RIFLESSIONE SULLE ELEZIONI USA

Plus ça change (più si cambia e più è la stessa cosa).

 

di David Brooks (*)

E’ stata l’elezione federale intermedia più costosa della storia e quella a cui meno hanno partecipato in più di 70 anni; è stata l’elezione in cui i multimilionari hanno speso più soldi e la cosa più notevole delle inchieste è stata la disillusione dell’elettorato verso tutto il processo e verso la cupola politica.

E niente è cambiato.

 

Il tasso di partecipazione dei cittadini con diritto di voto nell’elezione è stato del 36,3%, il livello più basso dall’elezione federale del 1942, nel bel mezzo della  2° Guerra Mondiale. Tutti esprimono opinioni sul perché solo un po’ più di un terzo dell’elettorato ha pensato che valesse la pena partecipare a quello che sempre si proclama essere l’espressione suprema di questa democrazia: il voto.

 

Ad un paio di settimane dalle elezioni di medio termine in cui il Partito Repubblicano ha preso il controllo di entrambe le camere del Congresso e ha ampliato il numero dei governatorati statali, si dibatte il significato di questo esercizio politico, che molti concludono avrà delle ripercussioni piccolissime o nulle. Quasi 4 milioni di dollari spesi perché tutto resti più o meno uguale, segnalano alcuni.

Ma forse questo era, più o meno, l’obiettivo. I ricchi che hanno speso milioni forse non volevano altro che questo visto che, per come stanno le cose, per i più ricchi questo è il migliore dei tempi.

Questo famoso uno per cento più ricco ha più ricchezza che mai, sia in questo paese che su scala mondiale. Questo uno per cento controlla un terzo della ricchezza nazionale, e con ciò la disuguaglianza economica è tornata a livelli di quell’epoca d’oro (per i più ricchi) proprio prima della grande depressione.

A livello mondiale l’Oxfam ha trasmesso nuovi calcoli la settimana scorsa, calcoli che si riassumono nel fatto che gli 85 multimilionari più ricchi del mondo hanno, concentrata nelle loro mani, una ricchezza equivalente a quanto hanno 3,5 mila milioni di umani su questo pianeta.

 

Intanto tutti gli esperti pronosticano che Washington continuerà ad operare in modo disfunzionale dopo queste elezioni, con il Congresso sotto controllo repubblicano e la Casa Bianca con lo stesso democratico a causa di ciò che chiamano polarizzazione tra i due partiti che portano ad un ristagno dove non si può ottenere quasi nulla nel negoziato politico.

 

Ma anche questo non è vero. Si possono segnalare almeno due settori dove prevale un consenso bi-artitico quasi assoluto: la guerra e Wall Street.



Le guerre più lunghe della storia di questo paese continuano in Iraq e in Afganistan, nonostante proclami magniloquenti che stavano per finire. Non solo ma le politiche guerrafondaie si sono ampliate ad altri paesi, come la Siria. Con molto poche eccezioni, né democratici né repubblicani lo ostacolano, e meno ancora mettono in discussione l’apparentemente infinita guerra al terrorismo.

 

Riguardo a Wall Street, dopo che i banchieri hanno commesso alcune delle frodi più grandi della storia e provocato la più grande crisi economica dalla grande depressione, quasi tutto continua uguale nel settore finanziario e vale la pena sottolineare che nessun alto dirigente implicato delle frodi di massa che hanno provocato la crisi è stato incarcerato.

Nonostante il governo di Obama si sia auto elogiato per la possibilità di mandare a giudizio i casi di abuso del settore finanziario e ha festeggiato i più di 60 procedimenti contro istituzioni finanziarie per pratiche legate alla crisi finanziaria, il fatto è che tutte esse sono terminate con multe elevate ma pagate non dai responsabili ma dagli azionisti e dal pubblico in generale, e che sono stati tutti casi civili, non penali.

 

Max Taibbi, il giornalista di Rolling Stone il cui lavoro straordinaria ha documentato tutti questi abusi finanziari dall’inizio della crisi, ha commentato in un’intervista al programma Democracy Now di sospettare che parte della mancanza di entusiasmo verso quest’ultima elezione ha a che vedere con il fatto che il presidente e i suoi hanno deciso di non dichiarare reato penale quanto è successo nel settore finanziario, che non hanno promosso cause per incarcerare i dirigenti, e che invece “hanno scopato via tutto e l’hanno messo sotto il tappeto… e la gente sente che non è stato fatto niente”.


E’ il caso di ricordare che – nonostante gli elogi al lavoro del procuratore generale Eric Holder quando questi ha annunciato il suo ritiro alcune settimane fa – egli ha la particolarità di aver deciso di non procedere con accuse penali contro i banchieri. Molti ricordano che nel 2013, in un momento di indiscrezione, disse davanti al Senato: mi preoccupa il fatto che le dimensioni  di alcune di queste istituzioni è così grande che diventa difficile per noi metterle sotto accusa quando ci avvisano che, se procedessimo penalmente, se presentassimo una denuncia penale, questo avrebbe un impatto negativo sull’economia nazionale, e forse sull’economia mondiale.
per molti, come Taibbi, questa è stata una confessione drammatica, visto che il massimo incaricato del sistema della giustizia del paese stava dicendo che le banche sono così potenti che contro di esse non si può applicare la legge.


Forse l’unica conclusione, basata sui fatti, è che in alcune cose fondamentali c’è davvero un consenso nella cupola politica ed economica del paese: non cambiare nulla di fondamentale. Forse per questo non da loro fastidio che la grande maggioranza dei cittadini non partecipi a questa democrazia o che una maggioranza di massa disapprovi la forma con cui si governa in questo paese.


Nel frattempo la cupola politica promuove più che lo stesso nel futuro per questa democrazia visto che, a quanto pare, offrirà un menù di opzioni per le prossime elezioni con alcuni con gli stessi nomi – Clinton (Hillary) e Bush (Jeb) – che sono stati tra i responsabili della situazione attuale. Sicuramente tutti loro impiegheranno la parola magica ‘cambio’ nelle loro campagne.

Ma in francese questo si traduce in: plus ça change, plus c’est la même chose (più si cambia e più è la stessa cosa).

 

(*) Giornalista messicano, corrispondente de La Jornada negli Stati Uniti.

da: jornada.unam.mx; 17.11.2014 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)


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