 

 Il risultato di queste elezioni è importante perché conferma la perdita di fiducia degli elettori rispetto ai partiti tradizionali. I votanti sanno per esperienza che quei partiti non fanno, né faranno, quello che promettono perché fa tutto parte dello stesso copione, quello elaborato dagli organismi dell’Unione Europea (UE) per consolidare le politiche neoliberiste, ovvero i programmi di austerità e smantellamento degli apparati e dei programmi statali, regionali e municipali. Prova di quanto sopra la troviamo nell’elevato tasso di astensione e nella numerosa presenza di liste non identificate con i partiti tradizionali in queste elezioni.

 

 

Ma l’essenziale, per questa analisi, è lo sforzo dei mezzi di stampa del sistema (perché è così che bisogna definirli) per rafforzare nell’opinione pubblica francese durante la campagna elettorale l’idea che il Front National sarebbe cresciuto, e che in un dato momento si sarebbe prodotta un’alleanza elettorale tra questa destra estrema di matrice fascista con la destra neoliberista.

 

 Credo sia importante analizzare questa fascinazione mediatica, e quindi la fascinazione di quelli che hanno nelle loro mani le leve del potere reale, per la destra estrema, per partiti la cui attitudine nazionalista è chiaramente razzista, per avere una immagine completa in questo momento storico da tutti i punti di vista possibili, perché il sistema neoliberista nel suo insieme, nella UE e negli USA o in Giappone – ossia nei centri del capitalismo avanzato – è completamente impantanato sul piano economico, sociale e politico.

 

E in tutto questo il razzismo, come il nazionalismo (da paccottiglia, perché nel sistema neoliberista la sovranità nazionale è cosa del passato), sono forse elementi importanti per capire la congiuntura attuale dell’imperialismo, compreso il caso dell’Ucraina , tra altri. 

 

Il razzismo è parte del colonialismo e dell’imperialismo

 

Il razzismo viene criticato e, in alcune delle sue manifestazioni, è considerato un reato dai sistemi legali nella maggior parte dei paesi, ma nella pratica quotidiana, nei “sottintesi” politici, sociali ed economici il razzismo è moneta corrente, un semplice “pregiudizio” in più, accettabile anche per quelli che non lo praticano e in alcun modo è visto come un pericolo mortale per le società e l’umanità.

 

Eppure il razzismo, come il machismo, è qualcosa di più di un pregiudizio. In realtà è stato e continua ad essere un potente strumento ideologico al servizio di alcuni sistemi di dominazione. 

 

Il machismo cerca di preservare il sistema di dominazione patriarcale, a vantaggio dell’uomo e a detrimento della donna, ad esempio, e anche su questo terreno gli avanzamenti degli ultimi decenni sono in molti casi solidi quanto un castello di sabbia, dicono molte donne.

 

 Il razzismo è servito, fin dal Medioevo, dalle crociate, come giustificazione ideologica, mascherata secondo le circostanze con presunti valori religiosi i morali, ma al servizio di obiettivi molto terreni, come l’appropriazione di ricchezze e la conquista di territori. E ha avuto il suo ruolo nelle lotte per la formazione degli Stati nazionali in Europa, in molti casi come forza di esclusione per forzare l’omogeneità etnica, il che spiega la triste eredità di guerre e conflitti nel Vecchio Continente.

 

Ad esempio, fino a non molto tempo fa, nelle scuole di alcuni paesi latinoamericani ci insegnavano che i conquistatori spagnoli erano venuti in America “con la spada e con la croce”. Il perché della spada non veniva mai spiegato chiaramente, anche se alla fine capivamo che erano venuti a conquistare con la forza per portarsi via l’oro e l’argento e dominare i territori, ma nelle immagini e nei testi si enfatizzava che la croce rappresentava la “grande missione” evangelizzatrice per guadagnare gli indios selvaggi – perché così si parlava delle nostre popolazioni amerindie – al regno di Dio e così “salvarli”.

