Gaza e la Flottiglia della Libertà
Continuiamo ad essere umani
di Santiago Alba Rico (*), da: rebelion.org, 4.7.2011
La seconda Flottiglia della Libertà, trattenuta in Grecia da una decisione illegale del Governo ellenico, deve servire a dirigere la nostra attenzione verso il blocco illegale che Gaza, il territorio più densamente popolato della terra, soffre dal 2007, poco dopo che ai suoi abitanti è capitato di aver votato liberamente per la scelta … sbagliata, almeno secondo le regole di Israele, degli Usa e dell’Unione Europea.
Secondo rapporti dell’ONU, l’assedio medioevale di questa piccola striscia di 40 chilometri di lunghezza per 10 di larghezza, con una popolazione di 1.500.000 abitanti, in maggior parte rifugiati, avrebbe distrutto completamente la sua economia e gravemente impoverito i suoi abitanti negli ultimi cinque anni. I numeri non fanno male ma insegnano: senza acqua per sviluppare l’agricoltura e con una fornitura di energia elettrica irregolare, con l’83% delle sue fabbriche chiuse e il numero di disoccupati più alto del mondo, l’80% degli abitanti di Gaza sopravvive grazie agli aiuti umanitari, mentre sono triplicati negli ultimi tre anni i casi di povertà estrema, che già colpisce 300.000 persone.
I bombardamenti israeliani del 2008-2009 non hanno solo prodotto la morte di 1.400 palestinesi. I numeri non uccidono ma danno fastidio: 18 scuole sono state completamente distrutte e 280 hanno sofferto gravi danni e oggi non possono essere ricostruite perché il blocco – cioè gli israeliani – non permettono di far entrare il cemento, o comunque non nelle quantità necessarie. Lo stesso succede con la situazione sanitaria, recentemente denunciata da Richard Falk, inviato speciale dell’ONU, che ha segnalato l’effetto potenzialmente letale per la salute degli abitanti di Gaza dell’aggressione israeliana: mancanza di risorse, difficoltà a trasportare i malati più gravi, deficit di alimentazione, deterioramento delle condizioni psicologiche della popolazione.
La prima Flottiglia della Libertà, con il tragico copione dell’assalto al Mavi Marmara, ha obbligato il governo israeliano ad alleggerire il blocco il giugno scorso. Oggi gli abitanti di Gaza possono mangiare più ketchup e comprare schermi al plasma, ma continuano ad essere privati dei mezzi necessari per ricostruire il territorio, attivare l’economia e scuotersi di dosso la perversa dipendenza dal loro boia.
La recente apertura del valico di Rafah è stato più che altro un gesto simbolico della Giunta militare egiziana, che ha cercato di dare soddisfazione alle richieste popolari senza danneggiare le sue relazioni con gli USA e con Israele: l’apertura permette il transito di persone – circa 250 al giorno – ma non delle merci.
Perchè, in ogni caso, il problema non si riduce alle condizioni economiche. Gli israeliani hanno ragione quando affermano che i cittadini di Gaza non stanno morendo di fame. In condizioni penose, con gravi limitazioni, sempre sul bordo di una catastrofe, ma sopravvivono.
La cosa veramente intollerabile del blocco ha a che vedere con il fatto che, in ultima analisi, i cittadini di Gaza sopravvivono grazie alla volontà sovrana, assoluta, onnipotente, dell’aggressore; l’aspetto veramente ignominioso del blocco ha a che vedere con questo gioco molto primitivo, e di nefaste risonanze teologiche, in virtù del quale è Israele chi mantiene in vita le sue vittime, che potrebbe decidere di uccidere in qualsiasi momento. Come bene lo definisce Raji Sourani, direttore del Centro Palestinese per il Diritti Umani, “Gaza è una fattoria di animali”.
Questo era l’umiliante messaggio diretto nel 2008 alla comunità internazionale da Dov Weissglass, ex consigliere del Governo israeliano: “Non li uccideremo; li sottoporremo soltanto ad una dieta dimagrante”.
Corpi nudi, alimentati dall’esterno, alla mercé di un potere totale? Non è logico, non è ammirevole, non è indispensabilmente umano che i palestinesi si ribellino contro queste catene infami? E che noi li appoggiamo senza alcuna esitazione?
La seconda iniziativa della Flottiglie si inscrive, quindi, in questo doppio contesto: quello – sì - di portare a Gaza un poco di aiuto umanitario, ma anche quello di denunciare la politica israeliana che concepisce Gaza come una fattoria-ghetto completamente sottomessa ad una sovranità metafisica, al di sopra delle leggi internazionali e dell’etica più elementare.
Nel 2005 un prestigioso giornale spagnolo definiva Cindy Shehan – la coraggiosa madre di un soldato statunitense morto in Iraq – “la più aggressiva attivista per la pace”. Nel momento in cui ogni tipo di pressione chiude le sue tenaglie sulla Flottiglia e sui suoi partecipanti – sabotaggi, minacce, e ora l’ordine di blocco del Ministero della Difesa greco – i governi USA e UE, incluso quello spagnolo, fanno eco alla propaganda israeliana, che si impegna nel descrivere questo volo di passero, questo grappolo di barchette di carta, come una “minaccia”, una “aggressione” o una “provocazione”.
Pace aggressiva? Provocatoria difesa del diritto? Minacciosa protesta contro un linciaggio? Per favore, non bombardiamo anche la nostra città linguistica!!!
I partecipanti della Flottiglia non vogliono neppure “rompere” o “violare” il blocco, espressioni già cariche di pesante negatività. Chi spezza e viola la legge è Israele.
La Flottiglia viaggerà a Gaza positivamente, pacificamente, per ricordare il diritto internazionale e l’umanità condivisa. Quelli che stanno impedendo la sua traversata, sappiano almeno che stanno spezzando le ali di un passero, che stanno calpestando un grappolo di barchette di carta. Il Governo spagnolo non dovrebbe farsi complice di questa violenza.
(*) Filosofo e scrittore spagnolo, componente della 2° Flottiglia della Libertà
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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wlp (giovedì, 25 giugno 2015 12:41)
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