Non violenza, violenza, o lotta di classe?

Il governo degli Stati Uniti, sotto la copertura delle Nazioni Unite, ha usato l’attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle per giustificare la guerra preventiva su ampia scala, dall’Afganistan, all’Iraq. Ora dopo le bombe sui treni dell’11 marzo in Spagna, attuate con la stessa logica dei bombardamenti aerei che colpiscono la popolazione inerme senza nessuna distinzione tra sfruttati e sfruttatori, si intensifica la lotta al terrorismo con gli appelli ad unirsi contro il “nemico comune”.
I più grandi terroristi della storia dell’umanità, gli USA, responsabili del lancio di bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ed i loro amici dei governi israeliani che massacrano ogni giorno i Palestinesi, sono in prima fila nel condannare il “terrorismo”, ma solo quello contro di loro.

Per i borghesi di tutto il mondo nessuna violenza è ammessa, se non quella legalizzata e costituzionale dello sfruttamento del capitale sul lavoro salariato, e quella dei loro eserciti, sulle masse proletarie e oppresse del mondo. I sostenitori delle guerre preventive che saccheggiano, sfruttano, affamano milioni di uomini, donne e bambini nella spasmodica ricerca del massimo profitto in ogni parte del mondo, producono necessariamente dei movimenti d’opposizione.

La lotta antimperialista e la resistenza armata del popolo palestinese, di quello dell’Iraq e di tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo, non solo è legittima ma necessaria per la loro liberazione. Noi proletari coscienti siamo al loro fianco e li sosteniamo in tutti modi, combattendo innanzi tutto contro il nostro governo guerrafondaio.

Nel tentativo di togliere legittimità e sostegno internazionalista alla lotta degli sfruttati e degli oppressi, i borghesi denigrano la resistenza armata chiamandola “ terrorismo”.

In nome della lotta contro il terrorismo, i paesi imperialisti, mentre occupano militarmente o economicamente intere nazioni, spacciandosi per “liberatori”, nei loro paesi restringono le libertà individuali e collettive dei propri cittadini.
Definendo “ democrazia” la loro dittatura sugli operai, sui lavoratori e sui popoli oppressi; i capitalisti, le multinazionali ed i loro stati chiamano l’opinione pubblica ad unirsi a loro nella difesa delle istituzioni borghesi definite da loro “democratiche”.

Applicando la ” democrazia” imperialista, tutti i governi che si sono sottomessi agli ordini del Fondo Monetario Internazionale sono stati costretti a mettere in atto politiche di privatizzazione e distruzione dei diritti dei lavoratori, dissanguando le loro nazioni per ripagare il debito estero.
Le multinazionali, gli speculatori delle istituzioni finanziarie internazionali come il WTO, la Banca Mondiale e il FMI, e tutti i governi al loro servizio, hanno dichiarato una guerra economica e politica contro i lavoratori, le loro organizzazioni e i popoli che resistono e si oppongono alla penetrazione imperialista. Il loro scopo è di servirsi (in alcuni casi sono essi stessi i promotori) dei tragici eventi dell’11 settembre in USA e dell’11 marzo in Spagna, per fare arretrare i diritti e le conquiste strappati attraverso dure lotte dai lavoratori e dai popoli oppressi.

La resistenza contro questa politica, per essere efficace ed in grado di contrastarla, presuppone l’unità dei proletari, dei lavoratori e dei popoli oppressi in ogni parte del mondo. Solo così sarà possibile fermare la barbarie imperialista.

 

“Società civile” e classi sociali

 

Con il concetto di “società civile”, il World Social Forum è nato e si è caratterizzato fin dall’inizio, come un forum della “società civile”. Con il concetto di “ società civile” si cerca di cancellare i confini tra le classi sociali esistenti nella società. Includendo nella stessa categoria di “società civile” gli sfruttati e gli sfruttatori, i padroni e i lavoratori, gli oppressi e gli oppressori, le ONG ed i governi, le chiese e le Nazioni Unite, le cooperative e le banche, si mettono insieme interessi diametricamente opposti.

In un documento ufficiale (settembre 2000) della Banca Mondiale intitolato ”La Banca Mondiale e la società civile” si legge: ”Più del 70% dei progetti che hanno il supporto della Banca Mondiale approvati nel 1999 riguardano in qualche modo le organizzazioni non governative (ONG) e la società civile”.
Ma la Banca Mondiale è uno dei pilastri della globalizzazione capitalistica insieme al FMI e al WTO. Com’è possibile credere che queste istituzioni siano “neutrali” e non esprimano invece gli interessi del capitalismo globale?

 

“Un altro mondo è possibile”?

