Ilgoverno dei banchieri
L’utopia capitalista realizzata
di John Brown; da: rebelion.org, 14.11.2011
1. La risposta del potere all’ondata di resistenza contro le politiche dettate dal capital finanziario ha la grande virtù di non essere ipocrita. Di fronte a noi che gridavamo nella piazze “la chiamano democrazia e non lo è” o “non ci rappresentano”, l’oligarchia che è al comando del regime ha deciso di non disingannarci. La riforma costituzionale “ad alta velocità” in Spagna è stata la prima pietra miliare che poi, in una terribile accelerazione storica, è stata seguita dalla nomina di quell’uomo di Goldman Sachs che è Mario Draghi quale presidente della Banca Centrale Europea, una banca formalmente “indipendente”, ma che è indipendente solo da qualsiasi organo emanato dalla volontà popolare. La società che falsificò i conti pubblici greci perché la Grecia entrasse nell’euro, e che successivamente ha apertamente speculato contro il debito greco, dirigerà i destini finanziari della UE. In Grecia, dopo che la troika (FMI, Commissione Europea, BCE) che ha trattato la Grecia come un paese coloniale, ha tartassato e fatto dimettere Giorgio Papandreu, il nuovo primo ministro sarà un altro esponente dell’oligarchia finanziaria, Lucas Papadimos, ex responsabile della Banca Centrale Europea. In Italia, Mario Monti – la persona imposta “dai mercati” e dai loro rappresentanti in terra e in Europa per succedere al nefasto Berlusconi è anche lui, secondo fonti della Commissione Europea, oltre che ex commissario …… consigliere di Goldman Sachs.
In questo momento la Banca Centrale Europea e due paesi della UE sono diretti da persone apertamente legate al capitale finanziario e, nel caso di Draghi e di Monti, a Goldman Sachs. Sembra realizzarsi l’affermazione dell’istrionico operatore di borsa Alessio Rastani (1) che, intervistato dalla BBC, diceva: “I governi non governano il mondo; è Goldman Sachs che governa il mondo”. Rovesciando la formula di Marx, possiamo dire, per descrivere quello che succede oggi, che “la storia si ripete due volte: una volta come scherzo, l’altra come tragedia … greca”.
2. Il capitalismo ha sempre avuto una relazione difficile con la democrazia. Contrariamente alla storia ufficiale che ci presente capitalismo e democrazia come termini di un binomio inseparabile, la democrazia formale ha impiegato molto tempo a stabilirsi nel mondo capitalista e, per come vanno oggi le cose, si può già dire che è durata poco. I regimi liberali del secolo XIX e dei primi decenni del secolo XX non erano democratici neppure nel senso molto limitato che oggi diamo a questo termine: in quasi tutti il suffragio era sulla base del censo o era fortemente limitato e votavano solo gli uomini. La rappresentanza politica era quindi possibile solo per coloro che avevano entrate e patrimoni considerevoli e non erano sottoposti al potere patriarcale nella famiglia. Quanto al pluralismo politico, è sempre stato molto limitato, date che le opzioni anticapitaliste spesso erano fuorilegge. Le cose cambiarono nel secondo decennio del secolo ventesimo, nel convulso periodo compreso tra la rivoluzione russa e gli anni successivi alla crisi del ’29 quando, davanti alla minaccia della rivoluzione e della crisi, fu indispensabile per le borghesie europee e nordamericane creare un ampio consenso attorno al capitalismo che comprendesse il proletariato e i suoi rappresentanti. Con i governi di Roosevelt negli Stati Uniti o del Fronte Popolare in Francia ma anche al margine della democrazia liberale, con il fascismo e il nazismo, fu possibile stabilire un accordo sociale egemonico attorno all’ordine capitalistico basato sull’interscambio di disciplina sociale e lavorativa con protezione e diritti sociali. Dopo la II° Guerra Mondiale e la vittoria sul fascismo, fino agli anni ’70 nell’Europa in ricostruzione si consolidano regimi capitalistici con un importante contenuto “sociale” e una notevole influenza delle sinistre, mentre i risultati sociali e democratici dell’era Roosevelt si mantengono nonostante alcuni tagli negli USA.
Il capitalismo ammette in questo modo, nel suo stesso seno, un margine per la rivendicazione dei diritti sociali e di un certo gioco politico pluralista e democratico, contenuto – questo sì –nei limiti fissati dal sistema della rappresentanza, la “democrazia dei partiti”, e la preservazione delle condizioni minime per il funzionamento dello stesso capitalismo.
Questo idillio del capitalismo con la democrazia non dura più di 30 anni (i trenta “anni gloriosi” di crescita posteriori alla II° Guerra Mondiale) e entra in crisi quando le conquiste popolari nei paesi del centro capitalista e le indipendenze dei paesi del Terzo Mondo riducono drasticamente il tasso di profitto del capitale nel far aumentare rispettivamente i salari e i prezzi delle materie prime.
