Imperialismo

Effetti collaterali

di Sergio Ferrari (*); da: rebelion.org; 3.3.2022

 

In meno di una settimana lo scenario e l’agenda mondiale sono cambiati a velocità supersonica L’Europa, senza neppure il nulla osta sanitario per la pandemia (e con il peso sociale della crisi sanitaria non risolta), è protagonista dalla fine di febbraio di un conflitto di proporzioni enormi.

 

All’ombra della crisi Russia-Ucraina (o Ucraina-Russia) si cominciano a vedere segnali di un nuovo quadro internazionale. Sono gli “effetti collaterali” di una ‘guerra’ di durata imprevedibile e di costi incalcolabili.  Tali effetti si aggiungeranno all’impatto diretto del conflitto, cioè le migliaia di vittime umane (morte o ferite, invalide o orfane) ed ai danni irreparabili dell’economia presente e futura dei paesi coinvolti.

 

Nuovo paradigma militare

Quando il 28 febbraio la Germania ha annunciato che destinerà un fondo speciale di 100.000 milioni di euro (110.000 milioni di dollari) al riammodernamento delle sue forze armate, anticipava così il tono della nuova epoca. Con la sua decisione di raddoppiare il bilancio militare ed arrivare  così al  2% del suo PIL (prodotto interno lordo) per le spese militari (cifra decisa dalla NATO), ha così accettato un nuovo concetto di bilancio e di società. Che, paradossalmente, tornerà ad assomigliare molto a quello della Germania della Guerra Fredda, che destinava un 2,4% del PIL alle forze armate.

Solo qualche ora dopo la decisione tedesca, partiti politici di destra ed estrema destra della Svizzera hanno chiesto al governo elvetico di investire a breve tempo 2.000 milioni di franchi svizzeri in più (2.106 milioni di dollari) per spese della difesa. E VOX, il partito spagnolo di ultra-destra, ha richiesto fermamente che il governo iberico faccia un rapido aumento delle sue spese militari.  Tutti segnali di questa nuova tappa internazionale che, sicuramente, continueranno a ripetersi in uno e nell’altro paese europeo nei prossimi giorni. Questa realtà impone una grande pressione ai diversi paesi del continente che attualmente destinano bilanci militari inferiori a quanto richiesto dalla NATO, come succede  tra altri a Spagna (1,4%), Italia (1.57%), Austria (0.9%), Danimarca (1.4%) (https://datos.bancomundial.org/indicador/MS.MIL.XPND.GD.ZS).

 

A partire dal conflitto Russia-Ucraina, il tema bellico-militare torna ad occupare il centro della scena europea. Cosa che causerà  tagli di bilancio significativi in altre aree, penalizzando in particolare il tessuto sociale di ogni paese, con ripercussioni significative, oltretutto, sulla salute e sull’educazione pubblica.

I settori storicamente più vulnerabili diventano ora, nuovamente, le principali vittime di questa nuova realtà.

 

Il clima e la cooperazione declassati

Un’altra vittima secondaria in questo nuovo panorama di crescente militarizzazione sarà la lotta contro il cambiamento climatico, nonostante le nuove rivelazioni fatte il 28 febbraio scorso dal Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC). Nel suo ultimo rapporto sulla situazione climatica mondiale il Gruppo dell’ONU certifica che “i leaders mondiali hanno fallito nella battaglia contro il cambiamento climatico” (https://news.un.org/es/story/2022/02/1504702). Negli ultimi anni e, in particolare, nei mesi precedenti l’inizio della pandemia (2018-2019), i giovani riempirono le piazze europee e di altre regioni del mondo per esigere il diritto ad un futuro compatibile con l’ambiente. Volevano azioni di emergenza, piani e cambiamenti immediati della produzione per assicurare la transizione ecologica e sociale giusta. Uno dei principali argomenti addotti dai poteri politici ed economici per opporsi a queste richieste è sempre stato l’impossibilità di finanziare in breve tempo le trasformazioni di fondo per impedire l’aumento del riscaldamento globale (ad es. per modificare la matrice energetica).

