Pesticidi

L’Europa esporta veleni proibiti nei suoi paesi

Di Sergio Ferrari (*); da: rebelion.org; 7.10.2020

 

I pesticidi europei invadono i cinque continenti. Alle multinazionali agrochimiche con sede nel Vecchio Mondo non importa se i propri prodotti non sono autorizzati alla vendita nell’Europa stessa. Tutto vale e la deontologia, per esse, non esiste nel dizionario del profitto.

 

Nel 2018 grandi società dei paesi dell’Unione Europea (UE) hanno esportato più di 81.000 tonnellate di pesticidi di cui è proibita la vendita sul mercato continentale perché contengono sostanze che danneggiano seriamente la salute umana e l’ambiente.

 

I principali esportatori sono state compagnie del Regno Unito con 32.187 tonnellate, dell’Italia con 9.499 tonnellate, della Germania con 8.078, dei Paesi Bassi con 8.010. Nello stesso periodo la Francia ha venduto fuori dalla UE 7.663 tonnellate, la Spagna 5.182 e il Belgio 4.907.

Destinazione: circa 85 paesi – i tre quarti definiti “in via di sviluppo” o emergenti, tra i quali, in America Latina, Brasile, Messico, Argentina, Cile, Perù, Ecuador e Honduras solo per citarne alcuni.

 

Tra i principali destinatari delle sostanze chimiche proibite su suolo europeo vi sono paesi che, paradossalmente, alla fin fine nutrono l’Unione Europea con prodotti agricoli. La UE permette così alle sue imprese chimiche e agrochimiche di esportare dal suo territorio sostanze che in seguito si ritroveranno residualmente negli alimenti consumati dalla sua popolazione. Perversa pratica di boomerang di mercato.

 

Queste società approfittano così di attività economiche in nazioni dove i regolamenti e i controlli sono meno severi e i rischi più elevati che nella UE stessa, conclude l’inchiesta elaborata dalla OnG svizzera Public Eye (Occhio Pubblico) in collaborazione con Unearthed, cellula di ricerca della Gran Bretagna. Lo studio, i cui risultati iniziali sono stati resi noti all’inizio del 2020, torna ad occupare oggi lo spazio mediatico con i suoi dettagli  diffusi a fine settembre.

 

Una indagine intelligente

Per evitare le risposte edulcorate delle multinazionali agrochimiche, per mesi i ricercatori delle due OnG hanno chiesto informazioni direttamente all’Agenzia Europea dei Prodotti Chimici (ECHA), incaricata di regolare le sostanze chimiche e biocide sul mercato continentale. L’agenzia esamina prodotti di questo tipo e osserva se rispettano le norme. Si dedica anche, in collaborazione con i governi nazionali, all’analisi delle sostanze più pericolose e, in certi paesi, identifica quelle che obbligano ad una maggiore gestione dei rischi per proteggere le persone e l’ambiente. Collabora anche con un centinaio di organizzazioni “accreditate” legate alla produzione, all’ambiente, accademiche e sindacali tra cui Greenpeace.

 

Attraverso la ECHA i ricercatori hanno potuto raccogliere migliaia di notifiche di esportazione, cioè i formulari che secondo la legislazione europea le società devono compilare quando si tratta di prodotti che contengono sostanze chimiche di cui è proibita la commercializzazione nell’Unione Europea. “Anche se a volte queste notifiche possono differire dai volumi effettivamente esportati, questa documentazione costituisce la fonte di informazione più completa” segnala lo studio.

Risultato: le due OnG sono riuscite a compilare una cartografia finora inedita delle esportazioni di pesticidi proibiti che partono dai diversi paesi della UE. Hanno identificato un totale di 41 prodotti di questa categoria, dei quali sono riconosciuti ufficialmente alcuni degli effetti più gravi: tossicità acuta, malformazioni genetiche, problemi riproduttivi o del sistema ormonale, cancro, contaminazione delle fonti d’acqua potabile, impatti negativi sugli ecosistemi.

Come parte dell’inchiesta, Public Eye e GreenPeace hanno anche contattato circa 30 società delle quali 15 – Syngenta compresa – hanno risposto. Le stesse utilizzano quattro argomenti retorici sempre ripetuti: i loro prodotti sono sicuri, sono impegnate nella riduzione dei rischi, rispettano le leggi dei paesi dove operano e questi decidono liberamente sui pesticidi più adeguati per gli agricoltori locali. E, in particolare, che è normale che numerosi pesticidi venduti all’estero non vengano registrati nella UE dato che il clima e il tipo di agricoltura sono diversi da quelli europei.

