Obama, il re dell’Africa
Di Pepe Escobar (*); da: rebelion.org, 20.10.2011
Se il presidente USA Barack Obama volesse davvero liberarsi del nuovo babau del giorno, Joseph Kony dell’Uganda – un ex monaco trasformatosi in politico/profeta cristiano mistico, che si trascina dietro 60 mogli – avrebbe ordinato al Procuratore generale statunitense Eric “A tutto gas” Holder di mettere in piedi un complotto e assoldare per il colpo un iraniano un po’ strano legato al cartello della droga del Messico.
Il piano B presupporrebbe ordinare alle Nazioni Unite che comunicassero all’Organizzazione del Trattatoo dell’Atlantico del Nord di imporre una “zona di esclusione aerea” ai ribelli dell’Esercito della Resistenza del Signore (LRA la sua sigla in inglese) di Kony e poi di bombardarli fino all’incoscienza.
Il Piano C consisterebbe nel colpire il LRA fino alla morte con aerei telediretti, una flotta di MQ-9 Reapers; ma la base più vicina di questi tipi di aerei è lontana, a Djibuti, nel Corno d’Africa.
Dato che non c’erano incauti messicani disponibili e che i “ribelli”, in questo caso, sono i cattivi ragazzi, Obama si è deciso per l’opzione imperiale classica: ha sparato un colpo di AfPak e ha ordinato un aumento di stivali e violenze sul terreno, inviando 100 elementi delle Forze Speciali statunitensi perché aiutino un dittatore corrotto – il presidente ugandese Yoweri Museveni – a schiacciare la sua banda di “ribelli” locali.
Si può capire che qualcuno veda l’Uganda come una Libia al contrario, perché è proprio così; il dittatore, in questo caso, si guadagna la nomea di bravo ragazzo – uno dei “nostri figli di puttana” – mentre i “ribelli” fanno un patto col diavolo. Ma è tutto qui?
Devo mettere in marcia un potenziamento
La realtà dell’Uganda è quella di un caos omicida assoluto. Così come i “ribelli” del LRA, il governo di Museveni (aiutato da Washington) ha anch’esso perpetrato orrendi massacri contro i civili. Kony può persino sembrare un apprendista confrontato a Museveni, una specie di dittatore perpetuo che ha appena supervisionato la deportazione e l’assassinio di massa di almeno 20.000 ugandesi in nome delle corporations britanniche. Oltretutto, Museveni ha chiaramente rubato le elezioni ugandesi celebrate all’inizio dell’anno.
Il potenziamento di Obama in Uganda dovrebbe essere considerato un interscambio cruciale di favori con Museveni, che ha inviato migliaia di soldati ugandesi nelle forze dell’Unione Africana che stanno combattendo gli islamici duri degli Shabab in Somalia. Quindi, mentre l’Uganda combatte una guerra di potere per gli USA in Somalia, Washington aiuta il dittatore a liberarsi dei “ribelli” del LRA. Non c’è niente di strano nel fatto che il Pentagono si sia così affezionato all’Uganda: Museveni, da poco, ha acquistato forniture militari per 45 milioni di dollari, compresi 4 piccoli aerei teleguidati.
L’LRA – un gruppo irregolare di fondamentalisti cristiani – ha la sua base nel nord dell’Uganda ma è presente in quattro paesi, compreso il nuovo Sudan del Sud e il Congo, in Africa centrale. Non hanno armi pesanti. Non hanno alcuna possibilità di destabilizzare il governo, e men che meno di rappresentare una minaccia per la “sicurezza nazionale” degli USA. Il babau Kony può restare nascosto da qualche parte lungo l’immensa frontiera tra Congo e Sudan e può essere che non gli restino altro che 400 guerrieri.
La vicinanza dell’Uganda con il nuovo paese del Sudan del Sud è la chiave di tutta la questione.
Finora il LRA è stato, per il Sudan del Nord, una specie di muro tagliafuoco convenientemente armato contro il burattino dell’Occidente, Museveni. Ma, soprattutto, tutta questa zona costituisce un bene immobile di altissima qualità dove si gioca la feroce battaglia tra la Cina e gli statunitensi/europei, una battaglia centrata sul petrolio e sui minerali, che fa parte della Grande Guerra del Secolo XXI per le Risorse d’Africa.
