Lo sciopero della fame di Yulia Timoshenko e quello di 1.500 prigionieri palestinesi
Mille contro uno
di Rafael Poch, La Vanguardia (*); 8.5.2012
Dopo essere stati massicciamente bombardati dai loro mezzi di comunicazione sulla sorte di Yulia Timoshenko, un terzo dei tedeschi vuole che la sua squadra di calcio boicotti il torneo della UEFA che si giocherà in giugno a Kiev. Il 74% vuole che la Merkel non ci vada. Il Presidente tedesco ha già cancellato una visita in Ucraina e continuano le dichiarazioni in questo senso degli uomini politici. L’intero establishment europeo è indignato, l’Unione Europea ha deciso di posticipare la ratifica dell’accordo di associazione con l’Ucraina.
La situazione contrasta col trattamento meritato dallo sciopero della fame di più di mille prigionieri palestinesi.
Nel motore tedesco di Google, “Prigionieri palestinesi” dà 56 risultati di attualità, di fronte ai 2.470 della Timoshenko. Millecinquecento prigionieri palestinesi in sciopero della fame, per motivi che fanno spavento, valgono meno della belloccia ex prima ministra filo-occidentale e filo-NATO, Yulia Timoshenko, anch’essa in sciopero della fame e condannata l’anno scorso a sette anni di carcere in un dubbio processo per malversazione.
Più di millecinquecento prigionieri palestinesi hanno cominciato il loro sciopero il 17 aprile, pochi giorni prima della Timoshenko. Protestano contro la pratica della “detenzione amministrativa” (senza accuse, senza processo, senza termine di tempo e fondata su “rapporti segreti”), contro il regime punitivo di isolamento individuale, la negazione delle visite dei familiari, le condizioni generali di reclusione e il diritto a proseguire gli studi.
Martedì il relatore speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi dal 1967, Richard Falk, si è dichiarato “orripilato” per le violazioni dei diritti umani nelle carceri israeliane. Le organizzazioni per i diritti umani dichiarano che le condizioni di due prigionieri, che sono in sciopero della fame da più di due mesi, sono critiche.
Nelle carceri israeliane ci sono più di 4.700 prigionieri palestinesi. Dal 1967 fino alla prima Intifada, 600.000 palestinesi sono passati per le carceri israeliane per almeno una settima o più. In queste carceri – dal 1967 -è passato, secondo la stima di un inviato di The Guardian, un quinto della popolazione palestinese.
La maggior parte di questi prigionieri sono internati in carceri situate in territorio israeliano, non nei Territori occupati. La legge internazionale proibisce il trasferimento di civili o di detenuti dal territorio occupato al territorio del paese occupante. Tra l’altro questa circostanza complica enormemente le visite dei familiari. Molti di essi non ottengono il permesso per entrare in Israele, che comporta inoltre penosi e umilianti controlli di durata persino di 24 ore, dice Amnesty International.
Un giudice ha recentemente negato il permesso perché la madre, di 75 anni, di Mahmud Issa potesse andare a trovarlo. Lo ha giustificato con una “informazione segreta” dei servizi segreti.
Mahmud Issa è in regime di isolamento individuale da 10 anni. In questo periodo ha ricevuto una sola visita familiare di mezz’ora, secondo la giornalista israeliana Amira Haas. L’avvocato e la famiglia di Issa, così come gli attivisti israeliani per una pace giusta, dicono che il regime di isolamento individuale è una misura puramente vendicativa volta a castigare i prigionieri. Secondo fonti penali israeliane, attualmente ci sono 38 prigionieri palestinesi in questa regime.
Ne avete sentito parlare nei titoli dei giornali? Siete al corrente di qualche accordo dell’Unione Europea con Israele sospeso, o di qualche richiesta di boicottaggio per questo a Bruxelles? Come bisogna qualificare questa offesa di mille contro uno?
(*) Quotidiano spagnolo edito a Barcellona.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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