Stati Uniti

Di che democrazia stanno parlando?

di Aran Aharonian (*); da: rebelion.org; 7.11.2020

 

Su ogni schermo televisivo, in tutte le lingue, si può vedere l’ancora presidente statunitense Donald Trump dar corso al suo piano di bugie e minacce (fakes) in diretta e in nome della democrazia.

Si proclama vincitore senza esserlo e denuncia una frode elettorale nel caso in cui il voto per posta dia la vittoria a Biden, impugna le elezioni negli Stati dove perde e, se i tribunali statali accettano, si rivolge alla Corte Suprema dove si è appena assicurato un’ampia maggioranza e completa il suo golpe invitando la sua massa fascistoide ad aggredire coloro che protestano.

 

Dal gabinetto presidenziale è stata diffusa la bufala che la sinistra vuole rovesciarlo con un colpo di Stato nelle strade, costruendo la favola per giustificare la sua manovra e la sua prevedibile repressione. Ma bisogna capire il sistema deduttivo: in realtà tale sinistra non esiste proprio ma per loro chiunque non voti Trump è di sinistra o è un terrorista.

 

Trump e i repubblicani ritengono che la migliore risposta sia sopprimere il voto in una democrazia che governa senza avere l’appoggio di una maggioranza. Questa non è una normale competizione, ma un referendum sull’occupante della Casa Bianca. O, come ripete il senatore democratico Bernie Sanders, eliminato dalla competizione prima di diventare troppo pericoloso, è un’elezione tra la democrazia e Trump.

 

Un solo presidente repubblicano ha vinto con il voto popolare nel 1988 (George W. Bush, n.d.t.). Trump ha vinto con il 46 per cento nel 2016 e non è mai riuscito a ottenere il 50 per cento di appoggio durante la sua gestione. Non sarebbe la prima volta che i repubblicani e il potere militare e imprenditoriale impediscono di governare al vincitore delle elezioni (George Bush contro Al Gore, Trump contro Hillary Clinton). Nessuno scarta l’eventuale frode di Trump: per vincere, quattro anni fa chiese l’aiuto dei russi.

 

Ma chiamare progressista di centro-sinistra Biden e la sua schiera di democratici è un insulto all’intelligenza. Le grandi imprese che hanno scommesso per uno qualsiasi dei due candidati aspettano nervose per vedere quale dei loro incaricati sarà il presidente in uno scenario elettorale confuso.

Chi sta vincendo e vincerà è il grande capitale.

 

Entrambi (Trump e Biden) si proclamano presidenti in un sistema elettorale complesso, fatto su misura perché le minoranze o qualsiasi movimento sociale e politico che nasca dalle radici del popolo venga abortito, venga soffocato, senza possibilità alcuna di accedere alle istituzioni che sono perfettamente corazzate e armate da un capitalismo imperialista che entrambi, democratici e repubblicani, praticano da un secolo.

 

Al di là di tutto, resta la riflessione sui più di 65 milioni di persone che hanno votato Trump anche conoscendo le sue idee e pratiche fasciste.  Non è solo l’America profonda, è anche quella di superficie. Trump, il presidente più antidemocratico della storia statunitense, comunica con le classi popolari più di esperti, inchieste e liberali.

 

Il fascismo torna ad essere la risposta all’incertezza di molte persone, come successe negli anni ‘30 in Europa. “Ti vendo la paura dell’altro perché tu compri la mia sicurezza. Per questo, anche se perderà, il “trumpismo” continuerà, perché è un sintomo; la malattia è il neoliberismo che provoca le disuguaglianze” ci ricorda Javier Gallego in eldiario.es.

E anche se Trump perde e Biden riesce a diventare presidente, lascia uno tsunami globale basato sulla legittimazione dell’odio – machismo, omofobia, razzismo, classismo. E’ una guerra contro il progresso e l’uguaglianza, in cui la classe dominante lancia la classe lavoratrice contro se stessa per mantenere l’ordine vigente.  Il tuo nemico è il povero, l’immigrante, l’okkupa, le femministe, gli omosessuali, non il padrone che ti/li sfrutta e sfrutta il pianeta.

