CONTRO LA PROPAGANDA BORGHESE SEMPRE

Editoriale n. 5 della rivista “nuova unità”

 

CONTRO LA PROPAGANDA BORGHESE. SEMPRE


Che fa la borghesia quando teme che la propria sopravvivenza sia messa in pericolo? Rafforza l'anticomunismo
L'estate sta finendo, Covid 19 continua a monopolizzare l'informazione, la scuola è al centro dello scontro tra governo e opposizioni che sono in piena campagna per le elezioni locali e regionali. E poi c'è il referendum sul taglio dei parlamentari, l'ennesima trovata del Movimento 5S alla ricerca del recupero del consenso elettorale: ipocrita, populista, di trasformazione reazionaria dello Stato sempre più a favore del potere politico ed economico della borghesia e che si rifà al "Piano di Rinascita Democratica” di Gelli e della sua Loggia P2, eversiva e filoatlantica.

 

 

 Per lo Stato sprecone, che continua ad aumentare la spesa pubblica, il risparmio è veramente irrisorio - rappresenta lo 0,006% del totale della spesa - mentre nessuno, neppure e tantomeno gli sloganisti di Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia avanzano proposte reali del tipo tagliamo retribuzioni, benefit, vitalizi che in questa Italia che piange miseria e si inginocchia alla UE hanno raggiunto cifre esagerate rispetto agli altri stessi paesi europei.

 

A Rimini tutti sono corsi alla corte di Comunione e Liberazione come fosse un appuntamento obbligato. Forse lo è, visto che quello che si presenta come "Meeting per l'amicizia fra i popoli" non solo è curato dalla "Fondazione per la Sussidiarietà" in collaborazione con ASviS (Alleanza per lo sviluppo sostenibile), Fondazione Symbola ma... anche da Cassa Depositi e Prestiti che, detenendo l'83% del Ministero dell'economia e delle finanze, fa sì che questa iniziativa sia sostenuta con i soldi degli italiani che siano o no d'accordo con la politica spazzatura che ne emerge da questa passerella di politici, governanti, autocandidati alla presidenza della Repubblica come Draghi.

 Nonostante la crisi non si segnalano ancora ribellioni del settore operaio, della ristorazione, alberghiero, sanitario, ma si sono aperte nella società sacche di protesta con il rifiuto e la perdita di fiducia nelle autorità. È successo a Genova in occasione dell'inaugurazione del ponte. Nonostante la "cerimonia sobria" dopo l'annunciata carnevalata, al taglio del nastro il 4 agosto parate di Conte, del sindaco e commissario, Marco Bucci, del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, dell'architetto e ideatore del progetto, Renzo Piano, di vescovi e cardinali per la benedizione e le Frecce Tricolore che hanno disegnato in cielo la bandiera di San Giorgio e la colonna sonora "Creuza de ma" di Fabrizio De Andrè (Dori Ghezzi non ha ritegno), e... mille ombrelloni pronti in caso di pioggia (ma quanto ci costano!) i parenti delle 43 vittime hanno disertato denunciando i mancati controlli che avrebbero evitato la tragedia, chiedendo la revoca della concessione ad Autostrade.

 

 I parenti erano invece sotto il ponte il 14 agosto - in una Genova blindata e bloccata da forze dell'ordine per la preoccupazione che qualcuno rovinasse la “festa” - chiedendo di non essere dimenticati dopo l'anniversario: "Non vogliamo che tutto finisca, con questa ubriacatura di felicità. È vero che il ponte è giusto che ci sia, ma le vittime non devono essere dimenticate, il Paese non può entrare in una voragine come quella del crollo, con questa vergogna". Con loro i familiari della strage di Viareggio, lavoratori, sindacati di Genova, il CLA (Coordinamento lavoratori/trici autoconvocati per l'unità della classe) con un suo volantino, e una delegazione di compagni del CCT (Coordinamento comunista toscano) impegnati alla Festa dei "Partigiani sempre" che era in corso a Viareggio.


Perdita di fiducia anche da parte dei terremotati di Amatrice e Accumuli, stanchi delle promesse non mantenute che il 24 agosto - a quattro anni dal sisma - hanno lasciato le seggiole vuote alla funzione condotta dal vescovo di Rieti e alla presenza, tra gli altri, di Conte e Zingaretti, del commissario al sisma Giovanni Legnini e del capo della Protezione Civile Borrelli e hanno preferito partecipare alla celebrazione che si è svolta nella notte ad Amatrice. Una protesta per la mancata ricostruzione resa ancora più efficace dal meschino e inappropriato messaggio di Mattarella sulla ricostruzione incompiuta.


Che fa la borghesia quando teme che la propria sopravvivenza sia messa in pericolo?

 

Rafforza l'anticomunismo. A Rimini Draghi cita la “preghiera per la serenità” del teologo anticomunista Karl Paul Reinhold Niebuhr: “Signore, dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza”.

 La disinformazione di massa riesuma Tito definendolo dittatore comunista e dittatore comunista, anzi stalinista, è anche Lukašenko, ma ignora volutamento tutti i dittatori reazionari, fascisti e monarchici che dominano nelle diverse parti del mondo.

È "l'obiettività" della stampa che non ammette sistemi diversi dal capitalismo, anche se non si tratta di comunismo. Un esempio è il film in concorso a Venezia, “Cari compagni” del regista Andrej Konchalovsky. Una pellicola – dicono – che si basa su un fatto realmente accaduto e tenuto segreto per molto tempo: il massacro a Novocherkassk del 2 giugno del 1962. Si attaccano i principi sovietici e stalinisti, a 9 anni dalla morte di Stalin e in piena nefasta gestione kruscioviana.


