Una storiella sull’Iran
di Alberto Piris, CEPAIZ; da: rebelion.org; 17.1.2012
Sul giornale The Jerusalem Post (9.1.2012) un giornalista locale, tra i cui titoli è compreso l’aver lavorato come “esperto in intelligence” per il Governo, ha pubblicato un articolo intitolato “L’imminente guerra contro l’Iran”. Vale la pena di riportarlo succintamente perché il lettore si faccia un’idea di ciò che si sta cucinando nei circoli israelo-americani interessati a perpetuare in Medio Oriente quell’egemonia che gli USA stanno perdendo con le loro sfortunate guerre in Iraq e Afganistan, e che Israele spreca ogni giorno con la sua ossessione sul problema palestinese.
Secondo quanto si legge nel testo citato, l’Iran inizierà le ostilità attaccando una portaerei USA nel Golfo Persico, cosa che provocherà la risposta immediata di Washington. Questa non sarebbe diretta, inizialmente, contro le installazioni nucleari dell’Iran ma contro il suo esercito, per annullare la sua capacità di rappresaglia ed evitare la chiusura dello stretto di Ormuz. Seguirebbero la distruzione delle installazioni nucleari iraniane e, simultaneamente, lo scatenarsi di un’offensiva politica di ampio raggio e piena visibilità, per incitare la popolazione a sollevarsi contro il regime islamico e ad abbatterlo, cosa che – immagina l’autore – sarebbe cosa ben accolta dalla maggioranza degli iraniani. Questo porterebbe ad una “primavera iraniana” appoggiata dagli USA che reintegrerebbe l’Iran nella comunità internazionale.
Anche se questa storiella con un finale così felice sembra una fiaba per cittadini poco accorti, non bisognerebbe scartarla del tutto.
In primo luogo perché gli antecedenti storici mostrano che è possibile – e spesso molto auspicabile – simulare un attacco nemico per provocare il tipo di reazione che si desidera. Successe a Cuba con l’affondamento del Maine che, falsamente attribuito alle autorità spagnole dell’isola, servì nel 1898 agli USA per l’iniziare la tanto desiderata guerra contro la Spagna; più recentemente, altro esempio di guerra sotterranea fu il cosiddetto “incidente del Golfo del Tonchino” che, attraverso informazioni falsificate , rese più facile nel 1964 agli USA l’attacco contro il Vietnam del Nord.
In secondo luogo conviene tener conto che esistono precedenti della capacità israeliana di reclutare membri del gruppo terrorista Jundalà, di affiliazione sunnita, come informa la rivista Foreign Policy (13.1.2012), per effettuare attentati e attacchi a Teheran quale parte della guerra occulta che il Mossad fa contro il regime iraniano.
Per questo non bisogna scartare il sospetto che, con analogo procedimento, si stia preparando un grave incidente nello Stretto di Ormuz, quale scintilla che inneschi la guerra. Guerra che Israele sa che non potrebbe vincere con le sole sue risorse se non provoca invece in modo irreversibile un intervento militare degli USA.
Ma non sarebbe necessario attaccare una di quelle enormi piazzeforti fortificate che sono le undici portaerei attive dell’Esercito degli USA, vere e proprie basi militari mobili con cui Obama, nella sua nuova strategia per il 2012, pretende di mantenere la presenza militare USA in tutto il mondo. Basterebbe un incidente più piccolo, come l’attacco suicida che Al Qaeda lanciò nell’anno 2000 contro il cacciatorpediniere Cole, ancorato nel porto di Aden, per scatenare il processo sopra descritto.
Alcuni importanti funzionari di Washington, interrogati sull’ondata di attentati contro iraniani coinvolti nel programma nucleare, hanno riconosciuto l’attività di cooperazione degli USA con i servizi israeliani di intelligence all’interno dell’Iran per ottenere informazioni, ma hanno recisamente negato la loro implicazione negli attentati: “Non commettiamo assassinii politici” ha affermato un responsabile dell’intelligence statunitense. Ciò nonostante, nel maggio 2011, uno dei responsabili dell’operazione che eliminò Osama Bin Laden nel suo rifugio pachistano, dichiarò alla agenzia Reuters che si era trattato di un’operazione di assassinio (Kill operation).
Quando si stanno preparando le guerre, la menzogna politica è un’arma in più da utilizzarsi oculatamente, ma che obbliga i dirigenti politici a fare attenzione alle loro dichiarazioni pubbliche, per non cadere in umilianti contraddizioni.
Quando Hitler invase la Polonia secondo un piano lungamente preparato, si inventò un falso pretesto affermando che erano stati i polacchi ad aver attaccato per primi un’installazione di frontiera tedesca e venne così montata un’operazione di inganno. In seguito non servì a niente perché gli alleati avevano già deciso di rispondere con la guerra all’aggressione nazista, ma l’atto riflesso di ingannare prima di attaccare sembra una legge di guerra che presenta poche eccezioni.
E’ necessario tener conto di questo nel valutare e analizzare le notizie che si diffondono attorno all’esplosivo triangolo formato oggi da Israele, USA e Iran.
(*) Ex militare di Bilbao, scrittore e analista del Centro di Ricerche per la Pace.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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