Ciò che si gioca in Siria
di Angel Guerra Cabrera (*); da: jornada.unam.mx; 17.2.2012
La sceneggiata degli insopportabili leaders della NATO, dei reucci del petrolio del Golfo persico e delle loro trombe mediatiche sul presunto bombardamento del presidente Assad “contro il suo popolo” evoca ricordi non troppo lontani. Ricordate la Libia? Di nuovo lo stracciarsi le vesti non ha niente a che vedere con la preoccupazione per i diritti umani. Mancano di moralità per farlo i genocidi di Hiroshima e Nagasaki, i boia dell’Algeria e dell’India, i massacratori del Vietnam e gli assassini di più di un milione di iracheni, solo per ricordare alcune delle pietre miliari del prontuario criminale delle democrazie occidentali. Senza dimenticare, naturalmente, le democratiche bastonate contro gli “indignati”.
Si tratta, un’altra volta, di giustificare l’intervento militare e il cambio di regime, questa volta a Damasco. Intervento che è già in corso con le barbare azioni contro civili e militari di gruppi violenti, armati dal Libano, dalla Turchia e dalla Giordania, e rinforzati sul campo da militanti di Al Qaeda di varie latitudini. Nei recenti attentati terroristici con auto-bomba nella città di Aleppo c’è l’inconfondibile marchio di fabbrica di questa rete nebulosa. Come già successe in Libia, il finanziamento delle azioni sovversive e destabilizzatrici è a carico di quei modelli di commovente impegno per i diritti umani, le reazionario monarchie dell’Arabia Saudita e del Qatar, e degli altri emirati che compongono il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), con l’appoggio dei loro vecchi compari dei servizi segreti britannici e della CIA.
Il cambio del regime attuale in Siria indebolirebbe notevolmente l’Iran, nucleo del polo di resistenza contro l’imperialismo e il sionismo nella regione mediorientale, minacciato per questo e non per il suo programma nucleare pacifico. Allo stesso tempo lascerebbe in una situazione molto precaria Hezbollah, artefice e organizzatore dell’alleanza patriottica libanese, che ha già assestato forti colpi a Israele. La Siria è stata uno dei tre pilastri di questo polo, forte alleato dell’Iran e di Hezbollah, rifugio di leaders palestinesi e di altri rivoluzionari arabi e sede delle loro organizzazioni, che si oppongono agli accordi di pace separati con Israele.
Bisogna ricordarlo, per amore di verità, per quanti difetti abbia il regime di Assad. In realtà questo è arrivato da mesi, dialogando con l’opposizione, a realizzare riforme fino ad ora ostacolate dalla crescente sovversione. Lo stesso ostacolo che può frustrare il referendum convocato per il prossimo 26 febbraio, dove si dovrebbe votare una nuova Costituzione a regime multipartitico, che tanto hanno chiesto gli Stati Uniti e i loro burattini anglo-francesi. Ma è evidente che questi non si accontenteranno di niente di meno che di un regime change, per cui spingono la Siria alla guerra civile e allo smembramento del suo mosaico confessionale e etnico con la complicità del Consiglio nazionale Siriano, presunta direzione dell’opposizione.
E’ molto significativo che la presidenza del Qatar nella Lega Arba, specie di OEA (Organizzazione degli Stati Americani) mediorientale, abbia rifiutato di pubblicare il rapporto redatto dalla sua missione di osservatori in Siria (http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=29025), che mostra una quadro della situazione completamente diverso da quello che vogliono farci credere i polipi mediatici.
Ma ciò che c’è in gioco in Siria va molto al di là del suo importantissimo ruolo nell’equazione del potere meramente mediorientale. E’ di ancora maggiore importanza geopolitica, come dimostra il doppio veto cino-russo nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’instaurazione di un regime filo-imperialista a Damasco significherebbe attraversare la linea rossa del circolo di difesa russo, danneggiare gli interessi cinesi in quel paese e facilitare l’attacco che si prepara da anni contro l’Iran. Non bisogna essere esperti in geopolitica. Basta osservare con attenzione la mappa del Medio Oriente e del sud dell’Asia, i giacimenti di petrolio, la posizione dello Stretto di Ormuz e del Mar Rosso, il tracciato degli oleo-gasdotti e l’ubicazione della basi degli Stati Uniti nell’area per rendersi conto che la distruzione di Siria e Iran renderebbe molto vulnerabili Mosca e Pechino di fronte a Washington.
Ma, in caso di aggressione all’Iran, il fatidico uso delle armi nucleari sembra inevitabile, così come la conseguente estensione del conflitto alla Russia e alla Cina, dato che Washington e Tel Aviv non possono sconfiggere la nazione persiana con metodi tradizionali. L’Iran è un osso molto più duro da rodere che l’Iraq o l’Afganistan, dove gli yankees sono stati umiliati dalla resistenza.
(*) Giornalista del quotidiano messicano La Jornada.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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