ANCORA SULLA SIRIA

Le sanzioni servono solo ad approfondire la crisi

di Patrick Cockburn; da: rebelion.org; 31.1.2012

 

 

Il modo in cui gli USA, Israele e i dirigenti europei occidentali ci stanno vendendo il prossimo confronto con l’Iran è profondamente disonesto. La manipolazione dei media e dell’opinione pubblica attraverso l’esagerazione sistematica delle minacce assomiglia molto ai rulli di tamburo della propaganda e della disinformazione sulle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Iraq che precedettero l’invasione del 2003.

Il presunto obiettivo di imporre sanzioni alle esportazioni di petrolio iraniane e alla sua Banca centrale, misure a cui si è unita ufficialmente la UE, è di forzare l’Iran ad abbandonare il suo programma nucleare prima che questo raggiunga il livello dal quale potrebbe, in teoria, costruire una bomba atomica. Persino Israele oggi è d’accordo sul fatto che l’Iran non ha a tutt’oggi deciso di farlo, ma continuano presentandoci il programma nucleare iraniano come un pericolo per Israele e per il resto del mondo.

Ci sono altre minacciose analogie tra il periodo precedente alla guerra all’Iraq e quanto sta succedendo ora. Il problema apparente è il futuro del programma nucleare iraniano ma, per la coalizione riunita contro l’Iran, l’obiettivo reale è il rovesciamento del governo iraniano. L’origine della crisi attuale sono state le misure adottate i passati mesi di novembre e dicembre dai neoconservatori USA, dal partito Likud di Benjiamin Netanyahu e dalla lobby israeliana a Washington per imporre sanzioni sulle esportazioni iraniane di petrolio e sulla Banca Centrale dell’Iran. Si tratta, in larga misura, della stessa gente che si è ingrassata con l’Iraq negli anni ’90. Sono riusciti a far sì che la Casa Bianca adottasse il loro programma, che ora è stato adottato, a sua volta, da una Unione Europea che ingenuamente considera le sanzioni un’alternativa al conflitto militare.

In realtà la cosa più probabile è che le sanzioni intensifichino la crisi, impoveriscano i cittadini iraniani comuni e preparino psicologicamente il campo per la guerra, data la satanizzazione dell’Iran. Il problema è che Israele e i suoi alleati statunitensi dell’estrema destra sono più interessati al cambio di regime che al programma nucleare di Teheran. Il quotidiano israeliano Haaretz ha esposto succintamente le differenze tra governo israeliano e Washington. Ha scritto: “mentre gli statunitensi stanno cercando attivamente una via per cominciare un dialogo, Israele sta predicendo il confronto e il rovesciamento del governo di Teheran”.

Questa è la politica che alla fine ha trionfato. Israele, i suoi alleati nel Congresso e i neoconservatori hanno imbarcato l’amministrazione Obama in una serie di politiche che hanno senso solo se l’obiettivo finale è il rovesciamento del regime di Teheran. Al governo iraniano non si è lasciata alcuna via diplomatica perché potesse fare marcia indietro senza essere umiliato. Il suo programma nucleare è diventato un simbolo di resistenza contro i diktat stranieri. Questo rende impossibile che nella permalosa dirigenza iraniana qualcuno si comprometta senza esser denunciato quale traditore dai suoi oppositori politici.

 

Qualunque siano state le intenzioni di Obama quando è stato eletto, l’offensiva segreta iniziata dal presidente Bush contro l’Iran è continuata. Nel 2008 firmò una “direttiva presidenziale” segreta, in base alla quale furono destinati 800 milioni di dollari al finanziamento degli oppositori del governo iraniano. I nuovi alleati degli USA comprendevano gruppi poco desiderabili come gli assassini settari sunniti dell’organizzazione Jundullah che agisce nel Beluchistan iraniano. Può essere che gli USA abbiano poi cercato di limitare il grado di cooperazione ma, secondo la rivista Foreign Policy, gli agenti del Mossad si sono fatti tranquillamente passare per agenti della CIA quando hanno trattato con Jundulluh. Qual era l’obiettivo di quei colpi di spillo? Alcune bombe nel Beluchistan iraniano non rappresentano certo una grande minaccia per i dirigenti iraniani a Teheran. Forse il motivo più probabile era quello di provocare gli iraniani perché questi facessero rappresaglie contro gli USA, assicurandosi così che il conflitto militare irianiano/statunitense si facesse sempre più vicino.

 

Lo stesso sta probabilmente succedendo con gli assassinii degli scienziati nucleari iraniani. Un aspetto poco noto di questi è che gli scienziati erano un bersaglio molto facile, dato che guidavano da soli le loro macchine per Teheran. Ma qualsiasi paese che abbia prove che i suoi migliori scienziati vengono minacciati fornisce loro protezione. L’assenza delle misure più elementari di sicurezza ci dice che quegli scienziati non sono mai stati al centro del programma nucleare iraniano. Una spiegazione più probabile degli attacchi, dando per scontato che ci sia Israele dietro, è che volevano provocare una vendetta dell’Iran contro gli USA o contro Israele perché la situazione finisse per diventare un casus belli.

 

E’ difficile non ammirare l’abilità con cui il sig. Netanyahu ha manipolato la Casa Bianca e i dirigenti europei portandoli a quel confronto con l’Iran che volevano evitare. Forse lo hanno aiutato le uscite antisemite del presidente iraniano e le elezioni presidenziali del 2009. Ma l’arma più efficace di Netanyahu è stata la minaccia di attacchi aerei unilaterali di Israele a meno che la Casa Bianca non facesse qualcosa. Questo è sempre stato molto meno probabile di quel che sembra. Israele ben raramente è andata alla guerra senza il “semaforo verde” degli USA.

Una spiegazione più razionale delle minacce israeliane di agire da soli è che erano disegnate per spaventare la Casa Bianca e i suoi alleati europei. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, pronunciò discorsi orripilanti circa l’imminenza di una minaccia iraniana che non avrebbe lasciato a Israele altra scelta che quella di lanciare un attacco preventivo (anche se recentemente ha detto il contrario). L’ex capo del Mossad ha fornito credibilità all’ipotesi di una azione unilaterale israeliana, avvertendo che tale scelta sarebbe stata un disastro autoinflitto al suo paese.

 

Queste manovre hanno avuto successo. Oggi si stanno imponendo gravi sanzioni. L’Iran avrà difficoltà a vendere il suo petrolio. Il suo status di potenza regionale in Medio Oriente si sta indebolendo nella stessa misura in cui la sopravvivenza a lungo termine di Bashar al-Assad, il suo alleato più importante, sembra dubbiosa.

E qui troviamo nuovamente una sgradevole analogia con l’Iraq. Le sanzioni contro l’Iraq, imposte dal 1990 al 2003, impoverirono gli iracheni e criminalizzarono gran parte del loro governo. L’UNICEF dichiarò che mezzo milione di bambini erano morti a causa delle sanzioni.

Per la Casa Bianca e i dirigenti europei le sanzioni possono sembrare preferibili al conflitto armato. Disgraziatamente, la storia dimostra che gli embarghi prolungati uccidono più persone delle guerre brevi.

 

 

(*) Giornalista irlandese, corrispondente in Medio Oriente del Financial Times e di The Indipendent.

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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