Nell'anticomunismo viscerale si rilanciano le foibe, una strumentalizzazione che non ha attecchito a livello di massa nonostante imposizioni nelle scuole e giornate del ricordo. Il presidente Mattarella è un buon complice in queste vicende. Così, col suo omologo sloveno Borut Pahor - il primo presidente di uno dei Paesi nati dallo smembramento della Jugoslavia a commemorare le vittime italiane delle foibe - ha deposto una corona di fiori alla foiba di Basovizza tenendosi per mano: ipocrisia e falsa democrazia.

Nell'occasione emerge che nel Kočevski rog hanno scoperto un'altra foiba con i resti di 250 persone.  Scende di nuovo in campo l’Unione degli istriani che dichiara: incrociando dati e testimonianze sull’attività partigiana in quella zona, la responsabilità dell’eccidio è da attribuire all’Ozna, la polizia segreta jugoslava, e in particolare al suo braccio operativo, il Knoj (Korpus narodne obrambe Jugoslavije) cioè il Corpo di difesa popolare della Jugoslavia, costituito da partigiani e incaricato della sicurezza interna dei territori ‘liberati’ durante la seconda guerra mondiale in Jugoslavia. Il senatore di Fratelli d'Italia, Massimo Ruspandini commenta: "A distanza di anni noi continuiamo a ricordare”, mentre Salvini parla di “furia sterminatrice del comunismo titino”.


Quello che non dimentichiamo noi, invece, sono gli orrori della guerra scatenata dai nazi-fascisti; che la Jugoslavia e tutta l’area dei Balcani, fu occupata in poco più di dieci giorni dai militari tedeschi con gli italiani che facevano gli “accompagnatori” buoni; che 400mila militari jugoslavi furono fatti prigionieri e molti finirono nei lager di sterminio. Che l’Italia fascista si annesse una parte di Slovenia e Croazia, consistenti aree del Kosovo, Macedonia, Montenegro - in aggiunta all’Albania, già occupata dall’Italia nell’aprile del 1939.

 

 Non dimentichiamo l'enorme sacrificio di sangue pagato dagli jugoslavi per cacciare gli invasori nazifascisti italo-tedeschi e gli ustascia che - come fecero i nazisti a Berlino, mandarono allo sbaraglio anche “i ragazzini” - e tutti coloro che si erano schierati con i promulgatori della “razza eletta”, nello sterminio di chi si batteva per la libertà in un contesto storico che vedeva l'Italia con la Rsi e la Francia con Petain.


E rientra nel disegno anticomunista il sostegno de
i tutori della “democrazia” occidentale all'ennesima rivoluzione colorata in Bielorussia - l'ultimo paese ai confini con la Russia finora libero da basi USA e NATO - dove il 9 agosto oltre l'80% degli elettori ha confermato Alekslandr Lukašenko per la sesta volta alla presidenza. Per ora, una nuova “majdan”, come quella che produsse il golpe nazista del 2014 a Kiev, non è andata in porto. A differenza dell'Ucraina, a Minsk non si è puntato su un golpe violento apertamente nazista, bensì sulla tattica più blanda, dello “sciopero generale” e dell'uso di tre mogli - del tutto sconosciute alla politica - dei tre oppositori.


La Bielorussia è, in prospettiva, una piazzaforte troppo preziosa per le mosse USA e NATO nell'area Polonia-Baltico: piuttosto che rischiare di perderla del tutto a favore della Russia, meglio avere ora un po' di pazienza. In ogni caso, rimane l'obiettivo del suo inserimento in UE e NATO, per stravolgere l'intero equilibrio missilistico nucleare ai confini russi. Armate di tutto punto Romania, Polonia, Paesi baltici, la Bielorussia rimane l'unico spazio da cui Mosca può contrapporre a USA e NATO il proprio potenziale missilistico; e rimane anche il corridoio preferenziale da cui passare per arrivare a Mosca.


Su questo numero pubblichiamo un primo commento, ma ci sarà occasione di tornare sulla questione, sulle ispirazioni “democratiche”, europeiste, privatizzatrici dell'opposizione; sui nessi di classe della situazione bielorussa, su quale classe sia espressa nella figura dell'ultimo "dittatore d'Europa”; su quali forze stiano dietro alle azioni di determinate “masse di opposizione”; sulla comunanza di “idee” tra liberali, sinistre arcobaleno e anarco-trotskisti, tutti a inneggiare all'opposizione contro quello che viene fatto passare, a uso e consumo della propaganda borghese, per ultimo “feroce stalinista”.


Ci sarà modo di tornare sulla debolezza delle organizzazioni comuniste o di sinistra, anche perseguite da Lukašenko, nel suo continuo mercanteggiare tra est e ovest; sullo stato sociale andato via via scomparendo in quella che era la più prospera tra le ex Repubbliche sovietiche; su tutto ciò che ha provocato l'indignazione di tanta popolazione bielorussa, anche operaia. Un'indignazione su cui hanno lavorato a piene mani sia gli agenti esterni del capitale internazionale, che la “quinta colonna” della borghesia compradora interna, bramosa di accaparrarsi le proprie quote, dalla privatizzazione delle proprietà e dei grossi complessi industriali di Stato.

 

 

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