ELEZIONI 2011: LE ILLUSIONI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA DELEGATA
di Michele Michelino
La borghesia illude i proletari sulla possibilità di cambiamenti reali. Pensare di poter cambiare la propria situazione di vita e di lavoro semplicemente con il voto nelle urne, sostituendo i rappresentanti politici dello schieramento di destra con quelli di sinistra ( o viceversa) senza intaccare la struttura e il modo di produzione capitalista porta a grandi delusioni.
Il voto serve a legittimare chi vince e gli attuali partiti, dal PdL al PD fino ai vari partiti nati dallo sfaldamento di Rifondazione Comunista, se governano lo fanno solo nell’esclusivo interesse della classe dominante, come ormai è ampiamente dimostrato (vedi l’identità di interessi sulla necessità di aiutare l’industrie, la posizione sulla guerra, ecc).
Gli interessi delle varie frazioni borghesi, mediati dallo stato borghese e dalle sue istituzioni sono sempre gli stessi. Cambia solo la formazione politica o la coalizione politica che - nella situazione data - dirige e rappresenta l’interesse particolare o collettivo della classe sfruttatrice.
Il copione si ripete anche nelle elezioni locali. La batosta subita da Berlusconi e dai suoi alleati non può che rallegrarci. Tuttavia non possiamo fermarci all’istinto, dobbiamo analizzare la realtà.
La vittoria di Piero Fassino a Torino, Giuliano Pisapia a Milano, Luigi de Magistris a Napoli, Massimo Zedda a Cagliari, Roberto Cosolini a Trieste, per quanto avversari del centrodestra e di schieramenti opposti, diversi su alcune proposte, possono rappresentare anche un “vento nuovo”, ma non rappresentano visioni del mondo e modelli di società contrapposti, bensì frazioni diverse della stessa classe borghese, del capitale, che a livello locale si combatte su interessi contrapposti.
Da una parte ci sono gli interessi del capitale finanziario, del capitale industriale e commerciale e delle rendite parassitarie, dei sostenitori della svendita delle proprietà statali ai privati e agli amici degli amici, rappresentati a rotazione e volta per volta da Berlusconi e dal centrodestra e dall’altra quelli della frazione dei concorrenti, degli Agnelli, dei De Benedetti, Della Valle, ecc, sostenuti dal PD e dal polo di centro sinistra insieme ai suoi alleati. Anche a Milano queste frazioni si sono divisi in schieramenti contrapposti. A Milano Giuliano Pisapia è stato sostenuto dal Comitato “oltre il 51” per cento guidato da Piero Bassetti (primo presidente della regione Lombardia, ex parlamentare Dc e presidente della Camera di Commercio) forte di circa 200 firme di rappresentanti e personaggi influenti del mondo dell’economia tra cui Luciano Balbo, Salvatore Bragantini, Carlo Dall’Aringa, Alessandro Profumo, Anna Puccio, Pippo Ranci, Sabina Ratti, Guido Roberto Vitale, Marco Vitale.
I vari avversari che si sono sfidati in questa campagna elettorale pur rappresentando frazioni diverse del capitale, sostengono gli interessi della stessa classe: la borghesia, gli sfruttatori.
Ognuno di questi schieramenti ha cercato di attirare i voti dei proletari, della piccola borghesia e di tutti gli strati intermedi ignorati, schiacciati e dimenticati dalla loro politica, politica che si ricorda di loro solo in periodo elettorale. Ormai anche in Italia ha fatto scuola il modello americano basato sui leader che fanno le campagne elettorali basandosi sui sondaggi e le trasmissioni tv. Dirigenti politici che evitano di confrontarsi con le piazze con cui hanno sempre più problemi.
La storia insegna che l’illusione del cambiamento attraverso il voto che avviene in caso di ricambio delle forze politiche, ma che non muta la struttura, non cambia la realtà economica e la vita di milioni di persone e questo è alla base della crescente apatia e distacco dalla politica.
Non è un caso che, in mancanza di un partito che rappresenti anche nelle elezioni gli interessi della classe operaia, l’astensionismo continui a crescere fra strati gli proletari, evidenziando il distacco degli interessi reali di chi ha perso o non trova lavoro, casa, diritti.
L’astensionismo proletario non significa indifferenza dalla politica. In generale è praticato da lavoratori e da compagni organizzati che lottano, partecipando in prima persona agli scioperi, alla costruzione di associazioni e Comitati, senza delegare a nessuno la difesa dei loro interessi e che non si riconoscono in nessun partito attualmente sulla piazza.
La lotta fra capitale e lavoro
Al mondo delle chiacchiere si contrappone il mondo reale di milioni di persone che, nella lotta fra capitale e lavoro, ogni giorno si battono per potere mantenere condizioni di vita decenti per sè e le proprie famiglie, faticando spesso a mettere insieme il pranzo con la cena.
Il valore della forza-lavoro in generale è costituito da due elementi, uno fisico, l’altro storico-sociale. Gli industriali cercano di realizzare il massimo profitto giustificandolo con le leggi del mercato. Il continuo attacco ai salari cerca di ridurli sempre più al minimo. I padroni si occupano solo della realizzazione del massimo profitto, lasciando allo stato e alle istituzioni il compito di intervenire con leggi a favore dei più bisognosi o poveri, e ancor più delegando alle istituzioni religiose la carità, affinché forniscano gli aiuti sociali e i mezzi necessari alla conservazione fisica della classe proletaria.
La società capitalista legifera e permette attraverso i contratti imposti dai padroni e sottoscritti dai sindacati filo-padronali di ridurre i salari al minimo e in alcuni casi sotto il minimo di sopravvivenza.
La massima flessibilità, la precarietà è sempre più diffusa, lo sfruttamento e l’intensità del lavoro sempre più intensi fanno sì che al massimo profitto corrisponda il minimo dei salari.
I capitalisti da sempre, ma ancor più oggi nella crisi, cercano di ridurre i salari e aumentare la giornata lavorativa, come Marchionne e la FIAT dimostrano, ed è solo con la lotta di tutti i lavoratori a livello nazionale, i contratti nazionali e gli interventi legislativi che si può cercare di contrastare questi attacchi con speranza di successo.
Non abbiamo nessuna illusione sullo stato. Sappiamo bene che non è un organismo neutro, al di sopra delle parti. Siamo coscienti che la “Repubblica Italiana nata dalla Resistenza” è uno Stato capitalista. Questo Stato che tutti i borghesi difendono non è altro che l’organizzazione, l’istituzione che legittima gli sfruttatori; è l’organizzazione che essi si sono data per difendere e mantenere i loro privilegi.
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto San Giovanni, mail: cip.mi@tiscali.it
Web http://ciptagarelli.jimdo.com/ Sesto San Giovanni 30 maggio 2011
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