IL RAPIMENTO MORO L’ASSASSINIO DI FAUSTO E JAIO GLI SCIOPERI A DIFESA DELLO STATO

Pagine di storia operaia da chi in fabbrica ha vissuto quel periodo.

IL RAPIMENTO MORO L’ASSASSINIO DI FAUSTO E JAIO GLI SCIOPERI A DIFESA DELLO STATO

Il 16 marzo 1978, mentre in Breda Fucine si sta svolgendo un’assemblea, arriva la notizia del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque poliziotti della scorta. Subito il dibattito, con toni alle caccia alle streghe, viene indirizzato verso i militanti del Gruppo Operaio, ritenuti probabili “fiancheggiatori” della lotta armata in fabbrica perché sempre critici verso le scelte del sindacato e del PCI.

Durante l’assemblea ai lavoratori viene comunicato che i segretari generali delle tre organizzazioni sindacali Lama-CGIL, Macario-CISL, Benvenuto-UIL hanno dichiarato lo sciopero generale fino alla mezzanotte.

Nella stessa giornata il segretario del PCI Berlinguer, insieme agli onorevoli Natta e Pajetta, si reca nello studio privato di Andreotti (presidente del consiglio) a Palazzo Chigi, seguito da tutti i capi dei partiti che compongono il Governo.

Ugo La Malfa del Partito Repubblicano esprime lo stato d’animo di tutti i borghesi, dichiarandosi per l’immediata adozione di “leggi eccezionali” e invocando la “pena di morte per i terroristi”.

In serata i cinque partiti che compongono la maggioranza di governo (Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano, Partito Socialdemocratico e Partito Liberale) - insieme al Partito Comunista Italiano che, pur facendo parte della maggioranza, non ha ministri nel Governo - danno la fiducia nuovamente ad Andreotti facendo nascere il quarto Governo da lui guidato: il primo nella storia politica italiana ad aver ricevuto la fiducia in meno di 24 ore.

Milioni di lavoratori vengono chiamati dai partiti, dai sindacati e da tutte le istituzioni ad “isolare i violenti”. La difesa dello stato e la solidarietà nazionale vengono presentati in tal modo come interessi operai.

Il 21 marzo 1978, 5 giorni dopo, il nuovo Governo vara dodici nuove misure per l’ordine pubblico, tra cui il fermo di polizia, la libertà di interrogare e perquisire senza mandato. Il ministro degli Interni, il democristiano Francesco Cossiga, in nome dell’emergenza, in un incontro con i tre segretari di CGIL, CISL e UIL, concorda con loro le misure da questi criticate e respinte alcuni mesi prima.

Anche Pietro Ingrao (PCI), presidente della Camera, in un’intervista al quotidiano L’Unità attacca duramente lo slogan di Lotta Continua: “né con le Brigate Rosse né con lo Stato” perché, dice Ingrao: “...se questa operazione dovesse trovare spazio ne deriverebbero due gravi conseguenze, e cioè che ormai contano solo le bombe e il popolo sarebbe spinto nella passività, e la polizia si troverebbe sola di fronte ai killers dell’eversione antidemocratica”.

Differenziarsi dalla strategia dei gruppi “combattenti” senza cadere nella trappola istituzionale e criticare nel contempo la scelta opportunista sostenuta da Lotta Continua e Democrazia Proletaria è la scelta del “Gruppo operaio” Breda, con interventi critici nelle assemblee e con una serie di volantini in cui spiega la propria posizione.

Inizia la caccia al terrorista

 

Alcuni giorni dopo il rapimento di Moro, intorno alle 4 del mattino fui svegliato dal suono prolungato del campanello. Ancora assonnato, guardai la sveglia e mi avviai verso la porta chiedendo chi fosse. La risposta concitata ed urlata fu: “polizia, aprite subito o spariamo”. Intontito dal brusco risveglio aprii la porta, per trovarmi davanti la canna di una mitraglietta impugnata da un carabiniere e, in una frazione di secondo, mi ritrovai in ginocchio con le mani dietro la nuca. Subito una decina di agenti dell’antiterrorismo e della Digos, sia in borghese che in divisa - ma tutti muniti di giubbotto antiproiettile, fecero irruzione nella mia casa. Alcuni si precipitarono nella stanza da letto, buttando letteralmente per terra mia moglie, altri andarono in cucina dove dormiva mia figlia di 5 anni, altri ancora entrarono in bagno.

