Gli operai di Pomigliano sono riusciti a difendere la loro dignità e gli interessi di classe contro tutto e contro tutti. Con il referendum, Fiat e sindacati collaborazionisti hanno cercato il consenso plebiscitario su un piano che prevede - in cambio di investimenti (700 milioni per produrre la Panda portandola dalla Polonia a Pomigliano) e l’illusione di un posto di lavoro stabile - un peggioramento certo delle condizioni di lavoro e di vita in fabbrica con turni massacranti, aumento delle ore straordinarie obbligatorie, abolizione del diritto di sciopero per questioni riguardanti i contratti aziendali.
La Fiat, Confindustria, Governo, opposizione, Cisl-Uil-Fiscmic-Ugl- e i vertici della CGIL a cominciare da Epifani ,hanno venduto troppo presto la pelle degli operai senza fare i conti con questi ultimi.
La campagna antioperaia basata sui soliti luoghi comuni cercava di denigrare i lavoratori facendoli apparire come lazzaroni, assenteisti, poco produttivi.
Sulla stampa, giornalisti prezzolati hanno cercato di convincere gli operai che non c’erano alternative all’accordo capestro. L’unica strada per mantenere a Pomigliano d’Arco l’occupazione era quella del trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia, ma a patto che gli operai accettassero condizioni infinitamente peggiori di quelle previste dai contratti e in alcuni casi dalle stessi leggi, e per di più che fossero anche contenti. Per settimane i capi nei reparti hanno fatto pressione sugli operai per convincere i più riluttanti dei vantaggi derivanti da questa operazione per chi avrebbe votato Si al referendum del 22 giugno, minacciando non solo velatamente chi osava esprimersi pubblicamente nelle discussioni in fabbrica per il No. La Fiom, pur contraria all’accordo, non si espressa chiaramente per il No, esprimendo un Ni e invitando i lavoratori al voto senza dare indicazioni.
La Fiat, come già fece a Torino nel 1980 con la cosiddetta “marcia dei 40.000” che 40.000 non erano come si seppe negli anni successivi, per garantire il consenso intorno ai suoi interessi, il 18 giugno 2010 ha organizzato capi e crumiri, dirigenti, quadri, impiegati e sindacalisti filo padronali, bottegai e commercianti, partiti di governo ed esponenti dell’opposizione per portarli in piazza a sostegno dei suoi interessi
Nonostante la grande propaganda ed i mezzi a disposizione la manifestazione si è risolta in un grande flop. La stampa ed i media le hanno dato grande risalto parlando, nei primi lanci di agenzia , di 5.000 partecipanti. Questa volta però, a ridimensionare le cifre della Fiat, ci hanno pensato i loro amici della Questura conteggiando in un migliaio scarso i partecipanti.
Al referendum la CGIL ha detto SI e la Fiom NI, invitando comunque i lavoratori ad andare alle urne, mentre solo lo SLAI Cobas e i sindacati di base si sono espressi con chiarezza contro il referendum invitando a votare un sonoro NO.
E’ in questo contesto che si arriva al referendum, in cui tutti davano per certo un risultato plebiscitario per la Fiat con i SI all’ottanta per cento. Basandosi sulle tessere - che fra Fiom e SLAI Cobas arrivavano a malapena intorno al il 20% - Marchionne era certo del risultato plebiscitario. Al referendum “sull'accordo per il futuro di Pomigliano d'Arco” hanno vinto i SI con il 63,4%, ma i voti contrari sono al 36%, molto più di quanto la Fiat si aspettasse. Al termine del lungo scrutinio delle 4.642 schede (su 4.881 aventi diritto al voto) i favorevoli risultano 2.888, contro i 1.673 che hanno rispedito al mittente l'intesa siglata da azienda e sindacati (Fiom esclusa) il 15 giugno. Le schede nulle sono state 59 e 22 le bianche. Si votava anche al Polo di Nola, (reparto confino) dove è arrivato un secco NO: su 273 voti, 77 sono stati favorevoli e 192 contrari.
Il segretario della Uilm Campania Giovanni Sgambati ha sottolineato che «la partecipazione è stata altissima, pari al 95%. In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4%. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere».
Lo stesso Ministro del lavoro Maurizio Sacconi, dopo il risultato dello scrutinio delle urne dei quadri e degli impiegati, convinto del risultato positivo e plebiscitario ad urne ancora aperte e conteggi in corso, è intervenuto pubblicamente per affermare soddisfatto: «è stata isolata la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti». «La partecipazione al voto è stata straordinariamente alta. La Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale. Da oggi il Paese si rivela ancora più moderno», facendo immediatamente dopo una figura barbina.
