Omaggio ad Howard Zinn, lo storico del popolo americano

Martedì 27 gennaio 2010 a Santa Monica (California) è morto Howard Zinn, all’età di 87 anni. Scompare così uno dei più grandi storici del ‘900, uno storico molto particolare.

La vita
Zinn nacque il 24 agosto 1922 a Brookling, figlio di operai immigrati ebrei poverissimi. Passò l’infanzia e la prima giovinezza lavorando sui moli di New York per aiutare la famiglia. Nel 1943 si arruolò nell’Aviazione USA e partecipò ai bombardamenti aerei sopra la Germania. Finita la guerra riuscì, grazie ai programmi dell’esercito per i veterani, ad entrare all’Università della Columbia e a laurearsi in storia. Tornato a visitare Dresda, che aveva visto solo dalla cabina del suo bombardiere, mise in una busta le sue medaglie, la chiuse per non aprirla mai più e divenne uno dei più feroci avversari della guerra.
Nel 1956 gli fu offerto un incarico presso lo Spelman College, il primo college universitario per ragazze nere nella città segregazionista per eccellenza di tutti gli Stati Uniti, Atlanta (Georgia). Là partecipò fin dall’inizio al Movimento per i diritti civili dei neri, insieme ai suoi studenti - tra cui Alice Walker, l’autrice de “Il colore viola” – fu incarcerato per aver partecipato alle manifestazioni antisegregazioniste e infine licenziato nel 1963. “Fu solo quando entrai nel corpo docenti dello Spelman College che iniziai a leggere storici afroamericani che non erano mai apparsi nelle mie letture scolastiche. In nessuna fase della mia formazione avevo appreso dei massacri di neri che si sono svolti più e più volte nel corso della storia statunitense, nel completo silenzio di un governo nazionale impegnato dalla Costituzione a proteggere l’uguaglianza dei diritti per tutti.”.
Dal 1964 al 1988 divenne professore di storia alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Boston. Nel 1965, dopo che la “Dichiarazione del Golfo del Tonkino” del Congresso USA conferì a Lyndon Johnson tutti poteri per dare il via all’escalation dell’invasione del Vietnam, spese tutto il suo tempo per combattere contro questa guerra (fu nuovamente arrestato in varie occasioni) e chiedere il ritiro incondizionate delle truppe USA, tanto che nel gennaio 1968, nel pieno dell’offensiva del Tet, riuscì a visitare il Vietnam e ad ottenere la liberazione di alcuni prigionieri di guerra.
Fu grazie a lui che l’opinione pubblica mondiale venne a conoscenza dei documenti copiati da Daniel Ellsberg, un consigliere della Rand Corporation, conosciuti come The Pentagon Papers, in cui si dimostrava che i capi del Pentagono, con la complicità diretta della Casa Bianca, avevano favorito l’escalation in Vietnam per beneficiare il complesso militare-industriale USA..
Da allora fu uno degli avversari più implacabili di tutte le avventure militari dell’Impero, dall’invasione di Santo Domingo a quella di Granada, di Panamà e del Kuwait. Nel marzo 2003 fu uno dei primi intellettuali a denunciare l’invasione imperialista dell’Iraq, affermando che l’obiettivo non erano “le armi di distruzione di massa” ma l’occupazione di un paese possessore di una delle maggiori riserve petrolifere del mondo.
Non fece mai mancare il suo sostegno alla Rivoluzione Cubana, dalla rottura delle relazioni con gli USA del 1961, all’invasione di Playa Giron, fino alla lotta per la liberazione dei Cinque Eroi prigionieri dell’Impero.

