Per non dimenticare

Julian Assange: vendetta sì, giustizia no

di José Steinsleger (*); da: jornada.unam.mx; 15.7.2022

 

Uno. Se la Divina Provvidenza o il Destino Manifesto confermano i loro vaticini, il giornalista australiano Julian Assange (fondatore di WikiLeaks) può spuntare da un giorno all’altro negli Stati Uniti, dopo che Priti Patel, ministra dell’Interno del Regno Unito, ha approvato la sua estradizione il 17 giugno scorso.

 

Due. Viene confermato così che per Londra esiste solo la giurisdizione universale unilaterale di Washington, denunciata in varie occasioni da Assange. Perchè la giustizia (sic!) britannica funziona così: in modo esattamente opposto all’ingenuo rispetto che provava il paladino dei liberi pensatori George Orwell, che la definiva come un aspetto tipicamente inglese al di sopra delle classi e delle ideologie.

 

Tre. Falso. Nel 1988 Augusto Pinochet venne arrestato a Londra su richiesta del giudice Baltasar Garzòn (il castigatore dei giovani indipendentisti baschi) al fine di estradarlo in Spagna perché fosse là giudicato per i suoi delitti. In due occasioni la inappellabile Camera dei Lords (House of Lords) si espresse a favore dell’estradizione. Ma, nel marzo 2000, il governo di centro “sinistra” di Tony Blair si inventò un’eccezione per “motivi di salute” ed il dittatore tornò in Cile, dove non fu mai processato.

 

Quattro. Il caso Assange ebbe inizio nell’aprile 2010, quando WikiLeaks diffuse il nauseabondo video “Assassinio collaterale” girato a bordo di un elicottero dell’artiglieria in Irak (12 luglio 2007) che mostrava l’assassinio di 12 civili a Bagdad, compresi due giornalisti della Reuters. Mesi dopo WikiLeaks  pubblicò su vari e prestigiosi giornali (che in seguito censurarono debitamente varie parti) più di 70 mila documenti militari segreti statunitensi sulla loro guerra in Afganistan, e nell’ottobre altri 400 mila sull’Irak, documentando così la morte di 15.000 civili in più rispetto a quelli dichiarati dal Pentagono, insieme a 15 mila messaggi diplomatici con giudizi sui leaders mondiali e segreti sui programmi nucleari e missilistici dell’Iran.

 

Cinque. Nell’agosto 2010, su richiesta della giustizia svedese, Assange fu arrestato a Londra per il presunto stupro di due ragazze che, alla fine, ritirarono la loro denuncia. Ma nel giugno 2012, annusando l’odore di morte nell’aria, egli si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador. Il presidente Rafael Correa gli concesse asilo e permesso di soggiorno. Sette anni dopo il governo ecuadoregno cambiò e nel giugno 2012, su richiesta di Washington, il presidente Lenìn Moreno gli tolse l’asilo e Assange venne catturato dentro l’ambasciata.

 

Sei. E’ interessante segnalare che quando Correa gli concesse l’asilo, gli USA si offrirono di dare asilo al giornalista ecuadoregno Emilio Palacio (opinionista de El Universo di Guayaquil) che aveva accusato il presidente di essere un dittatore durante il tentativo di colpo di Stato del settembre 2010. Palacio aveva accusato Correa di commettere “.. crimini di lesa umanità per aver ordinato alle sue truppe di sparare contro un ospedale pieno di civili e di gente innocente”. Colossale fake news: Palacio non portò alcuna prova ma El Universal ricevette il prestigioso premio Moors Cabot …

 

Sette. Negli Stati Uniti democratici e repubblicani accusano il giornalista australiano di essere “un agente di uno Stato proto-fascista (la Russia, ovviamente) e di minare la democrazia” secondo Neera Tanden, direttrice del progressista Center for American Progress, oltre che di aver commesso 17 presunti reati secondo la legge sullo spionaggio del …. 1917!. Leggasi: il delitto di aver aperto una breccia nel muro di silenzio politico-mediatico dell’impero.

 

Otto. La consegna di Assange era stata concordata dal 2017, quando Donald Trump inviò Paul Manafort (oggi incarcerato per corruzione) “per gestire uno scambio” (leggasi retribuzioni pecuniarie, private, e accordi commerciali, pubblici). Dal canto suo, la potente Henry Jackson Society inglese (di cui faceva parte tra altri l’ultra-conservatrice Priti Patel) accusa il fondatore di WikiLeaks di “.. seminare dubbi sulla posizione morale dei governi democratici occidentali con l’appoggio di regimi autocratici” (sic!).

 

Nove. Il banchiere Guillermo Lasso, attuale presidente dell’Ecuador, ha dichiarato nel giugno scorso: “Rispettiamo il verdetto dei tribunali del Regno Unito e come paese forniremo tutti gli appoggi necessari riguardo a tale verdetto”. Stando così le cose l’estradizione di Assange può aver luogo domani, la prossima settimana o prima delle elezioni che, a novembre, diranno quale fazione dell’estrema destra statunitense avrà la maggioranza in Senato. Trump lo vuole morto e Biden lo ha definito un terrorista tecnologico.

 

Dieci. Se così sarà - a nostro giudizio sì o sì - Assange dovrà affrontare un simulacro di processo, con due sentenze possibili (che in realtà sono una sola): pena di morte o 175 anni di carcere. Questa sarebbe la sorte del fondatore di WikiLeaks, che in questo momento continua a imputridire nel carcere londinese di Bermash, che è in gara con quello di Guantànamo per tecniche di tortura e  di sterminio a fuoco lento.

 

Undici. Naturalmente la speranza è l’ultima a morire. Non bisogna dimenticare che Washington tolse Nelson Mandela dalla sua lista dei terroristi nel 2008, ovvero 14 anni dopo che il leader della lotta contro l’apartheid e Nobel per la Pace (1993) era diventato presidente del Sudafrica (1994-1999).

 

Nota del traduttore: In tutti questi anni nessuno ha mai smentito le rivelazioni di WikiLeaks.

 

(*) Giornalista e scrittore argentino

(traduzione di Daniela Trollio

 

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”)

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