Afganistan

Stati Uniti e NATO, sconfitti in Afganistan

di Juanlu Gonzàlez (*); da: espanol.almayadeen.net; 14.4.2021

 

Biden ha appena annunciato che l’11 settembre 2021, dopo quasi 20 anni di occupazione, ritirerà le sue truppe (e quelle della NATO) dall’Afganistan. La data scelta, ovviamente, non è casuale. Risponde alla necessità di ricordare all’opinione pubblica i presunti motivi per cui si entrò in guerra nel 2001. Averla chiamata “Operazione Libertà Duratura” sembrava già presagire la perpetuazione di un conflitto che è diventato la guerra più lunga della storia degli USA.

 

La scusa per invadere l’Afganistan fu … come no.. gli attentati contro le Torri Gemelle e il Pentagono.

E dico scusa perché i piani per attaccare l’Afganistan erano stati preparati vari mesi prima dell’11 settembre; ma non furono messi in atto allora perché era difficile trovare un pretesto sufficientemente credibile da convincere l’opinione pubblica ad assumere i costi umani ed economici di una nuova guerra imperiale.

 

Biden ha spiegato che l’obiettivo dell’occupazione era mettere fine a Bin Laden, cosa che, visto che  è stato giustiziato ormai circa 10 anni fa, non è proprio un motivo così chiaro. Il fatto è che, una volta eliminato  – presumibilmente – lo spaventapasseri creato dai laboratori di propaganda nordamericani, era ovvio che gli argomenti usati per mantenere attiva una costosissima guerra venivano a mancare. 

Se la guerra è continuata fino ad oggi, è proprio perché obbedisce a ragioni molto più inconfessabili e lontane dalla grandiloquenza ufficiale.

 

Naturalmente niente aveva a che fare con la libertà, né con la democrazia, i diritti umani, la giustizia … in realtà si è trattato, puramente e semplicemente, della rapina delle risorse naturali straniere, di geopolitica degli idrocarburi e delle loro reti di distribuzione, e di battaglie sotterranee contro i nemici strategici USA nella regione. Curiosamente Bin Laden, l’agente “stella” della CIA, non era neanche nascosto in Afganistan, ma nel vicino Pakistan.

L’altro obiettivo pubblico sostenuto da Bush per lanciare l’operazione era mettere fine all’organizzazione dei talebani e allontanarli dal potere. Ci sono riusciti? Ovviamente no.

L’Emirato Islamico dell’Afganistan – come a loro piace chiamarsi oggi – è stato allontanato dal potere ufficiale ma è ben lontano dall’essere diventato irrilevante. Esattamente il contrario: esso domina grandi estensioni del paese ed è più forte dello stesso Stato costruito dagli invasori. Di fatto non sarebbe strano che nel giro di pochi anni i talebani governassero la totalità del territorio e rilanciassero il loro Emirato.

 

In 20 anni gli USA e la NATO, con fino a 130.000 soldati sul terreno e tutto il potere distruttivo dei migliori eserciti del mondo, sono stati incapaci di sconfiggere milizie tribali molto inferiori per numero e, soprattutto, per capacità offensiva. Una cosa assolutamente ridicola, che gli USA cercano di nascondere come possono, nonostante contino con l’inestimabile aiuto delle brigate mediatiche multinazionali.

 

L’obiettivo di instaurare la “democrazia” nel paese asiatico, lungamente sventolato agli inizi del conflitto, andò velocemente in pezzi, come riconobbe lo stesso Robert Gates – segretario alla Difesa di George Bush – che disse letteralmente che non avevano né tempo, né denaro, né pazienza per portare democrazia e prosperità all’Afganistan.

 

Allora, se ci troviamo davanti ad una sconfitta militare e politica indiscutibile, di quali altri risultati siamo parlando?

