LA CRISI NON E' UGUALE PER TUTTI

Sergio Marchionne, guadagna ogni anno 1.037 volte il suo dipendente medio
Sergio Marchionne, guadagna ogni anno 1.037 volte il suo dipendente medio

Proprietà privata o socialismo

di Michele Michelino

 

Nella crisi si evidenzia ancora di più la contraddizione tra l’interesse collettivo e quello privato.

Il richiamo alla “ coesione sociale”, al “siamo tutti nella stessa barca” e altri slogan simili “dobbiamo unirci per salvare il paese”, sono funzionali solo agli interessi dei grandi capitalisti e della finanza.  

La crisi non colpisce tutti allo stesso modo: mentre i salari operai diminuiscono, ci sono capitalisti che continuano ad arricchirsi. Diminuiscono i salari dei lavoratori, ma non quelli dei grandi dirigenti e manager. Ci sono imprese che falliscono e chiudono, e altre che aumentano i loro profitti.

Ci sono due milioni di lavoratori licenziati, in cassa integrazione in mobilità e quasi tre milioni che il lavoro neanche lo cercano più, stufi e avviliti di recarsi ai cancelli per vedersi rifiutare, e c’è chi come Sergio Marchionne, (calcoli fatti da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera di domenica 9 gennaio 2011), in 79 mesi al vertice della Fiat ha guadagnato 255,5 milioni di euro, cioè 38,8 milioni l’anno. Marchionne guadagna ogni anno 1.037 volte il suo dipendente medio. Alla faccia della “coesione sociale” invocata dal capo dello stato.

Il sistema capitalista e la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano alla classe borghese continuano a generare e mantenere la classe operaia nella posizione di schiavi salariati, a creare miseria e povertà per i proletari, e ricchezza di cui si appropriano i borghesi.

Per nascondere questa elementare verità si cerca si addossare la responsabilità della crisi solo alle banche. Trovare un colpevole, un usuraio (anch’esso responsabile, sebbene non il solo) che faccia da capro espiatorio, serve a salvare il vero colpevole, la società capitalista basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Il debito privato contratto dai padroni, dai banchieri, dallo stato rappresentante degli interessi della classe borghese, viene scaricato sui proletari (lavoratori, pensionati, disoccupati) e trasformato dal sistema capitalista in debito pubblico. In tal modo il debito accumulato dai ricchi è pagato dai poveri ipotecando il futuro delle generazioni che verranno.

Il profitto è l’unico vero dio, adorato e ricercato dai capitalisti e dai borghesi di tutto il mondo, atei e religiosi di qualunque nazionalità. Nella crisi molti di coloro che hanno fatto soldi negli anni scorsi, dopo aver praticato e teorizzato la deregulation oggi invocano l’intervento degli stati per regolamentare i mercati capitalisti. Altri sostengono che il mercato si regola da sé, facendo finta di non sapere che il mercato capitalista è anarchico e irrazionale, perché i capitali si spostano sempre dove conviene di più al momento, generando ovunque delocalizzazioni, fame e miseria.

La crisi è insita nel modo di produzione ed è prodotta dal sistema capitalista. Le diseguaglianze prodotte dal capitalismo, come tutti i mali che colpiscono gli sfruttati, risiedono nella proprietà privata. Le guerre, la miseria, la fame e la ricchezza sono generate dalla proprietà privata e possono essere sconfitte solo negando e abolendo la proprietà privata dei mezzi di produzione e il sistema economico, politico e sociale che la difende. Solo in un sistema socialista dove il potere sia nelle mani della classe operaia, dei proletari, dei lavoratori sfruttati, un sistema dove lo sfruttamento sia considerato un crimine contro l’umanità, e si lavori e si produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani e non per il profitto, è possibile marciare verso il futuro, in armonia con tutti gli esseri umani abitanti del pianeta e con la natura.

 

                                     Anteprima della rivista “nuova unità”, luglio 2012

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