REFERENDUM IN GRECIA

Sette punti per capire il referendum greco

Di Dimitris Pantoulas, Juan Agulló e Rafael Rico Ríos (*)

1. Perché Syryza ha convocato un referendum in solo una settimana?

Il primo Ministro greco, Alexis Tsipras, tre giorni dopo l’ultimatum dato dai creditori, ha preso la decisione di convocare un referendum che si celebrerà solo dieci giorni dopo l’ultimatum stesso.

Tsipras è stato eletto cinque mesi fa con un programma politico contro l’austerità e i piani di salvataggio (eufemisticamente chiamati “memoranda”).

Dopo alcuni negoziati con i partners della Grecia - ma che in questa occasione sono i creditori che hanno fornito i prestiti (la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale) - che sono durati 4 mesi, la scorsa settimana il governo di Tsipras sembrò cedere alle pressioni dei creditori stessi e offerse un programma di austerità del valore di 8.000 milioni di euro. In tale programma venivano aumentate le tasse dirette e indirette, sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche, ma non venivano toccati né i salari né le pensioni.

Molti, nella sinistra greca, hanno considerato questa proposta un tradimento e sono giunti anche a premere sui deputati di Syriza (il partito di Tsipras) perché il programma in questione non fosse approvato in Parlamento.

Ma i creditori hanno affermato che con questo programma si sarebbe potuto arrivare ad un accordo, anche se hanno chiesto che esso portasse la firma di Tsipras e non quella del ministro dell’Economia – una richiesta umiliante per un primo ministro che, in parallelo, starebbe tradendo i principi che l’hanno portato al potere.  Tsipras, nonostante tutto, ha accettato le condizioni perché ha capito che dare una botta al tema del debito, in quel momento, era più importante del programma del partito.

Un successivo ultimatum, tuttavia, cambiava le carte in tavola. Tsipras è arrivato a definirlo “estorsione”.

In esso si chiedeva alla Grecia di accettare un (nuovo) piano di salvataggio “espresso” che comprendeva tagli dei salari dei dipendenti pubblici, tagli alle pensioni, aumento dell’IVA, liberalizzazione totale delle relazioni di lavoro compreso il permesso di licenziamenti di massa nel settore privato, e tutta una serie di misure antisociali.

In cambio i creditori offrivano una quantità di capitale sufficiente perché la Grecia pagasse tutti i suoi debiti nel 2015 e promettevano un ulteriore accordo entro pochi mesi. In realtà, in questo modo i creditori prendevano tutto in cambio di niente

Nessun governo avrebbe accettato una cosa simile. Tsipras, di fatto, ha capito la dimensione storica del momento: “Il nostro obiettivo è porre fine alla crisi del debito pubblico greco ma, in questi momenti, la nostra prima e storica responsabilità sta nella difesa della democrazia e della sovranità nazionale. E proprio questa responsabilità è ciò che ci obbliga a rispondere all’ultimatum con la volontà del popolo greco”.

Tsipras ha convocato il referendum e ha chiesta alla UE e alla Banca Centrale Europea la liquidità sufficiente fino al voto popolare. Ma la UE e la BCE non gliela hanno concessa, argomentando che la Grecia non la “meritava”.

Al Governo greco, quindi, non è rimasta altra opzione che fissare un controllo sui capitali e aspettare il referendum, che verrà effettuato la prossima domenica, in cui il popolo greco dirà No o Si all’ultimatum.

La storia si ripete come farsa 70 anni dopo che le forze fasciste dell’Asse offrirono un ultimatum alla Grecia per capitolare. Ora le “istituzioni” (europee + FMI), che sono co-azioniste con la Grecia nel progetto della UE (escludendo il FMI) si comportano come nemici del popolo greco.  Prima, per lo meno, definivano chiaramente se stessi come nemici.

 

2. Cosa significa l’ultimatum dato dai creditori?

Più di quello che sembra. E’ parte di quanto sono andati causando i precedenti piani di austerità, memorandum e altre balle: una caduta del PIL del 25%, il 26% di disoccupazione, il 52% di disoccupazione giovanile (il più alto d’Europa e tre volte superiore  all’indice precedente alle misure di austerità), il 45% di pensionati poveri e il 40% dei bambini sotto la soglia di povertà.

E’ difficile capire perché i creditori insistono su misure che chiaramente nessun governo accetterebbe perché condannano a più miserie e più povertà.

Sembra che la ragione autentica che li muove sia la volontà di castigare politicamente il popolo greco per aver scelto un Governo di sinistra e di mettere in scacco il governo di Syriza.