Dopo quattro ore di perquisizione (in un appartamento di 35 metri quadri), dopo aver buttato all’aria tutto, smontato tutto lo smontabile a partire dai cassonetti delle tapparelle, sfogliato i libri pagina per pagina, messo da parte volantini e scritti poi sequestrati, mi portarono in strada. Sempre sotto la minaccia delle armi, seguiti dagli sguardi dei vicini che spiavano da dietro le finestre, perquisirono la mia auto. Solo allora mi resi conto quanti poliziotti fossero stati impiegati in questa operazione. Una decina tra poliziotti e carabinieri presidiavano i cinque piani di scale che portavano al mio appartamento; una decina tra macchine e furgoni della polizia e dei carabinieri erano parcheggiati fuori da casa mia. Fu questa la prima delle cinque perquisizioni che mi fecero in quegli anni.

Era cominciata la caccia alle streghe.

Alcuni giorni dopo il sequestro Moro, il 18 marzo, Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci (Jaio), due giovani frequentatori del centro sociale Leoncavallo, vengono assassinati pochi minuti prima delle 21 a colpi di calibro 38. In meno di un’ora alcune migliaia di persone si radunano nel luogo del duplice omicidio accusando i fascisti.

Il Gruppo operaio prende subito posizione ed al funerale dei compagni assassinati partecipa una folta delegazione di operai della Breda e delle altre fabbriche milanesi.

Nel frattempo gli scioperi a difesa dello “Stato democratico nato dalla Resistenza” si allargano alla difesa di tutte le “istruzioni democratiche”, compresi i poliziotti.

L’Italia diventa uno Stato di polizia

Nella sua relazione di minoranza alla “commissione Moro” presentata il 22 giugno del 1982, lo scrittore Leonardo Sciascia, deputato radicale, annota lo “sforzo” di polizia nei 55 giorni del sequestro Moro definendolo con l’aggettivo “imponente”: 72.460 posti di blocco, di cui 6.296 nella cintura urbana di Roma; 37.702 perquisizioni domiciliari di cui 6.933 a Roma; 6.413.713 persone controllate (oltre il 10% della popolazione italiana considerando vecchi e bambini) di cui 167.409 a Roma; 3.383.123 automezzi controllati di cui 96.572 a Roma.

La campagna affinché i bracci armati dello stato entrino a fare parte del sindacato insieme agli operai, perché anche loro sono “lavoratori”, si intensifica. In nome della lotta contro il “terrorismo”, la borghesia ed suoi agenti del sindacato e del PCI cercano di cancellare il concetto stesso di capitale e di sfruttamento operaio che sono alla base della società e su cui si fondano le sue istituzioni. Ripristinare le giuste categorie, riportare con i piedi per terra i concetti che sono alla base della società capitalista non è facile.

La campagna propagandata dai mass-media cerca di far apparire lo sfruttamento come legittimo, la società borghese come la più pacifica, “il migliore dei mondi possibili”, mentre l’attentato alla “democrazia” è denunciato come proveniente da isolati gruppi armati.

In nome del risanamento delle industrie e “della difesa del posto di lavoro”, spacciando come obiettivi operai la produttività, la competitività, il mercato e il profitto, il PCI ed il sindacato si fanno paladini del capitalismo italiano nel mondo.

L’obiettivo centrale delle confederazioni sindacali resta la difesa dei profitti, nascosta dietro la “difesa dei disoccupati” - a cui le rivendicazioni degli occupati dovrebbero subordinarsi. Intanto nelle fabbriche si chiedono gli straordinari.

Ma che rapporto c’è tra produttività e mercato, tra sfruttamento operaio e guerra?

Certe affermazioni che anni fa sembravano azzardate hanno oggi un puntuale riscontro nei drammatici avvenimenti internazionali. Il nazionalismo delle confederazioni sindacali viene denunciato non tanto a livello ideologico quanto in rapporto alle esigenze di sfruttamento degli operai. Nel frattempo monta la campagna sul “terrorista in fabbrica” con l’obiettivo di criminalizzare ogni lotta e ogni lavoratore che sfugge al controllo del PCI e del sindacato.

Intanto Guido Carli, a nome della Confindustria, dichiara la disponibilità degli industriali a creare 100.000 posti di lavoro in cambio dei sacrifici, trovando subito il plauso di Luciano Lama.