 

Trump ha imposto, in questi quattro anni di governo, la cultura del bullismo fascista nel suo discorso politico all’interno e all’estero e ha dato carta bianca ai violenti e ai fascisti del mondo per intimidire non solo chi gli si opponeva ma anche quelli diversi da lui. E’ il ragazzino bullo della scuola, il teppista che sfratta i poveri dalle case dei loro genitori, l’istrione mussoliniano che trionfa alla tele.

Ha banalizzato il male. Non ha avuto ripensamenti nel gettare le masse contro la stampa, contro le donne, contro i presunti ‘rossi’, contro i neri, contro i ‘progre’. Incendia le strade per espellere il dissidente, limitare le libertà, imporsi.

E, purtroppo, il suo modello “democratico” viene imitato in molti paesi europei, e anche latinoamericani.

 

Trump ha popolarizzato l’egemonia della menzogna, con falsità, bufale o balle, in una propaganda fascista moltiplicata dai mezzi di comunicazione e dalle reti social, in mano a pochi grandi capitalisti. Come all’epoca del nazifascismo, ha creato egemonia ingannando, polarizzando, combattendo.

 

David Sherfinsky segnala sul Washington Post che si tratta di un demagogo scatenato, posseduto da una nietzschiana volontà di potere, che esalta come patrioti gli automobilisti che hanno bloccato e minacciato il bus su cui viaggiava Joe Biden in Texas, che sfida la legislazione elettorale e le altre, compresa quella tributaria; che si burla della “correttezza politica” tanto coltivata dai suoi rivali.

Egli sostiene che Trump maneggia con perversa maestria le reti social, che offende tutti i media (CNN, New York Times, Washington Post e tutta la stampa “colta”), che si mostra come il grande difensore del “little guy”, della gente comune dimenticata dall’elitismo dei repubblicani tradizionali e dal globalismo neoliberista dei democratici e che cristallizza l’appoggio di un imponente blocco sociale tirando i potenti fili del risentimento, dell’odio e  della paura che aprono il vaso di Pandora del razzismo e della xenofobia.

 

Il discorso di Trump esalta la passata grandezza del suo paese, minacciata dai perfidi cinesi che “hanno inventato il coronavirus per mettere in ginocchio gli Stati Uniti”, grandezza che egli si propone di recuperare a qualsiasi prezzo.

Sì, è stato capace di negare il coronavirus nonostante questo abbia contagiato “appena” 10 milioni di persone e ucciso 235 mila nel suo stesso paese. Denigra impunemente la scienza e la verità scientifica per imporre le sue “verità alternative”.

Mentire serve per ottenere – e mantenere – il potere. Di questo si tratta.

 

Purtroppo il trumpismo non finisce con Trump. Si è trasformato in una forza senza confini, nel simbolo dell’ultranazionalismo di destra, del negazionismo scientifico e climatico, potenza divina dei cospira-noici…

Lo scenario della crisi del coronavirus è stato propizio per i populismi conservatori. Quella che stiamo facendo – anche se i nostri “grandi pensatori” neanche se ne sono resi conto – è una battaglia culturale che eviti il ritorno al passato, in un mondo che grazie a Trump e al coronavirus non è e non sarà lo stesso.

 

15 anni fa a Mar del Plata cinque presidenti latinoamericani (di Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) gridarono “ALCArajo”(gioco di parole: ALCA era l’area di libero scambio delle Americhe proposta da Bush nel 2005; “al carajo” significa “al diavolo”, n.d.t.), facendo a pezzi la prepotenza di Bush e il progetto dell’Area Economica delle Americhe (ALCA, n.d.t.)da Miami alla Terra del Fuoco.

Vale la pena di ricordarlo.

 

(*) Giornalista uruguayano, fondatore di Telesur; dirige il Centro Latinoamericano di Analisi Strategica CLAE.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S. Giovanni)

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