 

3. I debiti vanno sempre pagati?

Questo è molto discutibile e c’è un ampio dibattito sul tema. Si tratta, non per niente, di una relazione di interscambio che non è consigliabile spezzare per ragioni, fondamentalmente, di convivenza e quindi, anche, di stabilità economica.

Storicamente parlando, di fatto, quasi nessuna cultura ha considerato positivamente il mancato pagamento. Ma ci sono delle eccezioni. La prima di queste è pratica. Molte volte i debiti contratti sono impagabili. Per questo da secoli si è soliti ristrutturarli, cioè differirli nel tempo, realizzare “tagli” (cioè condonare le parti più onerose o irrealizzabili, generalmente parte degli interessi), seguire una strategia  combinata di ristrutturazioni e cancellazioni o, in ultima istanza, fare “default”.

Nel caso della Grecia, la situazione è particolarmente sanguinosa: recentemente una Commissione di revisione ad hoc, nominata dall’attuale Governo, ha concluso che parte del debito del paese elleno è non illegittimo ma illegale. Si tratta del debito contratto da privati con istituzioni di credito straniere che, coscienti del rischio che questo implicava, concessero crediti a persone che non potevano pagarli. Parte di questo debito di entità finanziarie private fu in seguito assunta dallo Stato, un’operazione che  necessariamente non sempre è legale.

 

4. Il referendum implica l’uscita dall’euro?

Il referendum ha per oggetto, unicamente ed esclusivamente, l’ultimatum e non la possibile uscita dall’euro della Grecia. La Grecia è partner nell’Eurozona (composta da quei paesi dell’Unione Europea che condividono l’euro), non un’invitata o una di passaggio. Se gli altri paesi del detto club ritengono che la presenza della Grecia non è di beneficio per alcuno, dovrebbero cercare una formula che permettesse un’uscita negoziata della Grecia. Al contrario, sarebbe assurdo (un autentico suicidio politico, oltre che illogico) che la Grecia abbandonasse – unilateralmente – i suoi diritti come partner dell’Eurozona.

 

5. La Grecia potrebbe sopravvivere fuori dall’euro e dalla unione europea?

La risposta, decisa, è sì, anche se la stessa UE, al momento, neanche se lo pone.

Quello su cui vale di più la pena  riflettere è sulla filosofia del progetto iniziale  della UE e dell’Eurozona e in cosa si sono trasformati entrambi.

L’Europa merita una unione dove alcuni paesi ne castigano altri o dove alcuni popoli trattano altri come delinquenti perché si considerano più “avanzati” solo perché hanno degli indici macroeconomici “migliori”? L’Unione Europea fu concepita come progetto di solidarietà e unione tra i popoli, l’Europa non voleva tornare a vivere gli orrori di una grande guerra. Cosa è rimasto di questi ideali e chi, e perché, li ha pervertiti? Sono queste le autentiche domande di fondo.

 

6. Se non c’è un accordo, che cosa può fare la Grecia? Può chiedere aiuto ad altri paesi fuori dall’euro come la Russia o la Cina?

La Grecia, come paese sovrano, può fare coalizioni e accordi con qualsiasi paese o organismo che ritenga vantaggioso. Recentemente ci sono state conversazioni con la Russia (la Grecia ha vincoli storici e religiosi con questo paese), così come con la banca dello sviluppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, n.d.t.). ma non c’è paese o organismo che possa aiutare la Grecia sul tema del debito se non conta con i creditori. E la Grecia non sta cercando un nuovo padrone che la controlli attraverso il debito, la Grecia vuole solo risolvere il problema con i suoi partners e riformare la sua economia perchè non si ripeta questa situazione così tragica e umiliante.

 

7. Cosa significa questo impulso per i popoli d’Europa?

Se si castiga la Grecia per mettere paura ai popoli, allora che si chiamino le cose con il loro nome: siamo davanti ad una perversione oligarchica della democrazia in Europa.

I popoli possono decidere per paura in qualche momento storico, ma questo non dura per sempre e il peggio è che le loro reazioni successive possono essere, come dimostra la storia, ancor più radicali e violente. Per questo non si capisce perché i creditori preferiscano ricattare la Grecia con ultimatum se potrebbero risolvere la situazione (facendo anche un danno politico al governo di Tsipras obbligandolo a non rispettare il suo programma elettorale).

La Grecia è parte sostanziale dell’Europa, questa situazione sta soltanto indebolendo un progetto lontano dagli obiettivi con cui nacque, trasformandosi in un altro progetto diverso, di dominazione, tra paesi forti e deboli.

Quindi, di cosa stiamo parlando?

 

(*) Politologo greco, lavora all’Università britannica di Bath; sociologo e giornalista spagnolo; giornalista. da: rebelion.org; 30.6.2015

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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