CHI AFFRONTA LA RIVOLUZIONE ARABA?

manifestazione al Cairo
manifestazione al Cairo

Chi affronta la rivoluzione araba?

di Angel Guerra Cabrera – La Jornada (*), 10.2.2011

 

Non ci sarà la fine del regime, Mubarak non se ne va, gli egiziani non sono preparati per la democrazia: così afferma il vice Suleiman, uomo della CIA e candidato di Israele a succedere a Mubarak. Sembra inamovibile e si mostra persino minaccioso di fronte al movimento insurrezionale delle masse giovanili, dei sempre più diversi settori di popolo e ora anche degli operai delle principali fabbriche che, nel chiedere che Mubarak se ne vada, esprimono il loro totale rifiuto per il vecchio regime. Hanno realizzato l’impresa di superare, martedì 8, il fiume di masse mobilitate nei quindici giorni precedenti, facendo sì che Piazza Tahir, questa straordinaria scuola di quadri rivoluzionari, diventasse per loro molto piccola.

 

Ma, scusate, questa gigantesca protesta fronteggia solo il regime di Murabak? Se fosse così ormai Suleiman e molti dei suoi complici si sarebbero visti obbligati ad una precipitosa fuga per evitare di essere civilmente giudicati, come esige il coordinamento delle associazioni giovanili. Se Mubarak e gli altri sono ancora lì è perché Wall Street, l’industria della guerra, la lobby sionista degli Stati Uniti e dei loro pari europei gli strizzano l’occhio. Non conviene che se ne vada adesso, ha detto la Clinton. E che dire di Israele, dove il panico corrode fino al midollo i gerarchi da quando è iniziato il movimento in Tunisia e Hezbollah ha il controllo del governo in Libano?! I fatti dell’Egitto fanno loro orrore. Mai la stampa israeliana aveva prodotto tanti comunicati con le più melliflue lodi ai tiranni arabi e gli insulti più irrazionali contro i popoli della zona: la loro incapacità di esercitare la democrazia – coincidenza con il loro amico Suleiman – e la loro naturale inclinazione all’ “islamismo radicale” e alla violenza.

Scusate, ma ci sono paragoni che ripetono incoscientemente gli “argomenti” della macchina mediatica. Nessuno dei movimenti “democratizza tori” dell’Europa Orientale ha dovuto, come fanno oggi gli egiziani per ottenere libertà e giustizia, sfidare i centri principali del capitalismo mondiale. Invece, è stato ampiamente documentato che quei movimenti ricevevano da questi centri e dai loro servizi segreti tutto l’appoggio morale, carrettate di denaro e consigli politici. L’unica cosa in comune che la caduta dell’esperimento socialista europeo ha con l’insurrezione araba è che la prima fu causata dall’esaurimento di quell’esperienza e la seconda è l’agonia del capitalismo. L’acceleratore e il detonatore della sempre più politicizzata insurrezione araba e egiziana sono stati le spaventose conseguenze sociali delle politiche liberiste del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Invece la caduta dei regimi dell’est europeo fu dovuta alla ripugnanza di masse disincantate e spoliticizzate per la burocrazia che governava, in fin dei conti responsabile con l’Occidente nel festeggiare la democrazia del capitalismo neoliberista, che le spogliò dei diritti sociali di cui godevano in quanto a salari, livelli di vita, sanità, educazione e sicurezza sociale, quando non le spinse a terribili mattanze come quella della ex Yugoslavia.

 

Ripeto quanto dicevo in una precedente nota – “La rivoluzione araba è all’inizio e può essere necessario del tempo per la definizione del suo futuro” - , ma devo aggiungere che non è per mancanza di decisione e di eroismo, di acuta intelligenza politica, di sensibilità nel percepire il pericolo e di fermezza nel non cedere sui principi, che si confermano ogni minuto in Piazza Tahrir. E’ principalmente per la grandezza dei nemici che affronta, spaventati come si sentono Washington e il capitale internazionale di perdere il loro dominio su questa zona di eccezionale importanza strategica per i suoi ricchi giacimenti di petrolio, il canale di Suez e lo stretto di Ormuz – giugulari dell’economia capitalista – e per la sua ubicazione tra Europa, Africa e Asia.

 

Ma per quanto la controrivoluzione manovri, per quanto potremo vedere alti e bassi nel movimento, ormai non si può tornare indietro. I popoli arabi vogliono tutti i diritti umani. Un lavoro degno e una vita decente, partecipare alle decisioni da paesi sovrani e non da burattini dell’imperialismo come sono la maggioranza dei loro governi. Giungere ad una pace con Israele – sì – ma con dignità, senza cedere un millimetro dei diritti dei palestinesi, compreso il ritorno dei rifugiati, tutte cose contenute nelle risoluzioni dell’ONU. Per questo, gli egiziani, in un referendum, rifiuterebbero in massa gli accordi di Camp David, astuta capitolazione del Cairo a Washington e Tel Aviv.

(*) Quotidiano messicano.

(traduzione di Daniela Trollio)

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