 

Circolo macabro: sementi di laboratorio e pesticidi

Prodotto dalla multinazionale chimica svizzera Syngenta nella sua fabbrica inglese di Huddersfield, il Paraquat è proibito dal 1989 in Svizzera e dal 2007 nell’Unione Europea. Nel 2018 i funzionari britannici autorizzarono la società ad esportare niente meno che 28.000 tonnellate di un prodotto che incorpora il suddetto veleno venduto su molti mercati con il nome di Gramoxone. La metà destinata agli Stati Uniti, dove la multinazionale è stata portata in  tribunale da contadini che soffrono del morbo di Parkinson. L’altra metà è andata in direzione dei principali consumatori mondiali come Brasile, Messico, India, Colombia, Indonesia, Ecuador e Africa del Sud. La sua commercializzazione si espande in buona parte del pianeta, compresi molti paesi latinoamericani.

Primo produttore di pesticidi al mondo e terzo fabbricante di sementi, Syngenta costituisce, con la Monsanto, il simbolo dell’agricoltura industriale. Nel 2018 l’organizzazione svizzera Multiwatch pubblicò la versione francese del suo “Libro nero dei pesticidi”. Questa associazione, che si dedica a denunciare le politiche illegali delle multinazionali, mostra nel libro che i tre quarti dell’attività di Syngenta sono consacrati a produrre prodotti fitosanitari e un quarto alla produzione di organismi geneticamente modificati (OGM). Assistiamo così all’appropriazione della natura da parte delle multinazionali al fine di costituire dei monopoli sul mercato di semenze e pesticidi. E i libro denuncia il meccanismo diabolico che porta i contadini, fondamentalmente del Sud, a dover comprare le sementi “con il grosso rischio di aumentare i loro debiti e diminuire la biodiversità e il loro obbligo di usare i pesticidi prodotti dalle stesse multinazionali responsabili della degradazione della salute loro e delle popolazioni esposte a questi prodotti.

Gli esempi non mancan : dal Pakistan alle Hawai, dall’India al continente africano e in tutta l’America Latina.

Multiwatch ha dedicato questo libro al militante sociale brasiliano Keno, dirigente del MST (Movimento dei Lavoratori rurali senza Terra) assassinato nel 2007 a Santa Tereza do Oeste, nello Stato del Paranà, da membri di una società privata di sicurezza assoldata da Syngenta che, otto anni dopo, è stata condannata per questo fatto.

In questa pubblicazione gli autori riprendono cifre provenienti dalla stessa ONU. L’organismo internazionale calcolava che già nel 2017 fossero circa 200 mila i decessi a causa dell’uso dei pesticidi. E sottolineava la grande capacità delle multinazionali di cambiare ‘abito’ quando il discredito minaccia i loro interessi. Allo stesso modo in cui la statunitense Monsanto sparì nel 2017 assorbita dal gigante tedesco Bayer, la Syngenta svizzera è stata venduta nel 2016 alla Chemchina anche se la sua sede principale continua ad essere a Basilea, capitale svizzera dell’industria chimica.

UN rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) del settembre 2019 indicava inoltre che ogni 40 secondi avviene il suicidio di una persona in qualche luogo del pianeta. L’avvelenamento con pesticidi è uno dei tre metodi più usato.

 

Concessioni alle multinazionali

Nel luglio di quest’anno Baskut Tuncak, allora ancora Relatore speciale delle Nazioni Hnite sui prodotti tossici, chiese ai paesi più ricchi di mettere fine alla “deplorevole” pratica dell’esportazione dei prodotti chimici e pesticidi tossici proibiti alle nazioni più povere che mancano della “capacità di controllare i rischi”. La sua dichiarazione è stata sostenuta da altri 35 esperti del Consiglio dei Diritti Umani, tra cui David Boyd, Relatore Speciale per i diritti umani e l’ambiente, Tendayi Achiume, Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, Francisco Cali Tzay, Relatore speciale sui diritti dei popoli indigeni e Michael Fakhri, Relatore speciale sul diritto all’alimentazione.

Tuncak ha spiegato che le nazioni più ricche di solito applicano un meccanismo discutibile “che permette il commercio e l’uso di sostanze proibite in parti del mondo dove le regolamentazioni sono meno ristrette, esternalizzando l’impatto sanitario e ambientale sui più vulnerabili … Questi vuoti legali sono una concessione politica all’industria”, che permette ai fabbricanti di prodotti chimici di approfittarsi di lavoratori e comunità avvelenati all’estero. “E’ da molto tempo che gli Stati avrebbero dovuto mettere fine a questo sfruttamento”, ha concluso.

 

Veleno per molti – in particolare per i contadini dei paesi periferici – profitti enormi per le grandi multinazionali agrochimiche. Due facce di una realtà planetaria che, tuttavia, non si ferma solo nei danni alla salute e all’ambiente del Sud del mondo.

Va e viene, come un enorme boomerang interoceanico e arriva inesorabilmente anche nel piatto di ogni giorno del consumatore europeo.

 

(*) Giornalista argentino, collaboratore della piattaforma UNITE, OnG di volontariato solidale Nord-Sud-Nord

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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