Morti di lavoro. L’esempio perfetto

 

Morti di lavoro

 

L’esempio perfetto

 

di Daniela Trollio 

 

I fatti

 

Il 18 giugno 2013 Khaled Farouk Abd Elhamid, un giovane operaio di 34 anni, moriva mentre smontava il palco del concerto appena dato dai Kiss al Forum di Assago (Milano). Khaled era rimasto schiacciato tra la parete del montacarichi e uno dei 6 pesanti carrelli con ruote che vi stava caricando.

 

Quasi 4 anni dopo il Tribunale di Milano – sempre “celere” quando si tratta di morti sul o di lavoro – ha emesso la sua sentenza, su cui torneremo tra poco. 

 

Per emettere la sentenza, il tribunale ha dovuto ripercorrere una lunga catena, quella degli appalti. Facciamolo anche noi. Prima di tutto abbiamo:  (1) la società americana dei Kiss, la Gapp 2002, partecipe all’organizzazione, che però per l’allestimento del palco aveva stipulato un contratto con (2) la Barley Arts Promotion la quale, per l’allestimento del palco, aveva firmato un contratto con la (3) Cooperativa Working Crew che, a sua volta, per la “somministrazione” di altri operai aveva fatto un contratto con (4) la Cooperativa Work in Progress. Tranquilli ….. l’elenco è finito. 

 

Le condizioni in cui dovevano lavorare quella sera Khaled e gli altri tre suoi compagni erano le seguenti: “gli era stato consegnato un braccialetto giallo ed erano state impartite direttive da un uomo alto e tatuato. Nessuna formazione e informazione relativa ai rischi”. Uno dei suoi compagni di lavoro le ha poi descritte così durante il dibattimento: “Non conosco la sede della cooperativa, non ci sono mai stato, non ho mai parlato con nessuno. Un amico mi telefona quando c’è qualche lavoro da fare, mi dice dove andare e dopo un po’ di tempo che ho lavorato mi fa avere i soldi”.

Le colpe

 

Attribuire responsabilità alla (1) Gapp 2002 è impossibile per il tribunale: “l’inquadramento della società, (di diritto straniero) si rivela in concreto molto problematica all’interno della normativa di riferimento” Quindi … assolti.

 

Per quello che riguarda la (2) Barley Arts Promotion: poichè si sono rivolti a imprese e professionisti in teoria adeguati e dato che nel 2014 il Ministero del Lavoro ha modificato una norma del 2008 emanando il cosiddetto “decreto palchi” che “ha inciso sui contenuti minimi del Piano operativo di sicurezza e ne ha ridotto l’estensione” traducendosi in una “parziale depenalizzazione di fatto” della mancata valutazione del rischio tipico nell’utilizzo del montacarichi, la società va …. assolta.

 

La (4) Work in Progress forniva personale che operava “sotto l’esclusiva responsabilità, controllo e direzione di Working Crew”. Di conseguenza …. assolta.

 

Gli unici a pagare saranno quelli della Working Crew, i cui amministratori – uno patteggia 22 mesi e l’altra condannata a 9 mesi – vengono inoltre  condannati per “illecito amministrativo” alla sanzione di 90.300 euro per “aver usufruito di una somministrazione irregolare di lavoro”.

 

Pensiero: la vita di un operaio vale 22 mesi (virtuali??) di galera ma un illecito amministrativo è ben più importante.

 

Non manca, infine, perché il tribunale è al di sopra delle parti – come ben sappiamo – una critica alla condotta di Khaled, che purtroppo - però - non può più replicare: “la sua condotta è stata certamente imprudente proprio per l’esiguità dello spazio libero nel montacarichi”, anche se questa “condotta imprudente rappresenta la conseguenza diretta della mancata formazione”. Ma va’, avevamo proprio bisogno di questa precisazione!! 

 

Abbiamo scelto di ricordare, nonostante il tempo passato, la storia di Khaled perché è un ‘esempio perfetto’  di quello che è oggi il lavoro salariato. Bene, la vicenda di Khaled non è solo sua, è quella di migliaia e migliaia di altri lavoratori. Lo chiamano “lavoro nero” e ogni volta che scoppia un caso eclatante si tornano a spandere fiumi di inchiostro. Ma quando questi casi arrivano in un tribunale dello Stato, scopriamo che ci sono una miriade di leggi che concedono la totale impunità ai capitalisti che fanno le loro fortune su questo “lavoro nero”(oltre che su quello regolare): tanto per cominciare non si può processare una società a capitale straniero… con buona pace di quelle frattaglie ideologiche come l’italianità, lo Stato, la Patria ecc.ecc. 

 

Qualcuno pensa ancora che cose come quella successa a Khaled riguardino “solo” una categoria debolissima – super sfruttata e super ricattata - come gli immigrati. Ma ogni volta che si è scardinato un diritto si è sempre partiti dalle categorie “deboli” per arrivare a quelle cosiddette più “forti”. Pensiamo all’allungamento dell’età pensionabile, inflitto per primo ai lavoratori statali (secondo l’opinione pubblica noti fannulloni): adesso tutti andiamo in pensione – se ce la facciamo - a 67 anni. E questo è solo un esempio.

 

E’ vero che in Italia ci sono ancora leggi e contratti collettivi, ma questi valgono però poco più della carta su cui sono scritti. Il Job Act ha messo definitivamente fine al lavoro “dipendente” per trasformare ogni lavoratore in un precario. Il nostro futuro è il presente di Khaled: qualcuno ci telefonerà e ci dirà dove dobbiamo andare a lavorare poche ore dopo. 

 

Qualcuno dirà che se manca il lavoro non si può fare altro che sottostare alle condizioni più infami. Non è vero, quello che manca è un forte e organizzato movimento operaio, l’unica condizione che può contrastare non la mancanza del lavoro – che non manca -  ma l’avidità cieca e senza più alcun freno dei capitalisti.  Nessun altro miracoloso marchingegno economico può farlo. Un movimento che, nella storia, ha permesso alle classi sfruttate ed oppresse di “strappare” condizioni di vita e di lavoro più umane. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è più sufficiente “strappare”, perché appena il movimento si indebolisce le conquiste di anni e anni di lotte vengono, più o meno immediatamente, cancellate per essere sostituite da un’unica disumana regola, quella del massimo profitto per i capitalisti.

 

E questo presuppone l’esistenza di un partito di classe, di un sindacato di classe e la prospettiva di un mondo completamente diverso, che noi continuiamo a chiamare socialismo e per cui continuiamo a lavorare e a batterci. 

 

Ad ognuno di noi è capitato di sentire, o di ripetere, la famosa frase di Rosa Luxemburg “Socialismo o barbarie”. La morte di Khaled, e delle migliaia di lavoratori che come lui muoiono ogni anno, ci dice che alla barbarie ci siamo già.  Ma non siamo ancora al punto di non ritorno, possiamo ancora invertire la rotta. Che ognuno di noi lavori per questo.

  

 

(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni) 

 

Anteprima di “nuova unità”

 

 

 

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