Il capitalismo democratico si trova così di fronte ad un limite. Siamo davanti a quello che la Commissione Trilaterale definirà come “la crisi della democrazia” e che caratterizzerà come
una crisi di “governabilità”. La soluzione a questa crisi sarà, come si sa, la controrivoluzione liberale con le sue diverse pietre miliari: Pinochet, Reagan, Thatcher, Felipe Gonzàlez-Solchaga,
ecc. I suoi strumenti saranno la de-regulation finanziaria, il monetarismo, la sostituzione del contratto lavorativo e della contrattazione collettiva con il contratto mercantile e la
contrattazione individuale, e la liquidazione progressiva dei diritti sociali.
3. Nel regime neoliberale iniziale si mantengono le forme democratiche: i governi vengono eletti dalla maggioranza parlamentare e gli interessi privati si differenziano dall’interesse pubblico, anche se quest’ultimo tende a tradursi ogni volta di più in termini di efficacia e redditività mercantile. La democrazia perde, con tutto, i suoi contenuti una volta fissata la dottrina di Margaret Thatcher “TINA” (There Is No Alternative – Non c’è alternativa) e nell’essere ormai quasi impossibili le politiche socialdemocratiche. Tuttavia, quando all’inizio del 2008 e della crisi dei “titoli-spazzatura” il capitale finanziario diventa un creditore spietato degli stessi poteri che hanno salvato la banca dal suo certo affondamento, il margine di negoziazione dei diritti e degli interessi delle categorie sociali maggioritarie sparisce completamente.
L’unica priorità degli Stati è il pagamento del debito e la salvaguardia della sua credibilità davanti ai mercati. A partire da questo momento, i rappresentanti politici non possono mantenere la storiella dell’ “interesse generale” e diventano apertamente marionette nelle mani del capitale finanziario. Le immagini patetiche e le dichiarazioni di Papandreu, Zapatero e, in diversa misura, degli altri dirigenti delle nostre democrazie in questi ultimi mesi danno una buona immagine di questa completa sottomissione del potere politico formale ad un potere privato.
In un certo modo il capitalismo, dopo aver conosciuto una abbastanza breve fase democratica, sta ritornando alla sua costituzione liberale e oligarchica iniziale. Il governo dei diversi regimi capitalistici si trova oggi sempre più nelle mani di coloro che amministrano il capitale. I sogni della sovranità popolare, della rappresentatività, della mediazione degli interessi sfumano e resta la realtà di un regime che non ha mai avuto molto a che fare con una democrazia che non fosse il riflesso diretto delle dinamiche di mercato di cui sognavano Hayek (2) e Friedman (3).
4. Il capitalismo sta facendo realtà la sua utopia. Non è quella di una democrazia di mercato – anarchico – dove, come sosteneva Hayek, il mio denaro è la mia scheda elettorale, ma quella di un capitalismo del debito, dove chi governa è il capitale finanziario attraverso i suoi agenti.
Alla fine del secolo XIX questo sogno che oggi si fa realtà venne descritto da Auguste Comte (4) in vari suoi testi. Per il fondatore del positivismo, ogni costituzione politica deve rispondere allo stato della civiltà che le corrisponde. Secondo la legge dei tre Stati, l’umanità avrebbe conosciuto un primo stadio teologico (coi suoi tre momenti: feticismo, politeismo e monoteismo), un secondo stadio dominato dalle rappresentazioni astratte della metafisica e un terzo stadio di maturità dominato dalla scienza e dall’industria, lo stadio positivo. In questo ultimo stadio della civiltà, l’osservazione dei fenomeni naturali e, in particolare, di quelli sociali deve essere la base di ogni organizzazione politica. La base dell’ordine politico è la “”sociocrazia”, il potere delle leggi della società che la sociologia enuncia. In questo Comte è un erede diretto dei fisiocratici, che già avevano sostenuto un governo basato sulla natura (fisiocrazia o governo naturale). La democrazia per Comte, rimane relegata all’ordine della antichità dello stadio metafisico, dato che si basa su astrazioni come la sovranità popolare o l’eguaglianza dei diritti che non coincidono con le conclusioni dell’osservazione scientifica e delle leggi che da esse si deducono. “Nella politica tutto è fissato – sosterrà Comte – in conformità ad una legge realmente sovrana, riconosciuta come superiore a tutte le forze umane, visto che in ultima analisi deriva dalla nostra organizzazione, sulla quale non si potrebbe esercitare alcuna azione. In una parola, questa legge esclude, con la stessa efficacia, l’arbitrarietà teologica, ovvero il diritto divino dei re, e la arbitrarietà metafisica, ovvero la sovranità dei popoli” (“Piano di lavori scientifici necessari per riorganizzare la società”, 1822- grassetto dell’autore dell’articolo).
Per Comte, lo stato positivo è la fine dell’arbitrarietà rappresentata dal pensiero teologico e da quello astratto-metafisico. Il principio unico di governo è il rispetto delle leggi
scientifiche, naturali e inviolabili scoperte dalla sociologia. La politica diventa completamente naturale e soggetta, come la natura stessa, ad un sapere scientifico e ad un intervento tecnico.
