L’altra faccia del miracolo lavorativo tedesco: 7 milioni di mini-lavori e 50 centesimi all’ora
da: elEconomista.es; 9.2.2012
Salari di due euro all’ora per lavare piatti e fregare pavimenti, agenzie di lavoro che cercano personale da pagare meno di 6 centesimi all’ora, sette milioni di lavoratori con mini-impieghi .... Cosa c’è dietro il miracolo economico tedesco?
“La mia impresa mi sfruttava” afferma Anja, 50 anni, in una dichiarazione pubblicata da Reuters. “Se potessi trovare un altro lavoro, me ne andrei molto molto lontano”. Durante gli ultimi 6 anni si è dedicata a lavare pavimenti e piatti per due euro all’ora.
La moderazione salariale e le riforme del mercato del lavoro hanno portato il tasso di disoccupazione al livello più basso degli ultimi 20 anni e si cita di frequente il modello tedesco come esempio al resto dei paesi europei che vogliono ridurre la disoccupazione e cercano di essere più competitivi. Ma Anja si scandalizza ogni volta che legge un titolo sul “miracolo economico tedesco”.
Le conseguenze della riforma
I critici assicurano che i cambiamenti del mercato del lavoro dell’inizio del decennio passato hanno contribuito a creare posti di lavoro, ma hanno anche favorito l’esistenza di lavori a termine e mal pagati, aumentando la diseguaglianza salariale.
I dati dell’Ufficio del Lavoro tedesco mostrano come il gruppo di occupati con i salari più bassi è cresciuto tre volte più rapidamente del resto dei lavoratori tra il 2005 e il 2010. Questo spiega perchè il miracolo lavorativo non ha spinto i cittadini a spendere di più, assicura la Reuters nel suo articolo.
In Germania non esiste un salario minimo a livello nazionale, per questo i salari possono essere anche minori di 1 euro all’ora, specialmente nelle regioni della ex Germania comunista.
“Ho avuto alcune persone che guadagnavano appena 55 centesimi l’ora” spiega Peter Huefken, capo del’Ufficio del Lavoro della città tedesca di Stralsund, il primo che ha denunciato le imprese per il pagamento di salari molto bassi. Huefken invita altri Uffici a seguire i suoi passi.
Nel 2011 il numero degli occupati in Germania ha oltrepassato i 41 milioni, il livello più elevato dalla riunificazione. Il tasso di disoccupazione è diminuito praticamente in modo costante dal 2005 e ora si trova al 6,7%, a fronte del 23% della Spagna o del 18% della Grecia.
Una riforma precoce?
Nel 2003, con Gerhard Schroeder cancelliere, la Germania si imbarcò in una serie di riforme del mercato del lavoro che furono definite da alcuni “il più grande cambio nel sistema del wellfare dalla Seconda Guerra Mondiale”, quando ancora molti altri si muovevano in direzione opposta.
Mentre i socialisti francesi introducevano la settimana di 35 ore e una piccola ripresa all’innalzamento dei salari, il Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) de-regolava il mercato del lavoro e aumentava la pressione sui disoccupati perchè cercassero lavoro. I sindacati e gli imprenditori concordavano nello spingere alla moderazione salariale per una maggiore sicurezza del lavoro e per la crescita.
A partire dal 2005 la disoccupazione cominciò a cadere, avvicinandosi ai livelli di prima della riunificazione. In altre parti d’Europa, invece, si iniziava la lotta contro la disoccupazione.
Ma, da allora, sono cresciuti principalmente i lavori temporanei a bassa remunerazione quale conseguenza della de-regulation e della promozione di lavori flessibili e con salari da 400 euro, i cosiddetti minijobs, un opzione di lavoro a tempo parziale che può attrarre molti disoccupati.
Le critiche della OIL
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha recentemente criticato la politica tedesca di competitività salariale, considerandola come la “causa strutturale” della crisi nella Zona euro. Secondo un rapporto di France Press, le riforme di Schroeder hanno avuto come effetto di “ridurre i redditi più bassi, specialmente nei servizi dove sono comparsi nuovi posti di lavoro a bassa remunerazione”. Ma, allo stesso tempo, “si è fatto poco per migliorare la competitività attraverso una progressione della produttività”.
La politica di deflazione salariale non ha colpito solo il consumo. “Ha anche portato ad un aumento della diseguaglianza nei redditi mai visto, nepppure durante lo scontro prodottosi dopo la riunificazione”, denuncia da parte sua l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).
Il problema è che “gli altri paesi considrano ogni volta di più che una politica dura di deflazione salariale è la soluzione per la loro mancanza di competitività”, sottolinea il rapporto.
Gli economisti assicurano che l’obiettivo di Schroeder era realizzare il reinserimento sul mercato del lavoro dei disoccupati poco qualificati e di quelli di lunga durata. Nel 2005, il suo ultimo anno come Cancelliere, egli si vantò al Foro Economico Mondiale di Davos di aver messo in piedi uno dei settori coi salari più bassi di tutta Europa, ricorda Reuters.
Oggi, sette anni dopo, gli imprenditori celebrano le riforme che hanno portato alla nascita dei minijobs e dei lavori temporanei. “Sono diventati particolarmente popolari fra le donne e gli studenti per guadagnare un po’ di denaro extra”, o “hanno dato più flessibilità alle imprese e la possibilità di assumere più persone per lavori poco qualificati e di bassa produttività” sono gli argomenti più impiegati.
Verso il nulla?
Invece i più citici della riforma sostengono che si è dovuto pagare un alto prezzo nel costruire un mercato del lavoro su due livelli. E sottolineano che, se è vero che si sono aiutati i lavoratori a bassa qualificazione ad entrare nel mercato del lavoro, questo non li ha portati da nessuna parte. Oltretutto, aggiungono, gli imprenditori hanno pochi incentivi a creare impieghi stabili nel tempo.
Il risultato è che uno su ogni cinque posti di lavoro in Germania oggi è un minijob: salari massimi di 400 euro netti al mese. Per quasi sette milioni di occupati questo è il lavoro.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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