Nel risultato finale delle urne è stato ancora più eloquente il voto operaio:
O perai …… 4.231 Impiegati : 413
Voti validi 4.151 voti validi 410
SI 2.494 (60%) SI 394
NO 1.657 (39,9%) NO 16
bianche 22 bianche 0
nulle 57 nulle 2
Come si vede dai risultati i NO sono andati oltre i tesserati della Fiom (che aveva sostenuto la libertà di voto), SLAI Cobas e Sindacati di Base contrari all’accordo (circa il 20%), perché per arrivare al 39,9% significa che il 19,9% dei NO proviene quindi dagli iscritti della Cisl e Uil promotrici del Referendum o da non iscritti ai sindacati.
Solidarietà operaia
In questa vicenda si è cercato di mettere i lavoratori in concorrenza fra loro nella stessa fabbrica e con gli operai polacchi, alimentando la solita guerra fra poveri che però non ha dato alla Fiat i risultati sperati.
La solidarietà operaia è stata più forte dei ricatti padronali. I lavoratori di Tychy - regione della Slesia, nel sud della Polonia, dove la Fiat produce prevalentemente la Panda e la 500 - si sono messi in contatto con i loro compagni italiani. Wanda Strozyk, responsabile di Solidarnosc di Fiat Auto Poland, ha detto all'ADNKRONOS : "Osserviamo con attenzione- quello che succede in Italia e rispettiamo ogni decisione che prenderanno i colleghi di Pomigliano. Credo che la Fiat stia cercando di limitare i diritti dei lavoratori in Italia e che voglia fare altrettanto qui da noi, mettendoci gli uni contro gli altri. Ma Solidarnosc lo impedirà, noi stiamo cercando di difendere e allargare i nostri diritti qui e pensiamo che i colleghi italiani stiano facendo altrettanto".
La ricerca del massimo profitto acuisce i contrasti di classe fra padroni e operai e si scontra con la resistenza della classe operaia in lotta contro il peggioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Questo si è manifestato anche nel referendum, ricordando a tutti che la lotta economica è un aspetto della lotta tra le classi, esprime un conflitto di interessi tra borghesia e proletariato. E’ una lotta necessaria per limitare lo sfruttamento capitalistico, ma per quanto efficace possa essere, da sola non basta.
I padroni sono alla continua ricerca di mezzi per ridurre il costo del lavoro per mantenere alti i profitti e per questo continuano a peggiorare le condizioni dei lavoratori. Altro che costo del lavoro! è arrivato il momento di dire le cose come sono. Quindi, il problema non è il costo del lavoro ma il costo del capitale che i proletari e le masse sfruttate del mondo pagano sulla loro pelle
L’esperienza ricorda costantemente ai lavoratori che la classe operaia, nella difesa dei suoi interessi materiali, lotta contro gli effetti e non contro le cause del proprio sfruttamento. Separare la lotta economica da quella politica per la presa del potere è sempre stato l’obiettivo della borghesia. Centrodestra e centrosinistra, insieme ai dirigenti sindacali di CGIL-CISL-UIL e altri sindacati filo padronali, riconoscendo come legittimo il profitto e la società basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, si fanno paladini e sostenitori del sistema capitalista.
Ciò che il sindacato vuole farci accettare è - né più né meno - il punto di vista dei padroni sulla condizione operaia. Presentandosi come rappresentanti “ufficiali” degli operai, diventano i principali sostenitori della “politica dei sacrifici”.
Per i sindacati confederali, i profitti sono un diritto inalienabile, da difendere al di sopra di tutto.
Il posto di lavoro e gli eventuali aumenti salariali vanno riferiti alla gerarchia di fabbrica: dirigenti, quadri capi e aristocrazia operaia devono avere di più, per legarli al cappio e assicurarsi il controllo sugli strati più bassi e solo in presenza di un aumento della produttività.
La funzione del referendum a Pomigliano era quella di far accettare questo punto di vista, ottenere un assenso plebiscitario ad una piattaforma caratteristica del sindacalismo borghese: ma la forte opposizione ha vanificato in parte questa operazione. Come insegna questa vicenda OGGI NESSUNO DIFENDE GLI OPERAI SE NON GLI OPERAI STESSI.
Ogni misura peggiorativa della condizione dei lavoratori che passa pacificamente in una fabbrica, senza suscitare la protesta operaia, incoraggia nuove e più pesanti misure in futuro da parte di governo e padroni.
Onore agli operai dell’Alfa Sud che hanno saputo resistere all’attacco padronale opponendosi con il NO alle misure di sfruttamento e immiserimento gestite da azienda, governo e sindacato per salvaguardare i profitti padronali.
Michele Michelino
Centro di Iniziativa Proletaria G. Tagarelli
Via Magenta 88, 20099 Sesto San Giovanni (Mi)
Mail cip.mi@tiscali.it
Scrivi commento