L'EREDITA' DI UGO CHAVEZ

L’eredità di Hugo Chàvez

 

di Atilio Boron (*); da: lahaine.org; 5.3.2018

 

Oggi, 5 marzo, sono passati cinque anni dalla sparizione fisica di Hugo Chàvez.

 

E’ giusto e necessario fare una breve riflessione sull’eredità che ha lasciato la sua presenza in Venezuela, in America Latina e nei Caraibi. Come precedentemente, nel 1956, con Fidel e con il trionfo della Rivoluzione Cubana, l’irruzione di Chàvez nella politica del suo paese si internazionalizzò rapidamente e raggiunse una proiezione continentale. Non sarebbe un’esagerazione affermare che, con una differenza di quarant’anni (ricordiamo che il bolivariano assume la presidenza del suo paese nel 1999), la storia contemporanea della Nostra America sperimentò questi due terremoti politici che modificarono irreversibilmente il paesaggio politico e sociale della regione.

 

Chàvez raccolse le bandiere che erano state innalzate da Fidel - la sua esortazione martiana a lottare per la seconda e definitiva Indipendenza dei nostri popoli – e le piantò nel fertile terreno della tradizione bolivariana.

 

Con Chàvez divenne realtà ciò che cantava il verso di Neruda, che fa dire al Liberatore “mi sveglio ogni cento anni quando si sveglia il popolo”. E con la ribellione del 4 febbraio Chàvez mise fine al letargo del popolo, ribellione che “per ora” era stata sconfitta. Ma Chàvez sapeva che quel popolo si stava già preparando per le grandi battaglie a cui era stato chiamato da Bolìvar, reincarnato nei corpi e nelle anime di milioni di venezuelane e venezuelani che scesero nelle strade per portare Chàvez al palazzo di Miraflores.  E quando la cospirazione dell’imperialismo e dei suoi servi locali volle mettere fine a quel processo, l’11 aprile del 2002, un’immensa mobilitazione popolare fece saltare in aria i lugubri emissari del passato e riportò il Comandante Chàvez alla Presidenza.

I cinque anni trascorsi dalla sua semina forniscono una prospettiva sufficiente per valutare la portata della sua copiosa e multiforme eredità. Gli avanzamenti economici e sociali sperimentati dal popolo venezuelano, oggi attaccati con ferocia selvaggia dalla sfrenatezza nordamericana e dagli infami suo luogotenenti locali, sono importanti ma non sono l’essenziale. A nostro giudizio la cosa fondamentale, essenziale, è che Chàvez produsse una rivoluzione nelle coscienze, cambiò per sempre la testa dei nostri popoli, e questo è un risultato più significativo e durevole di qualsiasi miglioramento economico.

 

Grazie a Chàvez, nel suo paese natale e in tutta l’America Latina ed i Caraibi, si fece carne l’idea che gli avanzamenti ottenuti in questi ultimi vent’anni sono irreversibili e che qualsiasi pretesa di tornare al passato inciamperà con enormi resistenze popolari. L’immensa popolarità di Chàvez in tutta la regione rivela la profondità di quei cambiamenti sperimentati nell’immaginario popolare.

 

Alcuni ritengono, con evidente cattiva intenzione, che il “ciclo progressista” sia finito. Ma i ventriloqui dell’imperialismo cercano invano di nascondere che l’eroica resistenza dei venezuelani di fronte alle brutali aggressioni e agli attacchi lanciati da Washington rivela, invece, che nonostante le enormi difficoltà e privazioni di ogni tipo a cui è sottoposto il popolo venezuelano, questo non tollererà un ritorno al passato, a quella “moribonda costituzione” che Chàvez avrebbe sostituito con una forma giuridica esemplare.

 

E quel popolo resiste, e lo fa con tanta forza che l’opposizione – che chiedeva le elezioni per  mettere fine al governo di Nicolàs Maduro – ora non accetta la sfida perchè sa che sarà schiacciata da uno tsunami chavista. La sua opzione ora è chiaramente extra istituzionale o, più chiarimente, insurrezionale.

 

Resistono in Venezuela, come fa e come lotta con incredibile eroismo il popolo honduregno davanti alla farsa elettorale montata dalla “ambasciata” (nordamericana, n.d.t.) a Tegucigalpa. Sono già passati tre mesi da quando è stato proclamato il trionfo di Juan O. Hernàndez ed il popolo è ancora nelle piazze a protestare per l’osceno furto elettorale. Come l’hanno fatto prima, per mesi, i messicani a causa della rapina perpetrata contro Andrès Manuel Lòpez Obrador nelle elezioni del 2012.

 

Popoli che aderiscono alle candidature progressiste e di sinistra in Messico (ancora con Lòpez Obrador) e in Colombia (con Gustavo Petro), o che con la loro astensione mostrano il rifiuto davanti alla truffa elettorale montata nelle elezioni presidenziali del Cile. Resistono anche in Brasile, dove Michel Temer è il presidente più impopolare della storia recente (con un livello di approvazione del 3%, mentre la negatività della sua immagine raggiunge il 75%) e lottano per elezioni oneste, con Lula candidato. E in Perù, dove il  governo di Pedro P. Kuczinski è stato pesantemente macchiato dalle prove del caso Odebrecht (un’enorme trama di corruzione del gigante delle costruzioni, n.d.t.) e ondeggia davanti alla crescente ondata di scontento che ricorre il paese. E il popolo resiste con determinazione e coraggio in Argentina, mettendo sulla difensiva il governo di Mauricio Macri e gettando spesse ombre sulla possibile continuità del governo di “Cambiemos” (coalizione di tre partiti, guidata da Macri, n.d.t.) dopo le elezioni del 2019.

 

Qui sta la straordinaria eredità di Chàvez: ha cambiato la coscienza dei popoli, ha trionfato nella “battaglia delle idee” reclamata da Fidel e per cui in America Latina e nei Caraibi la destra non può più vincere elezioni, con la solitaria – e sicuramente temporanea – eccezione dell’Argentina.

 

Negli altri paesi l’impero deve ricorrere al “golpe blando” come in Honduras, Paraguay, Brasile, o alla frode più sfacciata come in Honduras e Messico, o scaricare il suo enorme potere mediatico per impaurire e confondere la popolazione, come in Bolivia, o blindare mediaticamente la corruzione del governo di Mauricio Mcri in Argentina; o rifacendosi al vecchio espediente colombiano di assassinare i candidati delle forze oppositrici, come hanno provato a fare pochi giorni fa con Gustavo Petro, che guida le ‘intenzioni di voto’ nella sofferente e tenera Colombia.

 

E là dove ancora non ci sono forze di sinistra o progressiste costituite come vere alternativa – caso del Cile – la risposta popolare è l’astensione e il rifiuto di quella dirigenza politica conservatrice e neocoloniale.

 

Conclusione: nessuna “fine del ciclo”. La lotta continua mentre la destra cerca infruttuosamente di stabilizzare il suo progetto conservatore che, fino ad ora è solo questo, un progetto.

 

(*) Politologo argentino

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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