Sorprende allora che, in questione di ore, appaiano somme immensamente più grandi che verranno destinate al bilancio militare per riscaldare i motori della vecchia macchina da guerra mondiale e dell’industria bellica che la sostiene. (N.d.t.: intanto l’Ucraina ha già chiesto ai suoi debitori esteri – tra cui il Fondo Monetario Internazionale, oltre a USA, Unione Europea, Canada, Germania e Giappone - di cancellare il suo debito, che ammonta a circa 60 miliardi di dollari).

Questa nuova corsa agli armamenti spingerà verso il basso i bilanci della cooperazione internazionale, che anche se già debole e insufficiente, aveva come riferimento gli Obiettivi dello Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, con l’intento di sradicare la povertà entro la fine del presente decennio.

Gli 8 obiettivi (salute per tutti, educazione gratuita, promozione dell’uguaglianza di genere, lotta alla fame ecc.) verranno chiaramente lasciati indietro visto che una parte del pacchetto di bilancio per la cooperazione verrà diretta all’accompagnamento e all’integrazione dei rifugiati, come già sta succedendo anche prima dell’attuale crisi in Svizzera e in altri paesi del continente. I programmi ed i progetti di cooperazione con i paesi più impoveriti e con le popolazioni più vulnerabili del pianeta si aggiungeranno così agli effetti collaterali di questo nuovo paradigma bellico che comincia a impiantarsi in Europa e che si estenderà al mondo intero.

 

I “vecchi” rifugiati saranno dimenticati

In soli 5 giorni da quando sono cominciate le operazioni belliche, il 24 febbraio fino al 1° marzo, sono stati contabilizzati circa 660.000 nuovi profughi che sono fuggiti dall’Ucraina. Filippo Grandi, responsabile dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) ha detto che, agli inizi di questa prima settimana di marzo, la cifra sta aumentando esponenzialmente col trascorrere delle ore. “Da 40 anni lavoro nelle crisi dei rifugiati e poche volte ho visto un esodo di persone così incredibilmente rapido. IL più grande in Europa dalle guerre dei Balcani” ha sottolineato.

ACNUR calcola in più di 300.000 il numero di persone che sono fuggite dalla Polonia.  Altre sono fuggite in Ungheria, Moldavia, Romania, Slovacchia e decine di migliaia verso altri paesi europei. Insieme a loro, ha spiegato ACNUR, è fuggito dalla Federazione Russa un “numero considerevole” di persone.

Le Nazioni Unite calcolano che, a seconda dello sviluppo del conflitto, “si potrebbe arrivare fino a 4 milioni di rifugiati nei prossimi giorni o settimane”.

 

Diverse nazioni europee rispondono con le braccia aperte agli esiliati ucraini. Atteggiamento completamente diverso dalla politica migratoria restrittiva – e anche repressiva – che questi stessi paesi, da anni, applicano verso i rifugiati dell’Afganistan, del Kurdistan iracheno, della Siria, della Libia, così come rispetto ai migranti africani. Gruppi che, in futuro, saranno ancor più marginalizzati, rifiutati e disprezzati, a partire dalla priorità che l’Europa occidentale continuerà a dare, per ragioni politiche, a chi fugge dall’Ucraina (N.d.t.: come hanno informato persino i giornali borghesi, le guardie confinarie polacche respingono già i profughi di colore!!).

 

Salute, educazione, programmi sociali, migrazioni, rifugiati, lotta al riscaldamento globale, cooperazione per lo sviluppo …. e la lista dei settori colpiti dalla nuova realtà bellica continuerà ad aumentare.

Dietro questa nuova riorganizzazione delle priorità – e dei loro corrispondenti bilanci – stanno milioni di esseri umani colpiti, indirettamente, dagli effetti collaterali di questa nuova crisi bellica, pandemia bellico-ideologica di impatti tanto devastanti quanto imprevedibili.

 

(*) Giornalista argentino residente in Svizzera, membro della redazione del quotidiano indipendente svizzero Le Courrier edito a Ginevra.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”,

 

via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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