Nella giornta della Memoria riportiamo una testimonianza pubblicata nel libro Dall’Internazionale a Fischia il vento a Niguarda
di Antonio Masi e Michele Michelino
Il lager: un mondo alla rovescia di Fulvio Gibillini. Gibillini integra la ricerca con le testimonianze di suo nonno Venanzio. Riportiamo alcuni stralci del lavoro di Fulvio Gibillini.
Cercare di capire cosa era veramente un lager nazista, come era
la sua struttura, quale era la sua organizzazione, come era la vita dei
deportati che lo abitavano: queste sono problematiche a cui sono
sempre stato vicino e di cui ho sempre sentito parlare nel mio ambito
familiare. Grazie alla testimonianza vivente di mio nonno Venanzio,
che ha vissuto questa terribile esperienza, ho potuto recuperare il
materiale necessario per approfondire questi argomenti. In questa
ricerca ho voluto effettuare un viaggio all’interno di un campo di
concentramento nazista analizzando i vari aspetti sopraindicati attraverso
gli occhi di una persona che ancora oggi dopo sessant’anni
non riesce a dimenticare quello che ha visto e provato durante i mesi
di prigionia. Venanzio Sibillini, giovane militare diciottenne, disertore
alla leva dopo l’8 settembre 1943, viene catturato a Milano il 4
luglio 1944 dall’Upi, l’Ufficio politico investigativo di stampo fascista,
in seguito ad atti di sabotaggio presso il deposito di locomotive di
Milano-Greco. Trasferito immediatamente al carcere di San Vittore è
segregato nel 5° Raggio, cella 62, con matricola 2567. Il raggio, interamente
sotto il controllo tedesco, raggruppava prigionieri politici
considerati pericolosi e rinchiusi in celle di isolamento. Il 15 luglio,
tre operai arrestati con lui al deposito, vengono prelevati dalle loro
celle, riportati al luogo di lavoro e fucilati davanti al resto dei lavoratori.
Proprio in quel braccio, la mattina del 10 agosto 1944, vengono
prelevati i 15 martiri assassinati in piazzale Loreto. Sette giorni dopo,
con il trasporto verso il campo di concentramento di Bolzano, il raggio
fu quasi totalmente evacuato. Venanzio arriva pertanto al campo
la sera del 17 agosto 1944 e viene assegnato al blocco B matr. 3111.
Nel campo arrivarono altri deportati, provenienti dal campo di Fossoli
(Carpi). Purtroppo, anche a Fossoli, pochi giorni prima della
partenza per Bolzano i nazisti fucilarono 70 deportati, uno solo evitò
la morte nascondendosi nel campo, costui era il buon Teresio Olivelli,
fulgida figura d’intelligenza e di bontà, che sacrificò la sua vita in
aiuto degli altri. La permanenza in questo luogo dura per lui fino al
5 settembre 1944. Dopo l’evacuazione di parte del campo, all’alba di
quello stesso giorno viene caricato su di un treno merci, in un carro
bestiame, e stipato con altri 500 detenuti verso una destinazione sconosciuta.
Quello fu il primo ed il piú grande trasporto di italiani ad
arrivare nel famigerato lager di Flossenburg, vicino al confine cecoslovacco.
Mirko Camia, ex compagno di prigionia di Venanzio, scrittore
(alcune sue poesie sono raccolte nel libro “Mein Schatten in Dachau”
ossia “La mia ombra in Dachau”), indica questo luogo come
«luogo dove risultò vergognoso appartenere alla specie umana». Il
viaggio dura due giorni e due notti. Assegnato alla baracca 23, gli
viene dato il numero di matricola 21626. Ancora oggi ricorda dei
particolari terrificanti riguardo al suo ingresso al campo. L’impatto
con il Lager è terribile. Nei primi giorni il deportato si trova circondato
e costretto ad eseguire ordini a lui impartiti da uomini che non
hanno valori e sentimenti civili; non vorrebbe credere a tutto quello
che vede, cerca invano ragioni che possano giustificare tutto questo
e si abbandona allo sconforto piú totale. Sveglia alle 4, riordino dei
castelli, fuori di corsa, sulla porta i sorveglianti che picchiano all’impazzata,
bastonate che arrivano sulla testa, spalle, schiena, adunata,
allineamento, appello, conta, distribuzione dell’acqua nera calda,
nuovo appello, poi in piedi per ore, esposti al freddo che avanza implacabile.
A metà giornata zuppa di crauti o rape bollite, immangiabile
i primi giorni, deliziosa in seguito e un pane nero da dividere in
sei o otto persone. I criminali comuni avevano la libertà di bastonare
chiunque durante la distribuzione del cibo. La sua baracca riservata
alla quarantena, era situata proprio sopra il crematorio che emanava
un odore disgustoso e continuo che non dimenticherà mai.