 

Senza la disumanizzazione implicita nel razzismo, che permette di vedere l’altro come un “non-essere”, un subumano che può essere maltrattato, sfruttato, schiavizzato e che si può violare e uccidere, non sarebbe stata possibile, ovvero accettabile per gli stessi popoli conquistatori, l’estrema brutalità delle conquiste che sottomisero tanti popoli e lasciarono una scia di decine o centinaia di milioni di morti, decine di milioni di schiavi, e tante società e culture schiacciate.

 

Senza queste conquiste e questi crimini non sarebbe stata possibile neppure l’accumulazione del capitale, come non  lo è possibile attualmente se vediamo l’impegno dell’impero neoliberista nel conquistare i territori dove non regna con potere assoluto. 

 

E’ per questo che dobbiamo vedere il razzismo non come qualcosa di secondario, un “male residuale della civilizzazione europea” che è stato trasmesso al resto del mondo, ma come una componente essenziale del sistema di dominazione del capitalismo, in tutte le sue tappe, dalle conquiste e dallo schiavismo fino al momento attuale. 

 

Il razzismo è molto più pericoloso di quanto crediamo quando è parte di un’ideologia nazionalista o ultranazionalista al servizio di interessi imperialisti. Senza un’ideologia che comprenda il concetto di superiorità razziale, di superiorità sociale, politica, culturale o religiosa che provochi una desensibilizzazione totale, non è possibile portare a termine la “impresa” coloniale e imperiale.

 

Questo tipo di ideologia è necessario sia per lanciare che per giustificare la “impresa” coloniale e imperiale, per creare nel popolo conquistatore la mancanza di inibizioni che permetta di compiere, e vivere nella coscienza collettiva, tali atrocità contro esseri umani, tanto umani e tanto “esseri” come loro.

 

I britannici “hanno portato sulle loro spalle la civiltà dell’uomo bianco” ai paesi dell’Asia, dell’Africa e di altre regioni, duro “carico” per l’uomo bianco, scriveva R. Kipling quando in realtà ciò che “l’uomo bianco” faceva era rubare tutto quello che poteva essere rubato, distruggere o schiacciare le culture e le organizzazioni sociali esistenti per poter sfruttare i popoli, schiavizzarli perché servano ai commercianti e agli interessi dei detentori della rendita, della borghesia e dell’aristocrazia di Londra.

 

Gli olandesi, i portoghesi, i francesi e i belgi non agirono diversamente, in tutti i casi ci furono massacri e crudeltà indescrivibili per sfruttare e schiavizzare, anche se di quando in quanto ancora si sente dire in Europa che quei colonizzatori portarono “la civiltà e la lingua” ai paesi che colonizzarono. 

 

Ogni popolo conquistatore creò la propria cornice ideologica per poter ignorare e negare sistematicamente tutto quello che i popoli colonizzati soffrirono in Asia, in Medio Oriente, in Africa, in Oceania, nei Caraibi e in America Latina, e anche per negare che l’obiettivo di quelle conquiste era appropriarsi e rimpatriare le ricchezze e garantire i flussi di materie prime di cui i loro commerci e le loro industrie avevano bisogno  e che producevano schiavi per le loro piantagioni, come è il caso dello zucchero ad Haiti, ad esempio. 

 

Un compito necessario ma incompiuto è la decolonizzazione del pensiero dei popoli conquistatori e imperialisti. Niente potrà andare avanti se questi popoli non si spogliano di questa crosta troppo ben conservata – per interessi di classe – che impedisce loro di vedere le molteplici, ricche e complesse realtà del mondo attuale. 

 

E’ in questo contesto che è importante riconoscere la decisiva importanza che ha avuto il razzismo nella società statunitense, specialmente per giustificare all’interno, e verso l’esterno, la “eccezionalità” del “destino manifesto”, una invenzione dei coloni bianchi per rendere invisibile la mattanza degli amerindi e l’appropriazione delle loro terre, e quindi la “importazione” di schiavi africani per le piantagioni e, più tardi, l’imperialismo.