 

Lo storico di chi non ha né voce né storia
Così, nelle prime pagine del suo libro più famoso – A People’s History of the United States” – Zinn definisce la sua posizione nei confronti della “Storia”:
La storia è la memoria degli stati’, scrisse Henry Kissinger nel suo primo libro, A World Restored, in cui si dedicò a raccontare la storia dell’Europa del diciannovesimo secolo dal punto di vista dei leaders di Austria e Inghilterra, ignorando i milioni di persone che soffrirono per la politica dei loro statisti. Dal suo punto di vista, la “pace” di cui godeva l’Europa prima della Rivoluzione francese fu “restaurata” dalla diplomazia di pochi statisti nazionali. Ma per gli operai industriali d’Inghilterra, per i contadini di Francia, per le genti di colore in Asia e Africa, per le donne e i bambini di tutto il mondo – salvo quelli delle classi ricche – si trattava di un mondo di conquiste, violenza, fame e sfruttamento – un mondo non restaurato ma disintegrato.
Il mio punto di vista, nel raccontare la storia degli Stati Uniti è diverso: non dobbiamo accettare la memoria degli stati come cosa nostra. Le nazioni non sono comunità e mai lo sono state. La storia di qualsiasi paese, se la si presenta come se fosse quella di una famiglia, nasconde terribili conflitti di interessi (qualcosa di esplosivo, quasi sempre represso) tra conquistatori e conquistati, padroni e schiavi, capitalisti e lavoratori, dominatori e dominati per ragioni di razza e di sesso. E in un mondo di conflitti, in un mondo di vittime e carnefici, il compito delle persone che pensano deve essere – come suggeriva Albert Camus –di non trovarsi dalla parte dei carnefici.”.(1)
Il suo vecchio amico Noam Chomsky ricorda: ”Mi viene sempre in mente la sua ammirazione e il suo studio dettagliato di ciò che chiamava ‘le infinite piccole azioni di gente sconosciuta’ che hanno provocato quei grandi momenti che formano parte del registro storico, un registro che non si può cominciare a capire se non tenendo conto di quelle infinite piccole azioni. E lui non solo ha scritto di esse, ma vi ha partecipato”.

 

“Revisionare” la storia
Zinn, nei suoi libri, demistifica l’idea che lo storico sia o possa essere oggettivo. Afferma che lo storico si forma in una società in cui l’educazione e il sapere sono considerati questioni “tecniche” e non strumenti all’interno della lotta di classe.
E’ illuminante, venendo dall’interno, da qualcuno che lo fa di professione, l’esempio che segue sul ruolo dello storico - che ci riguarda da vicino, noi che abbiamo ogni giorno a che fare con il tentativo, spesso riuscito, di “riscrivere la storia” – e sul metodo più intelligente che si può usare per revisionarla.
Parlando di un altro autore, lo storico di Harvard Samuel Eliot Morison, e del suo libro su Cristoforo Colombo, Zinn scrive: “Si può mentire da mascalzoni sul passato. O si possono omettere dati che potrebbero portare a conclusioni inaccettabili. Morison non fa né l’uno né l’altro. Rifiuta di mentire su Colombo. Non omette il tema degli assassini di massa; in effetti lo descrive con la parola più straziante che si possa usare: genocidio. Ma fa un’altra cosa, non si trattiene sulla verità, ma passa a considerare le cose che ritiene più importanti. Il fatto di mentire troppo sfacciatamente o di fare sfacciate omissioni comporta il rischio di essere scoperti, cosa che, se succede, può portare il lettore a ribellarsi all’autore. Tuttavia, il fatto di segnalare i dati per poi immediatamente sotterrarli con una massa di informazioni parallele, equivale a dire al lettore con una certa calma: sì, ci furono assassinii di massa, ma questa non è la cosa più importante. Dovrebbe pesare molto poco nel nostro giudizio finale, non dovrebbe toccare più di tanto quello che facciamo nel mondo …….Il fatto di sottolineare l’eroismo di Colombo e dei suoi successori come naviganti e scopritori e di togliere importanza al genocidio che provocarono non è una necessità tecnica (dello storico) ma una scelta ideologica. Serve – lo si voglia o no – a giustificare quello che è successo.”.(1)

 