Qui c’è il regno minerale
Tutto questo ci porta l’Uganda, una nuova terra di risorse. Ah, quante possibilità offrono le “guerre umanitarie”! Per rivestirsi di un’apparenza di successo, i passi iniziali del nuovo potenziamento africano di Obama dovrebbero comprendere una base militare con una lunga pista di atterraggio e una mini-Guantànamo per rinchiuderv ii “terroristi”. Se questo sembra troppo bello per essere la verità, è perchè lo è: pensate che le caserme dell’AFRICOM del Pentagono contempleranno presto la possibilità di viaggiare nel tempo, da Stoccarda, Germania, a qualsiasi luogo dell’Uganda.
Qualsiasi studente di realpolitik sa che gli USA non fanno interventi “umanitari” in sé. Il potenziamento dell’AFRICOM va in parallelo con il nome reale del gioco: minerali preziosi e miniere. Succede che l’Uganda – e il vicino Congo orientale – possieda una quantità favolosa, tra gli altri, di platino, rame, cobalto, stagno, fosfati, tantalio, magnesite, uranio, minerali di ferro, gesso, berillio, bismuto, cromo, piombo, litio, niobio e nichel. Molti di questi costituiscono le ultra-preziose terre rare, sulle quali la Cina esercita un monopolio virtuale.
La febbre per i minerali rari è ormai una delle guerre per le grandi risorse del secolo XXI. La Cina è all’avanguardia, seguita da compagnie dell’India, Australia, Sudafrica e Russia (che, ad esempio, ha recentemente costruito una raffineria d’oro a Kampala). L’Occidente ci sta arrivando in ritardo.
Il nome del gioco per gli USA e per gli europei, che non si perdono in giri inutili, è scalzare la miriade di accordi commerciali della Cina in tutta l’Africa.
Poi abbiamo l’ineludibile angolo dell’Oleodottostan. L’Uganda può avere “varie migliaia di milioni di barili di petrolio” secondo Paul Atherton, di Heritage Oil, quale parte della recente scoperta di giacimenti di petrolio, la più grande finora, nelle terre dell’Africa sub sahariana. Questo implica la costruzione di un grande oleodotto di 1.200 chilometri di lunghezza, con un costo di 1.500 milioni di dollari, che andrebbe fino a Kampala e alla costa del Kenia. Abbiamo anche un altro oleodotto dal Sudan del Sud “liberato”. Washington vuole assicurarsi che tutto questo petrolio sia a disposizione solo degli USA e dell’Europa.
Obama, il re dell’Africa
L’Amministrazione Obama insiste che i 100 elementi delle Forze Speciali saranno “consiglieri” e non truppe da combattimento. Pensate al Vietnam nei primi anni del decennio del 1960; si cominciò con i “consiglieri”, e il seguito è ormai storia. Adesso ci si aspetta che i “consiglieri” si disperdano dall’Uganda al Sudan del Sud, alla Repubblica Centroafricana e alla Repubblica Democratica del Congo.
E non è nemmeno la prima volta che succede. George Bush provò a fare lo stesso nel 2008. Finì in un disastro senza pari, dovuto – niente di nuovo sotto il sole – alla corruzione dell’esercito ugandese. Kony ricevette un avviso e fuggì qualche ora prima che attaccassero il suo accampamento.
Quindi, alla superficie abbiamo un racconto edificante sul primo presidente nero degli Stati Uniti preoccupato profondamente per la “crisi umanitaria” di un’altra nazione africana: l’Uganda. E con una perfetta storiella di copertura per la satrapia statunitense, si dedica a sostenere l’Uganda quale base di avanzata perché Washington affondi la sua spada nell’Africa islamica.
La cantilena ufficiale di Washington martella sul fatto che il LRA ha “assassinato, violato e sequestrato decine di migliaia di uomini, donne e bambini”. Adesso paragonatela alla devastazione perpetrata da Washington durante più di due decenni in Iraq: almeno 1,4 milioni di persone assassinate direttamente e indirettamente, milioni di rifugiati, una guerra civile fra sunniti e sciiti che è ancora viva e continua e il fianco orientale della nazione araba completamente distrutto.
Paragonatela al rumoroso silenzio della Casa Bianca di Obama quando i “ribelli” razzisti dell’Est della Libia mettono all’angolo, danno la caccia, torturano e uccidono, anche, gli africani sub sahariani.
L’Africa lotta da un’eternità contro i vari aspetti del grande padrone bianco, schiavista e genocida, aiutato e protetto da un’infinità di servili dittatori/cleptocrati neri, per finire a sbattere – all’inizio del XXI secolo – contro un presidente statunitense di diretta ascendenza africana che non ha di meglio da offrire che forze speciali, aerei teleguidati, incrementi bellici e interventi “umanitari” impregnati di ipocrisia.
(*) Giornalista e analista politico brasiliano.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)
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