 

Volantino 1

 

SULLO SCIOPERO PER I LAVORATORI DEL MANGANELLO

COMPAGNI, OPERAI

Le Confederazioni sindacali, controllate dai partiti di governo, ci chiamano a lottare per far entrare i poliziotti nel sindacato. Secondo il PCI questi lavoratori “meritano un trattamento adeguato alle loro funzione. Miglioramento delle condizioni economiche (più soldi) e di lavoro (meno orario); potenziamento e maggiore efficienza del corpo (nuove assunzioni e qualificazione “professionale”)”.

Mentre in fabbrica continuano a chiederci sacrifici per uscire dalla crisi, dall’altra parte vengono ridotte le tasse agli azionisti, si aumentano (160.000 lire al mese*) gli stipendi ai deputati, si accontentano i poliziotti per renderli ancora più ligi al regime e poterli impiegare meglio contro chi non vuole, e non può, più fare nuovi sacrifici.

MA CONTRO CHI DOVREMO LOTTARE?

Tutti i partiti “democratici” sono d’accordo nella sostanza e la lotta si gioca solo per chi avrà il controllo dei bracci armati dello stato borghese.

La DC li vuole nel sindacato autonomo per mantenere gli attuali rapporti di forza, il PCI li vuole dentro le confederazioni, come neoassunto nel potere borghese, per legittimare la sua collocazione. Gli stessi rivoluzionari della domenica facenti capo a Democrazia Proletaria applaudono all’iniziativa, convinti di potersi insinuare tra le pieghe della democrazia borghese nella speranza di allargarle e di raccogliere qualche briciola reggendo le mutande al PCI. Nei loro sogni credono che la polizia è fascista perché pagata male e che con un trattamento migliore, e qualche discorso politico, diverrà democratica.

MA LA POLIZIA E’ UNO STRUMENTO DEL CAPITALE PER REPRIMERE GLI OPERAI E IMPEDIRNE LE LOTTE

Si può chiedere che gli sbirri della proprietà privata stiano dalla parte degli operai? Scioperare per i poliziotti, diffondere l’idea che sono “lavoratori sfruttati” ecc., equivale ad incoraggiare l’arruolamento di quei giovani senza prospettive, che possono scegliere di lottare contro questo sistema che nega anche il lavoro e che quando lo concede è solo per poterci sfruttare, oppure mettersi al servizio del capitale e sparare contro gli sfruttati e i disoccupati. Denunciare il ruolo della polizia, lottare contro le sue azioni antioperaie e antipopolari, è l’unica possibilità per indebolirne le file, per scoraggiare l’adesione di quanti siano indotti a farsi strumento di repressione del capitale.

Compagni, operai,

non paghiamo con ore di sciopero i fucili che domani si rivolgeranno contro di noi in fabbrica, o contro i nostri alleati di classe!

RIFIUTIAMO IN MASSA QUESTO SCIOPERO!

 

Febbraio, 1978

Gruppo Operaio Breda Fucine

 

(*) Il salario medio annuo di un operaio in questi anni è di 4 milioni di lire.

 

 

Volantino 2

 

DUE GIOVANI COMPAGNI UCCISI DAI FASCISTI.

OPERAI,

L’assassinio di due giovani compagni di Milano è la ritorsione fascista al rapimento Moro e all’uccisione della sua scorta.

Tutti i partiti dell’arco parlamentare, dalla DC al PCI, sino a Democrazia Proletaria, si sono prontamente mobilitati accomunando compagni e poliziotti nella campagna contro il terrorismo per la difesa della democrazia borghese, per il rafforzamento dello stato.

Chi era convinto di poter criticare lo stato perché “combatte solo la violenza di sinistra” è ora disorientato di fronte ai complessi meccanismi della democrazia borghese.

“Le BR che sparano sui poliziotti, i fascisti che sparano sui compagni, i ‘benpensanti’ come La Malfa che invocano la pena di morte”: in questa situazione lo stato borghese ha l’occasione di dimostrare imparzialità e autorità garantendo con l’uso moderato della forza le condizioni ideali per il funzionamento del capitale.

La democrazia borghese è la forma politica più congeniale per sottomettere e sfruttare in pace gli operai facendogli credere di essere liberi.

