AFRICA: NUOVI INTERVENTI MILITARI USA

 

Adesso l’Africa? Perchè no?!

Di Juan Gelman (*); da: pagina12.com.ar; 31/10/2011

 

Non si era ancora spento il boato dell’ultima bomba che la NATO aveva gettato sulla Libia quando il presidente Obama ha annunciatola decisione di intervenire militarmente in un altro paese africano: l’Uganda. “E’ necessario farlo – ha detto – perchè l’Esercito di Resistenza del Signore (ERS) rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale” (www.whitehouse.gov, 14-10-11).

In un certo senso l’argomento è nuovo: fino ad ora la Casa Bianca invadeva paesi “in difesa della sicurezza nazionale”, quella degli USA.

Questa spiegazione dell’operazione Uganda – a cui sono già stati destinati 40 milioni di dollari – mette in chiaro la capacità di cambiamento che caratterizza il dirigente statunitense e l’ampiezza della sua preoccupazione per il mondo intero.

Washington invierà un centinaio di “consiglieri militari” per contribuire alla distruzione dell’ERS, una mini-guerriglia di ispirazione vagamente cristiana senza alcuna base sociale che ha commesso degli attentati nella zona. Opera da quasi 20 anni, ma solo ora il Dipartimento di Stato gli presta un’improvvisa attenzione. Questo corpo d’élite “rimarrà nel paese tutto il tempo necessario” ha precisato Obama, e la storia la si sa già: l’intervento degli USA in Afganistan cominciò con poco personale militare e oggi il numero degli effettivi militare nel paese asiatico è arrivato a 100.000.

La generosità del capo della Casa Bianca si è dimostrata in un’altra offerta: egli è disposto a intervenire in Congo e nella Repubblica Centroafricana “se questi Stati lo richiedono”.

 

Il 16 ottobre, due giorni dopo l’annuncio di Obama, truppe del Kenia hanno invaso il sud della vicina Somalia via terra, mare e aria con il proposito dichiarato di impedire che presunti membri dell’organizzazione islamica al Shabaab continuassero a violare la frontiera.

La Casa Bianca ha manifestato la sua sorpresa per l’accaduto e ha negato di essere coinvolta, ma i missili che hanno causato la morte di centinaia di civili somali “sembrano essere stati sparati da aerei senza equipaggio o sottomarini statunitensi”, dice The Economist (www.economist.com, 29-10-11).

Anche la Francia ha negato la sua partecipazione all’operazione ed è stata smentita da un portavoce militare del Kenia, il maggiore Emmanuel Chirchir, che ha affermato che la marina da guerra francese aveva bombardato le popolazioni somale ((The New York Times, 23-12-11).

La Libia è ormai passata, ma la NATO non si ferma.

 

Tutto sembra indicare che, in realtà, l’applicazione della strategia di controllo del comando USA per l’Africa (Africom in inglese) avanza. Gli USA perseguono il controllo militare delle zone strategiche del continente nero: Libia, crocevia del Mediterraneo che bagna il Medio Oriente e l’Africa; il Corno d’Africa e la regione centrale africana, che facilitano il controllo dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico.

Si può pensare che la ragione di questo disegno sia impadronirsi delle ricchezze della regione, del petrolio libico ad esempio, o delle riserve di oro nero della Somalia, a quanto pare sostanziose. E’ certo così, ma il gioco è più ampio: si tratta del sogno imperiale di colonizzare il mondo intero.

 

Il Pentagono addestra febbrilmente i militari di Mali, Chad, Niger, Benin, Botswana, Camerun, Repubblica Centroafricana, Etiopia, Gabon, Zambia, Uganda, Senegal, Mozambico, Ghana, Malawi e Mauritania e organizza frequentemente manovre congiunte con le forze armate di questi paesi (www.blackagendareport.com, 18-10-11). Esercita così una ben nota influenza sui comandi militari della regione e, di conseguenza, sui suoi governi.

Gli USA hanno trasformato in “soci” l’Etiopia e i cinque Stati della Comunità dell’Africa Orientale. Qualsiasi nazione africana che, come l’Eritrea, non ha relazioni col Pentagono diventa bersaglio per un cambio di regime.

La Casa Bianca, attualmente, giustifica l’invasione keniana della Somalia come episodio necessaria della cosiddetta guerra antiterrorista a causa dell’insurrezione dell’organizzazione islamica al-Shabaab, che si è ribellata contro il governo federale di transizione di Mogadiscio imposto nel 2009 con l’appoggio USA e di altri paesi dell’Europa, per combatterla. Washington accusa gli insorti di avere legami con al-Qaeda, ma “la maggioranza degli analisti considera che questi legami siano deboli”, dice il Council on Foreign Relations, un think-tank non partitico con sede a New York (www.cfr.org, 10-8-11).

Il CFR stima che il numero di combattenti islamici convinti ideologicamente della loro lotta oscilli tra i 300 e gli 800 iindividui. Ciò nonostante, al-Shabaab controlla buona parte del sud della Somalia ed è così di ostacolo al dominio geo-politico statunitense sullo strategico territorio marittimo dell’Africa orientale.

 

Ci sono 12 milioni di persone affamate nella regione, castigata dalla più terribile siccità degli ultimi sessant’anni. Decine di migliaia sono morti e nei prossimi mesi centinaia di migliaia conosceranno lo stesso destino in Somalia, avverte l’ONU. L’invasione militare del Kenia approfondisce, e di molto, la gravità di questa emergenza umanitaria.

 

(*) Poeta e scrittore argentino

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)

 

 

 

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0

News