 

Il razzismo ha radici profonde ed estese negli USA perché in questo paese i popoli amerindi furono praticamente sterminati e quelli che sopravvissero furono segregati in riserve e sottomessi a brutali controlli di natalità. Furono vittime dell’eugenetica e della sperimentazione di metodi genocidi che, più tardi, Adolf Hitler utilizzò per sterminare ebrei, gitani e slavi, oltre agli oppositori comunisti e socialisti, come rivela l’importante lavoro dello statunitense Edwind Blake, intitolato “War Against the Weak, Eugenics and America’s Campain to Create a Master Race” (1).

 

Ed è negli USA che si sviluppò una impressionante “economia delle piantagioni” con schiavi portati dall’Africa e dove venne applicato un rigido sistema di segregazione razziale fino a metà degli anni ’60 del XX secolo, che però non è completamente sparito e continua ad essere oggi praticato in campo economico, sociale e politico contro gli afroamericani e gli ispanici. 

 

Come spiegarci l’attuale russofobia nella UE e negli USA? Non è forse una forma di razzismo destinato a invalidare tutto ciò che la Russia dica o faccia per continuare ad applicare le aggressive politiche della NATO e trasformare la Russia in un altro vassallo dell’imperialismo?

 

Chi ricorda il “pericolo giallo”, quel razzismo nato nel 19° secolo per giustificare la penetrazione del liberismo commerciale in Cina, perché entrasse in Cina l’oppio che la Gran Bretagna produceva in India?

 

La russofobia è un fatto e il “pericolo giallo” una realtà in tutti gli atteggiamenti dell’imperialismo contro la Cina, divenuta una potenza industriale che questo non può controllare.

 

In Ucraina il razzismo dei gruppi neonazi (ultranazionalisti secondo la definizione della stampa commerciale) si manifesta contro i russi e gli ucraini di lingua russa e religione ortodossa, e contro gli ebrei ucraini. 

 

Il razzismo è uno strumento per poter giustificare la dominazione di interi popoli. Gli arabi non vengono discriminati in vari paesi europei così, né per la loro religione, ma per poter continuare a giustificare tutte le azioni passate, in particolare quelle che da un secolo le potenze imperialiste  hanno compiuto per appropriarsi del Medio Oriente e delle sue ricchezze e giustificare quelle che continuano a fare nel presente con lo stesso obiettivo. 

 

Non è razzismo che dalle colonizzazioni si sia stabilito, e che ancora venga esercitato da parte delle potenze imperialiste, il principio del castigo collettivo quando un dominato, che sia un ribelle o uno scioperante, attacca un militare o un membro della forza dominante?

 

Perché oggi si accetta senza discutere che per un soldato – o civile – ferito o ucciso da una forza di occupazione – che sia statunitense, israeliano o di un paese della NATO – ci sia una smisurata rappresaglia che provoca la morte di decine di oppressi, generalmente innocenti civili e molte volte bambini, donne e anziani?

 

Che cos’è questo se non razzismo messo al servizio della dominazione imperiale?

 

E’ chiaro che il sistema imperialista, nelle sue diverse forme, genera una forma di “eccezionalità” che serve da giustificativo a tutte le atrocità che da lungo tempo si commettono in qualsiasi parte del mondo.
Razzismo e nazionalismo aggressivo sono ingredienti sempre presenti nell’imperialismo, in quello del passato – di successo o schiacciato – e nell’attuale.

 

E’ per questo che dobbiamo prestare attenzione al modo in cui l’imperialismo e i suoi servi presentano i neofascisti, o neonazi, al come li definiscono o – per essere più chiari – come li banalizzano per rendere “ragionevole” il loro razzismo, segno che verranno incorporati all’ideologia dominante per salvare il sistema neoliberista dall’imbottigliamento in cui si trova. Così successe negli anni ’30, ricordiamocelo. 

 

(1) Edwin Black ha scritto numerosi libri molto importanti, tra cui quello citato e “IBM e l’Olocausto”.Per altre informazioni consultare il suo portalewww.edwinblack.com 

 

 

(*) Giornalista franco-canadese; da: alainet.org; 25.3.2014 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni) 

 

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