NOTA: questo articolo è stato pubblicato oggi anche da Repubblica, ma tagliato. In neretto abbiamo segnato i paragrafi che Repubblica ha ignorato.
“ I 33”
di LUIS SEPULVEDA
Il Cile è un paese che cresce nelle tragedie. Il poeta Fernando Alegría ha scritto: "Quando ci
colpisce un temporale o ci scuote un terremoto, quando il Cile non può più essere sicuro delle sue mappe, dico infuriato: viva il Cile, merda!". Nel mese di agosto, con la metà del sud del paese
ancora tra le rovine provocate dal terremoto del 27 febbraio, giunse l'allarme dal nord, dal deserto di Atacama e venimmo a sapere che 33 minatori erano rimasti intrappolati, dopo il crollo di
una miniera di proprietà di un'impresa che violava tutte le regole di sicurezza sul lavoro.
Trentatré uomini, uno dei quali boliviano, sono rimasti intrappolati a 700 metri di profondità per 69 giorni finché, e nonostante lo show mediatico organizzato dal governo, hanno cominciato a
uscire uno dopo l'altro dalle profondità della terra.
Mentre scrivo queste righe ne sono già usciti otto e lo hanno fatto in piedi, ricevendo il caloroso saluto dei loro compagni di lavoro che li hanno cercati,
trovati e che hanno scavato la dura roccia fino a che, con il sobrio linguaggio dei minatori, hanno promesso loro che li avrebbero tirati fuori da lì.
Mentre scrivo queste
righe ne sono già usciti otto e lo hanno fatto in piedi,
ricevendo il caloroso saluto dei loro compagni di lavoro che li hanno cercati, trovati e che hanno scavato la dura roccia fino a che, con il sobrio
linguaggio dei minatori, hanno promesso loro che li avrebbero tirati fuori da lì.
Quando è uscito il primo, il presidente Piñera ha ringraziato Dio e la nomenclatura per ordine di importanza per gli incarichi, ma ha dimenticato di ringraziare i minatori della Pennsylvania
che avendo sperimentato una tragedia simile, hanno solidarizzato con i loro lontani colleghi di Atacama
e hanno messo a disposizione le conoscenze tecniche - la cultura mineraria - e parte dei macchinari che hanno reso possibile il salvataggio.
Non ha menzionato neanche due eroi silenziosi, due internazionalisti del lavoro: James Stefanic e Matt Stafeard, i due
operatori che sono arrivati fino ai minatori intrappolati e che sono i veri responsabili del salvataggio.
Mentre tiravano fuori
il secondo minatore, che usciva dal caldo e dall'umidità della reclusione a 700 metri sottoterra per affrontare il clima secco e i 10 gradi sotto zero del deserto, il presidente Piñera non ha
resistito alla tentazione di un'altra conferenza stampa "in situ", il cui unico momento rilevante è stata una vacillante dichiarazione d'intenti riguardante la sicurezza sul lavoro dei minatori.
Nella sua evidente goffaggine, Piñera non dice che proprio la destra cilena ha incarnato la più feroce opposizione alla regolamentazione della
sicurezza del lavoro, sostenendo che i controlli sono sinonimo di burocrazia e attentano alla libertà di mercato.
Durante il suo show, carico di gesti religiosi, Piñera ha omesso qualsiasi riferimento alla triste situazione degli altri duecento e passa minatori della stessa impresa, che lavoravano nella
stessa miniera, che da agosto non ricevono il loro salario. Questa impresa ha osato dichiarare che anche i 33 non saranno
pagati per tutti i giorni passati sotto terra perché – semplicemente – non hanno lavorato. E la risposta del governo ha brillato per la sua
assenza.
La tragedia, questi 33
uomini sepolti, è stata utilizzata per contrassegnare con l’invisibilità l’altro Cile, il paese che non appare in televisione, por esempio i mapuche, il cui drammatico sciopero della fame è
sparito dall’attualità, questo succedaneo del presente che si impone a quella massa acritica e dedita all’applauso facile che i moderni comunicatori chiamano “opinione
pubblica”.
Certo è emozionante vederli uscire, uno per uno, e ancor più emozionante è vedere che quei 33 minatori, nonostante i regali
promessi, un viaggio in Spagna per vedere una partita del Real Madrid, un viaggio in Inghilterra per vedere una partita del Manchester United, un iPhone di ultima generazione, un viaggio in
Grecia, e persino diecimila dollari a testa donati da un imprenditore cileno che aspira a diventare presidente del Paese, nonostante tutto questo continuano a essere dei minatori e, proprio per
questo, hanno annunciato la creazione di una fondazione che si preoccupi della situazione di tutti i lavoratori delle miniere colpiti
dall’irresponsabilità
delle imprese.
Tirarli fuori da lì è stata una prodezza, ma una prodezza di tutti quelli che hanno sudato finché non ce l'hanno fatta e non degli incaricati dello show del salvataggio.
E la prodezza più
grande sarà ottenere che in Cile si rispettino le norme di sicurezza sul lavoro perché mai più 33 minatori scompaiano nelle viscere della
terra.
(versione integrale
pubblicata da El Comercio Digital– 14/10/2010)
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