La politica di austerità in Europa
di Alejandro Nadal (*); da: jornada.unam.mx; 27.7.2012
Il mondo è già in quella che dovremmo chiamare Seconda Grande Depressione. Mentre gli Stati Uniti entrano in pieno in una nuova recessione, la crisi in Europa va di male in peggio. L’economia cinese perde velocità e i cosiddetti “mercati emergenti” cominceranno a soffrire le conseguenze della crisi entro pochi mesi.
La politica di austerità che oggi si applica in Europa sta affondando il continente in una profonda recessione. In uno scenario tanto fosco è bene dare un’occhiata alle lezioni della storia. Dopotutto, non è la prima volta che di ricorre ai dogmi di taglio ortodosso per trovare un’uscita da una crisi. Da quel che segue i lettori potranno verificare i parallelismi con la crisi attuale e la politica di austerità in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo.
Un buon riferimento è il libro di Peter Temin, storico dell’economia e del cambio tecnico. Nel suo libro Lezioni della Grande Depressione Temin esamina l’evoluzione dei governi della tedesca Repubblica di Weimar (1919-1933) e i loro sforzi per dirigere una economia devastata dalla guerra e dall’alto costo delle riparazioni di guerra imposte dagli alleati con il trattato di Versailles.
Esattamente come aveva previsto Keynes, le riparazioni imposte alla Germania finirono per essere impagabili. Nel 1921 Francia e Belgio inviarono 70.000 soldati ad occupare la valle della Ruhr per rappresaglia per il mancato pagamento, e gli effetti furono disastrosi. Per reazione il governo tedesco chiamò ad uno sciopero generale. La resistenza fu soffocata con un eccesso di violenza da parte delle truppe francesi.
L’economia collassò. La produzione si ridusse drasticamente e la disoccupazione esplose (a più del 23 per cento). La riscossione delle imposte cadde e il governo ricorse alla stampa di moneta per finanziare il suo deficit. Si venivano così a dare tutte le condizioni per l’episodio di iper-inflazione che lasciò una cicatrice profonda nelle percezioni del popolo tedesco.
Nel 1923 era ormai evidente che l’economia tedesca era sul punto di esplodere. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra fecero pressioni per alleggerire la situazione. Nel 1924 il famoso comitato Dawes presentò le sue raccomandazioni sul ritiro delle truppe francesi dalla Ruhr, sulla ri-calendarizzazione del pagamento delle riparazioni e sulla ristrutturazione della banca centrale. L’obiettivo era dare respiro all’economia tedesca perché potesse recuperare un ritmo di crescita accettabile. La prosperità (un po’ artificiale) degli anni Venti dava sufficiente margine di manovra agli Stati Uniti per intervenire nella ricostruzione dell’economia tedesca: Washington impegnò una quantità importante di risorse per investire nell’economia tedesca.
Questo implicava che qualsiasi danno negli Stati Uniti avrebbe significato il collasso dell’economia della Repubblica di Weimar. D’altra parte le raccomandazioni del comitato Dawes erano a breve periodo e il carico delle riparazioni continuò ad essere un peso molto grande.
Nel 1929, poco prima del collasso di Wall Street, venne creato un altro meccanismo per alleggerire il peso delle riparazioni. Il risultato fu il cosiddetto Piano Young, annunciato nel 1930. Ma era troppo tardi perché ormai era chiaro che gli Stati Uniti non potevano più fornire l’ossigeno che la malridotta economia di Weimar aveva bisogno e che la Germania non avrebbe mai potuto pagare le riparazioni.
Le autorità di Berlino operavano all’interno del quadro di riferimento della finanza ortodossa e del sistema di pagamento internazionale, che imponeva il regime aureo. Esse dovettero rispondere alle restrizioni che l’ambiente internazionale imponeva con una forte depressione interna. Hjalmar Schacht, presidente del Reichsbank e il suo successore, Hans Luther, applicarono politiche restrittive e mantennero il tasso di sconto molto al di sopra dei tassi di Londra e New York, al fine di ridurre la perdita delle riserve auree. Le autorità fiscali furono ancor più aggressive nel loro affanno deflazionistico: dall’inizio del 1930 il cancelliere Heinrich Bruning operò brutali tagli fiscali ed una politica deflazionista (riduzioni dei salari e dei sussidi per disoccupazione) per ristabilire un equilibrio nel contesto del regime aureo.
Nell’ottica per cui la Germania doveva pagare i suoi conti esteri con un potere d’acquisto equivalente al regime aureo, l’allineamento doveva passare per la deflazione sul piano interno, fino al raggiungimento di questo obiettivo. Le politiche deflazionistiche e il revanscismo cristallizzato nelle riparazioni di guerra finirono per fare a pezzi la repubblica di Weimar. Tra il 1929 e il 1932 il partito nazional-socialista passò da 12 a 107 deputati.
I dogmi dell’ortodossia in materia finanziaria e fiscale mancano di senso economico. Si fondano su alcune idee che sembrano logiche ma sono false. E quando le si traduce in politica macroeconomica, il risultato è un disastro: non solo sono capaci di affondare un’economia nella depressione più profonda, ma conducono a distruggere il tessuto sociale e ad un paesaggio di violenza desolante. In Messico – e in Europa – le lezioni della storia non si dovrebbero dimenticare.
(*) Giornalista messicano, editorialista del quotidiano La Jornada.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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