 

Nel nome di James Tobin, vincitore del premio Nobel per l’economia e fervente sostenitore del “libero commercio”,  è stata fondata l’Associazione per la Tassazione delle Transazioni Finanziarie e per l’Assistenza ai Cittadini (ATTAC), prima in Francia, poi in Italia e su scala internazionale.
Tra i suoi obiettivi vi è l’istituzione della Tassa Tobin, che dovrebbe imporre un’imposta tra lo 0,05 e lo 0,1 sulle transazioni finanziarie internazionali. I soldi raccolti dovrebbero servire a creare un “fondo internazionale” per aiutare “lo sviluppo e la lotta contro la povertà”. La Tobin Tax, dal canto suo, ha conquistato il sostegno di persone “importanti”, come il multimiliardario e speculatore George Soros e molti altri, fra cui l’ex presidente brasiliano Henrique Cardoso.
Probabilmente, nei Social Forum, molti pensano che più grande è la speculazione finanziaria tanto meglio è, perché tale fondo avrebbe maggiori risorse.
Il WSF si propone di cambiare il mondo attraverso “un miglior controllo della globalizzazione”. 
Ma è veramente possibile cambiare il mondo senza mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione? E’ possibile costruire un nuovo mondo con una Tobin Tax che aiuti a “controllare la globalizzazione”? Noi siamo convinti di no!

 

“Un mondo senza guerre è possibile”?

 

Continuando nello stesso ragionamento, il “movimento dei movimenti” sostiene che “un mondo senza guerra è possibile” e cerca di spingere rappresentanti istituzionali o sociali e premi Nobel ad unire gli sforzi per riflettere sulla natura della guerra e ad elaborare progetti di pace. Ma la concorrenza e la guerra sono solo incidenti di percorso frutto della cattiva volontà umana, o sono insite nel capitalismo e nell’imperialismo nella loro ricerca del massimo profitto? Noi sosteniamo la seconda ipotesi.

Riteniamo che le guerre nel capitalismo siano inevitabili e necessarie al processo d’accumulazione attraverso i cicli di distruzione e ricostruzione del capitale. 
Noi crediamo che compito dei lavoratori in tutti i paesi sia quello di combattere contro lo sfruttamento capitalistico: per questo critichiamo il concetto interclassista di “società civile” che dissolve i confini tra le classi sociali.
La nostra lotta è contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per eliminare la società del lavoro salariato che genera e perpetua costantemente gli operai come schiavi salariati ed i borghesi come padroni, non per “dare un volto umano” alla globalizzazione.

La globalizzazione non è un fenomeno naturale, ma il prodotto dell’imperialismo, cioè del capitalismo globale, quello che distrugge i nostri posti di lavoro ed i nostri diritti. La globalizzazione capitalista ha distrutto intere nazioni, e non può essere “umanizzata”.
Il capitalismo “umanizzato” è il migliore dei mondi possibili, ma solo e soltanto per i padroni che possono lucrare e sfruttare in pace, senza conflitti.
Da parte nostra, noi continuiamo ad avere una visione classista della società, a lottare per una società socialista. Noi combattiamo per il comunismo, l’unico sistema sociale che può creare un mondo senza sfruttamento, senza milioni di morti sul lavoro e di lavoro, senza guerre, che impedisca che miliardi d’esseri umani muoiano di sete, di fame o di malattie; che può garantire un lavoro, una casa, il cibo, l’assistenza e le cure mediche, l’istruzione, la pace a tutti.

A chi ci accusa di sostenere obiettivi utopistici, di essere sognatori, di volere l’impossibile, noi rispondiamo che se l’unico “mondo possibile” è quello che permette “un miglior controllo della globalizzazione” limitandone i danni, noi non lo vogliamo.
Proprio perché siamo realisti, vogliamo e lottiamo per l’emancipazione della classe operaia e proletaria e, con essa, di tutta l’umanità.
Se dobbiamo sognare non ci limitiamo a farlo in piccolo, preferiamo farlo in grande.
Crediamo che gli unici legittimati a parlare in nome degli sfruttati e degli oppressi siano gli stessi soggetti che lottano e si organizzano senza delegare a nessuno la difesa dei loro interessi.

I tempi sono maturi, o gli operai ed i lavoratori comunisti anche in Italia cominciano a collegarsi, unirsi, coordinarsi, misurandosi sul “che fare”, dandosi strumenti e istanze idonee per intervenire ed incidere nelle lotte, preparando in tal modo l’alba di un nuovo giorno, o saranno condannati a rimanere classe subalterna venendo meno al loro compito storico: la liberazione proletaria.

 

Michele Michelino
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”
Via Magenta 88 – 20099 Sesto San Giovanni (Mi), tel. 02. 26224099
E-mail: cip.mi@tiscalinet.it

 

Pubblicato sulla rivista “nuova unità” n. 4 del 2004