Nessuna notizia dall’Islanda
di Manuel E. Yepe; da: cubadebate.cu; 2.6.2012
Da quattro anni in Islanda - quell’isola glaciale attribuita all’Europa, che riposa in mezzo all’Atlantico del Nord, con appena 300.000 abitanti - succedono cose interessanti e nuove che non appaiono sui media corporativi dell’Occidente, confermando la manipolazione inesorabile di cui l’umanità è oggetto per il controllo che, sui mezzi di stampa mondiali, esercitano la super-potenza e le oligarchie ad essa legate.
In Islanda non ha avuto luogo una rivoluzione sociale, ma è successo qualcosa di quasi altrettanto grave per l’alta gerarchia della finanza: una rivoluzione contro la tirannia delle banche capitaliste in un mondo globalizzato con radici che portano inesorabilmente a Wall Street.
Anche se, grazie alle sue centrali geotermiche, l’Islanda gode di grande indipendenza energetica, il paese dispone di scarse risorse naturali e la sua economia, dipendente per un 40% dalle esportazioni della pesca, è per questo molto vulnerabile. Come gli altri paesi europei, si era indebitata con la speculazione bancaria per vivere al di sopra delle sue possibilità reali nel sistema finanziario neoliberista spinto dagli Stati Uniti, ai quali ora l’economia reale sta presentando il conto.
Per far fronte agli effetti di una crisi devastatrice, quattro anni fa il suo governo nazionalizzò le principali banche del paese e, per rappresaglia, Londra congelò tutti gli attivi di 300.000 clienti britannici e 910 milioni di euro investiti nelle banche islandesi da amministrazioni locali e enti pubblici del Regno Unito. L’isola dovette investire 3.700 milioni di euro di denaro pubblico per rimborsare quei clienti.
Con un debito bancario islandese equivalente a parecchie volte il suo PIL, la moneta perse valore, la Borsa sospese le sue attività e il paese andò in bancarotta.
Proteste di massa davanti al Parlamento a Reykjavik, la capitale islandese, obbligarono nel 2009 a convocare elezioni anticipate che, a loro volta, provocarono le dimissioni del Primo Ministro conservatore e di tutto il suo governo in blocco.
Un progetto di legge, ampiamente dibattuto in parlamento, ipotizzava di scaricare su tutti i cittadini dell’isola il rimborso alle banche britanniche e danesi del debito di 3.500 milioni di euro, che avrebbero dovuto essere pagati mensilmente per i prossimi 15 anni. La popolazione scese nelle strade chiedendo di sottoporre a referendum tale legge. Il Presidente accettò e non la ratificò, nonostante che il progetto contasse su 44 dei 66 voti in Parlamento. Venne convocato il referendum e il NO al pagamento ottenne il 93% dei voti. Davanti ad una tale vittoria della rivoluziona pecifica islandese, il Fondo Monetario Internazionale congelò ogni aiuto all’Islanda finchè non si fosse risolto il problema del pagamento del debito.
Il governo dispose un’inchiesta per accertare le responsabilità della crisi e cominciarono gli arresti dei banchieri e degli alti dirigenti.
L’Interpol emise un ordine di cattura e tutti i banchieri implicati abbandonarono il paese. In questo contesto viene eletta un’assemblea per redarre una nuova Costituzione, che raccolga le lezioni apprese dalla crisi e che sostituisca quella attuale. Per questo si ricorre direttamente al popolo sovrano, rappresentato da 25 cittadini senza affiliazione politica eletti tra 522 candidati proposti. L’assemblea costituente lavora dal febbraio 2011 ad un progetto di Charta Magna a partire dalle raccomandazioni raggiunte in varie assemblee celebrate in tutto il paese. Il progetto dovrà poi essere approvato dal Parlamento attuale e da quello che si costituirà dopo le prossime elezioni legislative.
La ripresa economica sperimentata dall’isola dopo essersi liberata dal carico parassitario del debito con le banche viene vista dalle cupole capitlistiche europee come un esempio pericoloso per paesi chiamati “morosi” come la Grecia e l’Irlanda. Soprattutto perchè i recenti successi che l’Islanda ha avuto hanno portato molti economisti a ritenere che sia stato proprio il collasso delle banche ciò che più ha favorito tali successi.
Non solo perchè l’economia islandese non è crollata con la soluzione alla crisi del non pagamento del debito, ma perchè il 2011 si è chiuso con una crescita del 2,1% che diventerà dell’1,5% nel 2012, cifra che triplica quella dei paesi della zona euro.
Gran parte di questa crescita si basa su incrementi produttivi, principalmente nel settore turistico e nell’industria della pesca. Ciò contrasta con il quadro che mostrano altre economie europee, rallentate o in declino. L’Islanda ha dimostrato che, con il recupero della sua sovranità, giustizia e dignità sono andate di pari passo.
Politici e banchieri corrotti sono stati processati. E, quale riaffermazione della sua indipendenza, l’Islanda è diventata – lo scorso ottobre – il primo paese europeo a riconoscere la Palestina come nazione indipendente, qualcosa che nessun paese sottomesso al giogo della banca internazionale capitalista ha potuto fare.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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