Dopo pochi giorni alcuni compagni di trasporto perirono per il
freddo e la fame. All’inizio del mese di ottobre 1944 i prigionieri del
blocco di Venanzio sono sottoposti ad una specie di esame per verificare
chi tra loro avesse nozioni di meccanica. Vengono cosí selezionati
200 prigionieri che nei giorni successivi saranno inviati verso il
campo di concentramento di Dachau, dopo aver trascorso dei giorni
nei blocchi 20 e 21, detti di transito. Venanzio arriva a Kotten, uno
dei 35 sottocampi di Dachau, il 7 ottobre 1944. Il suo nuovo nome è
il numero116361 – triangolo rosso.
‘Noi italiani ultimi arrivati, lavoravamo in una grossa fabbrica vicino
al lager chiamata Altbau. Lavoravamo dei pezzi di aeroplani per
la Messerchmitt. La stessa fabbrica ospitava anche dei civili e dei militari
della Luttwaffe. Anche qui a distinguere i prigionieri ci pensava
un triangolino di stoffa colorata cucito sulla divisa zebrata al livello
del petto: rosso per i prigionieri politici, verde per i criminali, rosa
per gli omosessuali, viola per i testimoni di Geova e nero per gli asociali.
Gli ebrei sono obbligati ad indossare una fascia sul braccio in
cui era disegnata in giallo la stella di David. Dopo essere stato considerato
abile come meccanico specializzato sono stato portato alla baracca
di transito numero 20 e qui una nuova divisa: una giacca zebrata,
una camicia a righe e pantaloni zebrati. Il triangolo costituiva
la mia nuova carta di identità con la sigla IT, iniziali di Italia. Come
italiano traditore avevo anche la famosa Strasse: riga che mi fecero
al momento del taglio dei capelli, rasando maggiormente una zona
della testa, dalla fronte alla nuca. Questo trattamento veniva riservato
anche ai russi. Anche all’interno del campo esisteva una sorta di
Resistenza. Ogni baracca aveva il suo segretario, e quando arrivava
nel campo un prigioniero che contava politicamente, i membri di
questa rete clandestina cercavano di proteggerlo e facevano di tutto
per garantirgli posizioni privilegiate.
Il 25 aprile 1945 il campo di concentramento di Kotten viene
evacuato. I deportati prendono coperta, gamella e cucchiaio e vengono
incolonnati in righe da cinque verso l’ignoto. Dopo due giorni
di marcia forzata, sotto la pioggia, arrivano la sera del 27 aprile in
un paese di nome Pfronten. Notarono un corpo luminoso alzarsi verso
il cielo e dopo pochi minuti furono liberi. Durante la notte ricevono
provviste dagli americani. Nei primi giorni di maggio si trasferiscono
in un paese austriaco piú vicino all’Italia, Rette. La mattina del
25 maggio una colonna di camion americani si mosse verso il nostro
paese, avendo come destinazione l’ospedale militare di Bolzano. Venanzio
arriverà a Milano la mattina del 27 maggio, terminando cosí
un viaggio durato 11 mesi in cui ha vissuto eventi indimenticabili
che rimarranno per sempre impressi nella sua memoria. Venanzio
Gibillini ama ripetere: «La memoria è la storia dell’umanità».
Filvio Gibillini
Liberazione del campo di Auschwitz
Il 27 gennaio 1945 il campo fu liberato dalle truppe sovietiche.
La prima armata che entrò nel lager fu la LX Armata del Primo Fronte
Ucraino. Furono trovati circa 7.000 prigionieri ancora in vita.
Inoltre, furono trovati migliaia di indumenti abbandonati, oggetti
vari che possedevano i prigionieri prima di entrare nel lager e 8 tonnellate
di capelli umani imballati e pronti per il trasporto.
VISITATORE, OSSERVA LE VESTIGIA DI QUESTO CAMPO E MEDITA:
DA QUALUNQUE PAESE TU VENGA, TU NON SEI UN ESTRANEO.
FA’ CHE IL TUO VIAGGIO NON SIA STATO INUTILE,
CHE NON SIA STATA INUTILE LA NOSTRA MORTE.
PER TE E PER I TUOI FIGLI,
LE CENERI DI AUSCHWITZ VALGANO DI AMMONIMENTO:
FA’ CHE IL FRUTTO ORRENDO DELL’ODIO,
DI CUI HAI VISTO QUI LE TRACCE,
NON SIA NUOVO SEME NÉ DOMANI NÉ MAI.
(Targa all’entrata del Memorial italiano ad Auschwitz scritta da Primo Levi)
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