Globalizzazione e speranza di vita
di Arnoldo Kraus, da: jornada.unam.mx (*) , 6.7.2011
Sappiamo bene che la globalizzazione è un processo mondiale che pretende di comprendere molte cose e di produrre benefici per molti.
Sappiamo bene che questo non è vero.
La prima affermazione la ripetono, ad nauseam, i padroni del mondo. La sostengono, in altre lingue, alcuni ciarlatani, in maggioranza politici dei paesi poveri o molto poveri, abituati a mentire senza pietà e, peggio ancora, a trasformare le loro menzogne in verità e in comandamento.
La seconda affermazione, che sostiene che la prima è falsa, la vive e la trasmette, in utero, la maggior parte dei popoli vittime dei globalizzatori.
Un piccolo esempio.
La speranza di vita in Giappone è di 83 anni e in Spagna di 82. In Zambia la stessa vita, la speranza di vita con poca vita, è di 43 anni; nella Repubblica Centroafricana è di 44 anni. L’unica differenza tra le nazioni africane è il nome: quello della prima comincia con la Z e la seconda con la R. Il resto è uguale: gli stessi politici – la stessa merda – l’identica corruzione, la stessa povertà.
Un buon samaritano, economista, politico, salutista o ministro religioso direbbe che non c’è da lamentarsi della situazione dei paesi dove la speranza di vita è scarsa: Se la loro vita, prima di morire, sembra vita ma non lo è, perchè sopravvivere per tanti anni? Se la tubercolosi, le rivalità tribali, la malaria, le violenze sessuali, l’AIDS e, soprattutto, sempre soprattutto, i politici si incaricano di torturare e produrre sofferenze inimmaginbili, di cui né i padroni del G-8 nè Dio si rendono conto, perchè vivere molti anni?
Ho parlato di globlizzazione e di speranza di vita senza dire niente, in modo non accademico, riguardo ai concetti. La globalizzaizone è un processo che cerca di connetttere tra loro le diverse nazioni del mondo unificando i loro mercati attraverso una serie di cambi sociali, economici e politici. La speranza di vita, alla nascita, si riferisce alla quantità di anni che vivrà un neonato se i modelli di mortalità vigenti al momento della sua nascita non cambiano nel corso della vita del bimbo.
In questo articolo le definizioni accademiche non sono necessarie. E’ sufficiente la realtà.
La globalizzazione ha un’infinità di connessioni con lasperanza di vita ed è responsabile del suo miglioramento, non solo nei paesi globalizzati, ma anche in quelli de-globalizzati.
Nelle nazioni povere è evidente – nel campo della salute, e anche nel resto degli altri campi – il fallimento della globalizzazione. Tra una miriade di esempi, eccone tre piccoli, tre ragioni per incorporare in qualche dizionario la parole de-globalizzazione.
Un buon modo per valutare la salute politica e etica di una nazione è rappresentato dalla spesa annuale per la salute pro capite (in dollari statunitensi).
L’Austria investe (non spende) 5.037 dollari ogni anno per abitante; la Francia dispone di 4.798 dollari. Tutte e due queste nazioni sfuttano i benefici della globalizzazione. Il rovescio della medaglia è rappresentato da tre paesi molto de-globalizzati: la Repubblica Democratica del Congo spende 16 dollari pro capite all’anno, il Bangladesh 18 e Haitì 40.
Secondo esempio. L’investimento sulla salute è in relazione alla frequenza della tubercolosi. Su 100 mila abitanti, ci sono 3 casi di tubercolosi in Islanda e 5 in Germania. La controparte viene dall’Africa: in Swasiland il tasso è di 1.257 casi di tubercolosi per ogni 100mila abitanti, mentre in Sudafrica la cifra è di 971.
Terzo esempio. La percentuale di donne incinte che ricevono cure prenatali è del 100 per cento in Finlandia e del 90 per cento in Costa Rica; in Afganistan solo il 36 per cento delle donne gravide riceve cure mediche durante la gravidanza e, nel Niger, il 46 per cento.
I numeri, a differenza delle parole, parlano un solo linguaggio: quello della realtà.
Bastano poche parole per spiegare la breccia che si apre tra le percentuali sopra esposte. Sottolineo un’idea. Per quel che si riferisce alla salute il fallimento della globalizzazione è clamoroso. La realtà dei numeri è brutale. C’è poco spazio per la speranza. Nella misura in cui aumenta sempre di più la distanza tra le nazioni ricche e quelle povere è poco probabile che la speranza e la qualità della vita migliorino nelle nazioni povere.
La salute, si sa, è il bene più prezioso di ogni essere umano. L’ordine globale, la globalizzazione, non è arrivata in un’infinità di luoghi.
L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite sostiene che “ .... è un diritto umano che tutte le persone raggiungano il livello più alto di salute fisica e mentale ... Milioni di persone nel mondo non godono di questo diritto .... Per molti, specialmente per quelli che vivono in povertà, questa meta è molto remota .... La salute fisica e mentale è una meta mondiale molto importante .... Per raggiungerla è necessaria l’azione di molti settori economici e sociali, oltre che dei settori preposti alla salute”.
L’impegno dei globalizzatori sulle proposte delle Nazioni Unite sta tra il quasi nullo e il nullo.
(*) quotidiano messicano
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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