Crisi e repressione

I diversi interessi delle classi sociali nella crisi

 

Michele Michelino

 

Nel 2009 in Europa si sono persi 4,6 milioni di posti di lavoro di cui oltre 500.000 in Italia, portando il tasso di disoccupazione nel nostro paese all’8,3% mentre il debito pubblico sul PIL è arrivato al 114,6%.

Il totale dei disoccupati nella UE è salito al 22,9 milioni, di cui otre 2 milioni in Italia.

Le ore di cassa Integrazione ordinaria concesse dall’Inps che nel periodo gennaio – maggio 2008 erano state di 37.391.912, nel maggio del 2009 sono arrivate a 211.666.310, con un aumento del 466,08%. Nei primi mesi del 2010 anche la disoccupazione giovanile, secondo i dati Istat, è in aumento (26,8%), con una crescita di 2,6 punti rispetto a gennaio 2009.

 

La crisi continua a falcidiare posti di lavoro e acuisce la concorrenza, spingendo i capitalisti a confrontarsi sempre più agguerriti. Ormai è certo, anche se ci fosse una eventuale “ripresina” con incrementi della produzione, questo non comporterà alcun incremento dell’occupazione.

I padroni di tutto il mondo cercano di aumentare la produttività con l’intensificazione dello sfruttamento della forza- lavoro e questo, avvenendo a livello mondiale, vanifica in parte i vantaggi che ottengono. Da tempo agli aumenti della produttività non corrisponde più alcuna crescita dell’occupazione e si arriva al paradosso che più le aziende licenziano e più aumenta il valore delle loro azioni. La ricerca del massimo profitto si concretizza nell’aumento dello sfruttamento e della concorrenza fra lavoratori italiani e stranieri, nella chiusura di fabbriche e imprese in Italia, nell’esportazione del capitale - “delocalizzando” - dove il costo del lavoro è minore e il tasso di sfruttamento maggiore.

 

Negli ultimi decenni la borghesia italiana ha salvaguardato i suoi lauti profitti attivandosi, attraverso i flussi migratori, per dotarsi di manodopera a costi bassissimi, senza diritti, disposta a qualunque lavoro per sopravvivere, mettendola in concorrenza con gli operai italiani, ma oggi questo non le basta più.

I padroni, per mantenere alti i loro profitti, peggiorano costantemente anche la condizione dei lavoratori italiani; quindi per distogliere gli operai dai veri problemi creati dalla classe capitalista cercano attraverso campagne mediatiche e leggi governative di “distrarre” l’opinione pubblica dai veri responsabili. Si sono inventati l’”emergenza sicurezza”, hanno ingigantito le cifre sulla criminalità e sui morti dovuti alla criminalità, addossandone la colpa agli immigrati. In tal modo, con il consenso di una parte dell’opinione pubblica - compresi alcuni operai che ragionano con la testa del loro padrone - e l’indifferenza di altri, riescono a dividerci.

Facendo diventare “l’emergenza sicurezza” il problema principale, con il “pacchetto sicurezza” il governo ha militarizzato le nostre città mettendo il coprifuoco in alcuni quartieri, come in Via Padova a Milano.

Così, nella crisi continua a peggiorare la condizione operaia e proletaria, aumentano le campagne razziste, ma si sa che le bugie hanno le gambe corte.

Il Censis ha più volte fornito dati che sbugiardano i forcaioli presenti sia nel governo, che all’opposizione.

 

In Italia i dati dimostrano che gli omicidi dei lavoratori chiamati benevolmente “morti bianche” sono di gran lunga superiori, quasi il doppio, di quelli legati alla criminalità. Infatti se nel 2007 i morti sul lavoro sono stati 1.207 quelli dovuti alla criminalità sono stati 663.

Di lavoro si continua a morire fra l’indifferenza generale con cifre da guerra indegne di un paese che si dice civile, il numero degli omicidi legati alla criminalità è in continua diminuzione: – 11% in 11 anni. Eppure il governo pone continuamente il problema “sicurezza” come priorità.

Con campagne continue, spendendo risorse ingenti per militarizzare le città contro gli immigrati e riducendo le sanzioni per i datori di lavoro che non rispettano le norme di sicurezza sul lavoro, il governo compie in pieno la sua funzione di “comitato d’affari” dei capitalisti.

Con il supersfruttamento e il ricatto del permesso di soggiorno per gli immigrati, con la mancanza di case, con i licenziamenti che nella crisi accumunano sempre più operai italiani e immigrati i padroni hanno a disposizione manodopera a prezzi stracciati, ma questo spinge sempre più operai immigrati e italiani a formarsi una coscienza di classe e la parte più cosciente ad organizzarsi in senso anticapitalista. Con la crisi aumenta il conflitto sociale e il vero obiettivo della militarizzazione delle città lo stanno già sperimentando gli operai che protestano con blocchi stradali e l’occupazione delle fabbriche, che sempre più spesso vengono manganellati dalle “forze dell’ordine”.

 

Il fatto che la maggioranza degli operai italiani non vedano queste misure repressive come parte di un disegno contro di loro è frutto della mancanza di un’organizzazione di classe.

La società dei padroni, che si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nella crisi mette a nudo la sua natura; nessuna riforma del sistema capitalista la può cambiare.

Non basta lottare contro gli abusi del sistema del lavoro salariato, mentre ci si difende bisogna raccogliere le forze, organizzarsi per farla finita eliminando il capitalismo, per una società diretta dagli operai in cui la produzione non sia funzionale al profitto ma sia al servizio degli esseri umani per soddisfare i loro bisogni.

 

Gli operai, i proletari sono una sola classe con gli stessi interessi e si devono autoorganizzare in modo indipendente, non delegando a nessuno i loro interessi. Destra e sinistra della borghesia non rappresentano due modelli di società alternative, sono due facce della stessa medaglia, quella dello sfruttamento.

Far passare l’illusione che è possibile abolire la schiavitù dell’operaio salariato per via legale o elettorale, votando per i rappresenti delle classi dominanti che ci sfruttano e si arricchiscono sul nostro lavoro, equivale a mantenere inalterata la nostra posizione di schiavi.

 

 

 

Pubblicato sul mensile Nuova Unità n. 2 di marzo 2010