NESSUNA VIOLENZA E’ AMMESSA, SE NON QUELLA LEGALIZZATA E COSTITUZIONALE

DELLO SFRUTTAMENTO DEL CAPITALE SUL LAVORO SALARIATO.

Ogni anno 4.000 operai, solo in Italia, vengono uccisi in incidenti sul lavoro, altre migliaia restano storpiati per tutta la vita, i vecchi mandati al macero con miserabili pensioni, ogni giorno peggiorano le condizioni di vita e di lavoro mentre aumenta la ricchezza che solo noi produciamo e i capitalisti accumulano.

Lo stato borghese ha tutto l’interesse a mantenere questa democrazia e l’abbandona solo quando gli operai in massa rivendicano i loro interessi, mettendo così in discussione i profitti del capitale.

Oggi in particolare i capitalisti hanno da essere soddisfatti, nonostante il tiro a segno delle BR: grazie a PCI e sindacati si è resa possibile “pacificamente” la riduzione dei salari, la mobilità garantita, l’intensificazione dello sfruttamento operaio, il controllo dei disoccupati. Oggi soprattutto non c’è bisogno di forze oscure alla guida del paese, ma di far funzionare bene questa democrazia.

Chi servono dunque le BR, e chi le manovra? La CIA, il KGB, il SID o le famigerate forze oscure? Noi non crediamo alle “convergenze oggettive”. In realtà le BR servono soltanto se stesse e il proprio sogno di essere il partito della classe operaia.

Per noi si pone il problema: chi utilizza l’attuale situazione politica e ne trae vantaggio.

Nella crisi i capitalisti italiani hanno bisogno della coalizione delle forze per presentarsi compatti nella concorrenza sul mercato mondiale. Urge un quadro politico compatto in grado di sostenere il pesante programma antioperaio necessario alla ripresa della competitività.

Il nazionalismo e la lotta al terrorismo sono diventate le bandiere che unificano tutti i partiti. In nome dell’emergenza si accelera l’abbraccio DC-PCI e il compromesso storico si allarga fino a DP-LC e MLS*, ansiosi di dimostrarsi difensori della democrazia borghese. Nel suo nome si varano quelle leggi speciali che presto gli operai dovranno sperimentare. Intanto Pecchioli (PCI) e padronato colgono l’occasione per eliminare come provocatori quegli operai che in fabbrica si oppongono alla politica dei sacrifici e della riduzione dei salari.

Lama afferma che le BR hanno la loro base in fabbrica e inviata i suoi leccapiedi alla delazione.

Noi non imputiamo alle BR di servire per questo i disegni reazionari del PCI e della direzione.

Le campagne forcaiole non hanno difficoltà a trovare pretesti. A questo proposito precisiamo ulteriormente la nostra posizione, anche se nota a tutti gli operai.

Riteniamo le BR incapaci di criticare il capitalismo da un punto di vista marxista e di classe, incapaci di condurre lo scontro a livello politico e teorico col revisionismo, impotenti rispetto alla democrazia borghese e i suoi strumenti di consenso.

Sia rispetto alla crisi che all’analisi internazionale fanno proprie le più ridicole teorizzazioni borghesi.

Proprio mentre gli operai vengono colpiti da tutti i lati, mentre non si riesce ad organizzare la difesa delle stesse condizioni di vita, in assenza di un partito di classe, sono convinti di essere in piena rivoluzione e credono, con l’esempio della lotta armata, di trascinare gli operai.

Vedono nella DC il puntello del sistema senza capire il ruolo del PCI e il suo controllo sulla classe.

I tentativi di accomunarci alle BR, come anche in assemblea è stato tentato, altro non sono che i tentativi di intimidire ed eliminare quegli operai che apertamente nelle assemblee e nei reparti dichiarano la propria opposizione alla riduzione dei salari, che lottano per gli interessi immediati e storici della classe operaia.

ONORE AI COMPAGNI ASSASSINATI!

NESSUN APPOGGIO AL RAFFORZAMENTO DELLO STATO BORGHESE!

 

Aprile 1978

 

Gruppo Operaio Breda Fucine

 

DP - Democrazia Proletaria

LC - Lotta Continua

MLS - Movimento lavoratori per i socialismo (ex Movimento Studentesco)

 

Dal libro, 

M.Michelino: 1970-1983 LA lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto S.Giovanni

 

https://www.comitatodifesasalutessg.com/.../1970-1983-la.../

 

 

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