Francia

Francia: l’islam, la laicità e la necessità di cambiare approccio

di Victor Albert Blanco (*); da: elsaltodiario.com; 31.10.2020

 

L’attacco dello scorso giovedì, 29 ottobre, finito con la morte di tre persone nella cattedrale di Nizza, e l’assassinio, il 16 ottobre, del professor Samuel Paty, hanno nuovamente messo all’ordine del giorno politico e mediatico il dibattito sul posto dell’islam nella Francia contemporanea.

Come avviene da tempo, gli attentati commessi in nome della religione musulmana suscitano una catena di reazioni che mette nel mirino l’insieme dei credenti di questa confessione e alcune delle loro pratiche religiose.

 

Il governo francese è arrivato persino a proporre  la dissoluzione di alcune associazioni che non soltanto non hanno alcun legame provato con la violenza, ma che sono riconosciute da organismi internazionali come le Nazioni Unite o l’Unione Europea.

In modo preoccupante una parte della sinistra, dal primo segretario del Partito Socialista al leader di “Francia indomita” ascolta compiacente il discorso governativo, partecipando ad una mal definita ‘unità repubblicana’ il cui argomento principale è la distinzione fra buoni e cattivi francesi in base alla loro religione.

 

Partendo dalla condanna senza appello dell’atto terroristico e dalla difesa della libertà di espressione, si rende tuttavia necessario immaginare un cambio di prospettiva che generi uno sguardo critico delle attuali istituzioni e politiche che, in nome della Repubblica e della laicità, relegano continuamente una parte importante della popolazione francese in una condizione subalterna.

 

Molte delle reazioni mediatiche e politiche degli ultimi giorni si basano sulla costruzione di una dicotomia che vede un islam potenzialmente duro come una minaccia perpetua e immutabile e una Repubblica ufficialmente illuminata e emancipatrice.

Il nuovo discorso dominante alza la bandiera della libertà di espressione e dello spirito critico, ma sembra che questi principi siano più validi quando si tratta di mettere in discussione l’islam e i musulmani.

 

Evidentemente nulla giustifica la censura o il reato di blasfemia in società apparentemente laiche e democratiche, e meno ancora la violenza. Ma forse dovremmo chiederci perché le copertine di alcuni settimanali satirici (diciamolo …. con ben poco stile) vengono considerate stendardi della libertà quando si tratta di deridere i musulmani, e chiederci allo stesso tempo quale sarebbe la nostra reazione se vi vedessimo caricature di altri gruppi storicamente o attualmente discriminati come gli ebrei, la popolazione nera o i collettivi LGBTI.

 

Vale la pena di ricordare anche che nei paesi democratici la libertà di espressione va di pari passo alla libertà di culto, e che in Francia così stabilisce sia la vigente Costituzione della 5° Repubblica, sia la legge del 1905 sulla “separazione della chiesa e dello Stato”.

Contrariamente all’uso fasullo che alcuni fanno di essa, la laicità non dovrebbe essere un compendio di proibizioni di pratiche e simboli religiosi. Come principio di base di qualsiasi società pluralista, la laicità  dovrebbe essere una cornice di libertà collettive in cui tutte le credenze e le convinzioni possano esprimersi rispettando i minimi democratici stabiliti fra tutti.

 

E’ quindi preoccupante che l’attentato sia utilizzato dal governo francese per instaurare nuove misure che possono limitare la libertà religiosa di una parte della popolazione.

Fa vergognare il fatto che il ministro dell’Interno (accusato di aggressione sessuale, ricordiamolo..) mostri il suo profondo disaccordo davanti al fatto che i supermercati abbiano banchi di prodotti ‘halal’  (cibo preparato secondo le norme della legge islamica, n.d.t.).

Allora sono i musulmani il capro espiatorio dei responsabili di istituzioni repubblicane la cui deriva sarebbe caricaturale se non fosse che ha drammatiche conseguenze simboliche e materiali per milioni di francesi.

 

La libertà di espressione non è  un luogo riservato solo alla critica (a volte, sembra anche all’offesa) delle religioni. Se lo spirito critico serve (fortunatamente) a mettere in discussione i culti, deve anche permettere di segnalare le carenze delle istituzioni, i loro limiti e disfunzioni.

 

I musulmani, senza alcun dubbio, sono le principali vittime di una deriva autoritaria e antidemocratica. Ma, nella logica binaria che il governo e alcuni media vogliono imporre, sembra sia necessario scegliere tra “loro” o “noi”.

 

Non c’è niente di nuovo. Lo diceva già Manuel Valls nel 2015 quando era primo ministro, accusando le scienze sociali di essere compiacenti con il terrorismo. “Voler spiegare è già giustificare” disse.

E qualcosa del genere ha detto in questi giorni l’attuale ministro dell’educazione, accusando le università e uno dei principali sindacati studenteschi del paese di soccombere alla “islamosinistra” che prepara il terreno al “terrorismo”.

Definizioni come questa, inventate dall’estrema destra, e altre simili sono al momento utilizzate per mettere in discussioni organizzazioni storiche di difesa dei diritti umani e di lotta contro le discriminazioni.

 

In questo contesto conviene ricordare che diritti e libertà non possono essere fatti a pezzi.

Libertà di culto e libertà di espressione sono due facce della stessa medaglia.

E’ giusto quindi ringraziare tutte quelle persone che, dai movimenti sociali, dalle associazioni laiche, dai gruppi religiosi e dalle università stanno infondendo un poco di buon senso in questo clima di confronto e tensione alimentato dal governo stesso.

Allo stesso modo conviene anche avvertire coloro che, dalla Spagna e spesso da posizioni progressiste, elogiano le presunte virtù della Repubblica francese ogni volta che si apre questo dibattito.

 

Non si tratta di negare la violenza commessa in nome dell’islam (anche se è minoritaria, esiste e deve essere condannata), ma di prendere precauzioni davanti a slogan magniloquenti e di dubbioso contenuto democratico.

Sotto il trittico “libertà, uguaglianza e fraternità” che tanto ci piace ricordare, si nasconde una società profondamente disuguale e segregata, e la responsabilità di questo non è dei musulmani o di altri collettivi minoritari, ma delle istituzioni stesse che per anni hanno alimentato questa logica.

 

(*) Politologo; si è laureato in sociologia all’Università di Parigi 8 Saint-Denis con una tesi su “L’islam nel dibattito pubblico in Francia e Spagna”.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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