Una presa di coscienza più ampia
Howard Zinn ha espresso in molte occasioni quel concetto che noi utilizziamo quando diciamo che “chi non ha memoria non ha futuro”, cioè la necessità di studiare ciò che è passato per spiegare il presente.
Lasciamolo parlare direttamente.
Alcuni anni fa, mentre insegnavo all’Università di Boston, un gruppo di ebrei mi chiese di fare una conferenza sull’Olocausto. Quella sera parlai, ma non dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale, non del genocidio di sei milioni di ebrei. Eravamo a metà del 1980 e il governo degli Stati Uniti stava appoggiando i governi degli squadroni della morte in America Centrale; così parlai della morte di centinaia di migliaia di contadini in Guatemala e in Salvador, vittime della politica statunitense. Quello che sostenevo era che non si dovesse rinchiudere con filo spinato il ricordo dell’Olocausto ebreo, ridurlo moralmente ad un ghetto, mantenerlo isolato da altri genocidi della storia. Mi sembrava che ricordare ciò che era successo agli ebrei non servisse a molto se non avesse suscitato indignazione, rabbia, azione contro tutte le atrocità, in qualsiasi parte del mondo….Ciò che successe agli ebrei sotto Hitler è unico nei dettagli ma condivide caratteristiche universali con molti altri fatti nella storia dell’umanità: il traffico atlantico degli schiavi, il genocidio dei nativi americani, le ferite e le morti di milioni di lavoratori, vittime dello spirito del capitalismo che pone il profitto al di sopra della vita umana.”. (2)

 

Un canto al proletariato
Più di 60 pagine del suo libro “L’altra storia degli Stati Uniti” sono dedicate al racconto e all’analisi dell’organizzazione del proletariato nordamericano, dei poderosi scioperi e delle lotte operaie sviluppatesi negli USA dai primi del ‘900 alla 2° Guerra Mondiale, oltre che al movimento socialista, fatti poco conosciuti da noi.
Oltretutto lo sciopero generale di Seattle ebbe luogo nel mezzo di un’ondata di ribellioni post-guerra che stavano scuotendo tutto il mondo. Quell’anno del 1919, uno scrittore di The Nation” commentò: Il fenomeno più straordinario dell’epoca attuale è la rivolta senza precedenti della gente comune. In Russia hanno detronizzato lo zar; il Corea, India, Egitto e Irlanda sostengono una inflessibile resistenza alla tirannia politica. In Inghilterra, nonostante abbiano dovuto opporsi persino ai loro stessi rappresentanti, hanno provocato lo sciopero dei ferrovieri. A New York queste rivolte popolari hanno provocato lo sciopero degli stivatori e gli uomini sono scesi in sciopero sfidando i capi dei sindacati. C’è stata anche la ribellione degli stampatori, che i sindacati internazionali sono stati completamente incapaci di controllare.
L’uomo della strada ha perso la fiducia nella vecchia leadership e ha sperimentato un nuovo sentimento di fiducia in se stesso”.(1)

Abbiamo cercato di dare un panorama, molto scarno e schematico, della vita e dell’opera di Howard Zinn: un intellettuale uscito dalla torre d’avorio che si è unito agli sfruttati e agli oppressi del suo paese per fornire loro, oltre al suo appoggio militante, strumenti per conoscere, interpretare e utilizzare il loro passato in vista delle lotte del presente e del futuro.
Dalle viscere dell’Impero, quest’uomo emerge e giganteggia sulle schiere dei mentitori al servizio del sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 

Nota:
1) tutte le citazioni di Howard Zinn sono tratte dall’edizione spagnola di “A People’s History of the United States”, Editorial de Ciencia Sociales, La Habana, 2006.
2) il testo completo sull’Olocausto è parte del suo libro “A Power Governments Cannot Suppress” , City Lights Books, e si può trovare sul sito Rebeliòn.org

 

Alcune opere di Howard Zinn:
Vietnam: The Logic of Withdrawal, 1967
The Pentagon Papers: Critical Essays, 1972
You Can’t Be Neutral on a Moving Train, 1994
Marx in Soho: A Play on History, 1999
Terrorismo and War, 1999

 

Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”