Si è parlato molto anche della lotta al narcotraffico. Ma sotto il dominio nordamericano la coltivazione dei papaveri per la produzione di oppio e eroina si è moltiplicata fino all’estremo. Di fatto le droghe sono state la principale fonte di finanziamento dei signori della guerra, dello Stato e… della soldataglia degli invasori.

Bisogna anche dire che, durante il regime talebano, le coltivazioni di papaveri erano quasi completamente sparite. Un altro successo da attribuire agli USA e ai loro alleati.

 

E che ne è dei diritti umani, specialmente di quelli delle donne? Beh, è cambiato davvero poco negli ultimi tempi per potersi gloriare di qualcosa. Primo, perché i talebani dominano buona parte del paese e continuano ad essere ultraconservatori; ma anche perché i costumi tribali o la “sharia” sono al di sopra delle leggi emanate dai governi, soprattutto da uno così debole come quello che si trincera a Kabul.

 

Così, alla fine, il Pentagono non ha avuto altro rimedio che arrendersi all’evidenza e ammettere la sconfitta, dopo aver speso circa due bilioni di dollari e aver perduto quasi (o più di) 2.500 soldati.

Poco meno di un anno fa gli USA di Trump e i talebani firmarono un accordo a Doha nel quale stabilivano la ritirata completa delle truppe dall’Afganistan, lo scambio dei prigionieri con il governo – in ragione di 5 miliziani per un militare o un poliziotto – con l’unica contropartita per i miliziani di tagliare i contatti con al-Qaeda. Ciò non avrebbe potuto essere più umiliante per Washington, ma anche per il presidente afgano Ghani, che è stato l’unico ad ammetterlo tra i denti, perché è un mero burattino nordamericano senza alcuna capacità decisionale.

Tenendo conto che attualmente il problema terroristico dell’Afganistan si chiama Daesh più che al-Qaeda, la rinuncia dei talebani ai loro viaggi di amicizia è solo simbolica e sembra più un gesto per l’opinione pubblica statunitense che una decisione con reali ripercussioni sul territorio.

Se oltretutto teniamo conto che l’ONU considera i talebani un gruppo terrorista, abbiamo l’onnipotente egemone mondiale che negozia con i terroristi e, peggio ancora, che si arrende di fatto davanti a loro! Com’è differente dalla storia ufficiale con cui ci martellano in questi giorni … vero?

 

In definitiva tutto indica che Biden accoglie gli accordi di Doha anche se ha ritardato la data della ritirata definitiva di pochi mesi per chiudere alcuni strascichi pendenti. Intanto arrivano i reporters della stampa corporativa che riconoscono che il Pentagono sta aiutando le milizie sunnite dell’Emirato Afgano nella loro lotta contro il Daesh e agendo coordinatamente come sua forza aerea.

E’ probabile che desiderino rafforzare la loro relazione con i talebani prima di andarsene definitivamente dal paese e giochino al futuro – e nel loro interesse – con due mazzi, sia con le carte ufficiali che con quelle ufficiose. E’ qualcosa che i nordamericani fanno spesso.

 

Ma non dimentichiamoci che l’invasione dell’Afganistan ebbe a vedere più con le guerre energetiche contro Cina e Russia che con gli “attentati” dell’11 settembre 2001. Intanto le “prove” che legano Bin Laden all’11 settembre continuano ad essere secretate e neanche quel leccapiedi di Aznar (ex presidente del governo spagnolo, n.d.t.) potè vederle a suo tempo.

Ancor più non dobbiamo dimenticare che sia i talebani che al-Qaeda sono creazioni degli USA per lottare, come mercenari, contro l’allora Unione Sovietica e la loro paternità è stata riconosciuta da dirigenti di prima fila dell’impero, cominciando dalla stessa Hillary Clinton.

Solo così potremo avere chiaro il contesto per analizzare quello che succede nel paese di papaveri, invece delle bugie che raccontano i grandi medi corporativi.

 

(*) Giornalista e analista politico.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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