Per questo motivo, non ha senso mettere in discussione l’ordine positivo, dato che esso si impone non attraverso l’arbitrarietà della volontà umana, ma per la forza dei fatti, identificata con un
dispotismo non arbitrario: “Se qualcuno volesse vedere nell’imperio supremo di questa legge una trasformazione dell’arbitrarietà esistente, bisognerebbe chiedere loro che si lamentino anche
del dispotismo inflessibile esercitato su tutta la natura dalla forza di gravità” (ibidem).
Per Comte, la fine dell’arbitrarietà si traduce in u nuovo tipo di governo, basato sulla politica scientifica, in cui gli uomini smettono di governare e sono le cose che lo fanno: “In questa
politica la specie umana viene considerata come soggetta ad una legge naturale che può essere determinata attraverso l’osservazione e che prescrive, per ogni epoca, nel modo meno equivoco,
l’azione politica che si può esercitare. Quindi l’arbitrarietà cessa necessariamente. Il governo delle cose sostituisce quello degli uomini” (Ibid. - grassetto dell’autore
dell’articolo). Il problema è che il governo delle cose sugli uomini ha bisogno sempre di alcuni intermediari tra le cose e gli uomini, che formulino e interpretino le leggi positive dettate
dalle cose.
I banchieri occupano, nella scala dell’industria, un posto privilegiato dato che, nella classe degli imprenditori, la loro funzione è più astratta e generale ed è quella che meglio permette di
conoscere le leggi fondamentali della società e di applicarle. La gerarchia sociale degli imprenditori si eleva, in effetti, “dagli agricoltori ai fabbricanti, da questi ai commercianti, per
ascendere in ultimo fino ai banchieri, fondandosi ogni classe sulla precedente. Operazioni più indirette che si affidano ad agenti più selezionati e poco numerosi, richiedono quindi concezioni
più generali e più astratte, così come una più ampia responsabilità” (Catechismo positivista).Per questo un triumvirato di banchieri deve assumere il potere temporale in
ognuna delle repubbliche che configurano l’ordine mondiale positivista: “In ogni repubblica particolare, il governo propriamente detto, cioè il supremo potere temporale apparterrà
naturalmente ai tre principali banchieri” . Si profila così l’utopia di un governo mondiale del capitale attraverso i suoi agenti: “duemila banchieri, centomila commercianti,
duecentomila fabbricanti e quattrocentocinquantamila agricoltori mi sembrano sufficienti capi industriali per i centoventi milioni di abitanti che compongono la popolazione occidentale. In questo
piccolo numero di patrizi si trovano concentrati tutti i capitali occidentali la cui attiva applicazione dovranno dirigere liberamente, sotto la loro costante responsabilità morale, a beneficio
di un proletariato trenta volte più numeroso”.
5. L’idea che chi governa realmente il mondo non sono i governi ma Goldman Sachs è stato considerata una barzelletta e si è anche creduto per alcuni giorni che l’intervista di Alessio Rastani alla BBC fosse uno scherzo degli Yes Men. La psicoanalisi ci ha insegnato, tuttavia, che una battuta è molto più di uno scherzo, dato che ha una stretta relazione con l’inconscio. La battuta (Witz) come manifestazione dell’inconscio ci apre, secondo Freud, a un sapere che con conosce se stesso perché sarebbe insopportabile. Nelle forme liberali e democratiche ce fino ad oggi ha assunto il capitalismo, affermare che viviamo sotto la dittatura del capitale pareva un’esagerazione che poteva essere espressa solo attraverso lo humor. Si poteva obiettare a chi affermava questo che nei nostri paesi ci sono le elezioni e che il popolo può cambiare la linea del governo, cosa vera oltretutto all’interno di determinati limiti, che hanno sempre coinciso con quelli del capitalismo stesso. In un capitalismo democratico, tutto poteva essere cambiato all’infuori del capitalismo stesso.
Tuttavia l’evoluzione del sistema ci ha portato, in primo luogo, ad un completo svuotamento dei contenuti della politica nella prima fase (monetarista, de-regolamentatrice) della controrivoluzione neoliberista, e, nella sua seconda fase dominata da quella che Maurizio Lazzarato chiama “l’economia del debito”, ad una aperta sparizione delle forme democratiche, ad uno stato di eccezione permanente. Le battute peggiori e i sogni più assurdi si fanno realtà davanti ai nostri occhi.
La crisi della rappresentanza politica nel capitalismo non è mai stata così ridotta all’osso, mai è stata più urgente e più sentita la necessità di rifondare la democrazia su una base diversa dal capitalismo.
(1) Broker britannico, salito agli onori della cronaca grazie all’intervista rilasciata alla BBC lo
scorso 15 novembre.
(2) Filosofo ed economista austriaco, considerato il padre del neoliberismo; premio Nobel per l’Economia.
(3) Economista statunitense, organizzatore dei “Chicago Boys”, la squadra di economisti che per prima applicò le teorie del
neoliberismo nel Cile di Pinochet. Premio Nobel per l’Economia.
(4) Ideatore del positivismo e della sociologia. Morto a Parigi nel 1857.
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto
S.Giovanni)
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