VICTOR JARA

In queste condizioni Allende non ritenne conveniente chiamare il popolo inerme alla lotta. Volle evitare un inutile spargimento di sangue, senza sospettare la durezza di quello che sarebbe venuto, ma lui – come presidente del popolo cileno, per realizzare il programma di Unidad Popular – decise di accettare la battaglia impari nella Moneda.

Con il pugno di difensori del palazzo non avrebbe potuto vincere. Ma il presidente era convinto che la battaglia che avrebbe combattuto difendendo il mandato del popolo sarebbe stata una vittoria morale e politica di Unidad Popular. Preferì morire con le armi in pugno invece che capitolare davanti ai golpisti, era sicuro che la sua morte (o il suo suicidio) non sarebbe stata sterile.

Nel frattempo una nube di fumo si levava dal centro di Santiago.Gli aerei dei golpisti stavano bombardando il palazzo presidenziale.

Victor era all’Università, ma non cantò dal palcoscenico; passeggiava con la chitarra tra gli studenti cercando di far loro coraggio.

Una testimone disse: “Victor riuscì ad arrivare all’Università mentre i militari occupavano le posizioni chiave della capitale. Ma la situazione era ancora confusa. Victor venne nel mio ufficio e chiese – Che facciamo? -, E la testimone gli suggerì di restare lì per incoraggiare gli studenti, i professori e i lavoratori con le sue canzoni.

Victor telefonò a sua moglie Joan; le disse: “Devo restare qui per un po’. Aspettami. Tornerò di sicuro”.

L’operatore di cinema Hugo Araya, che era venuto a filmare l’inaugurazione, si mise con la sua telecamera di fronte ai golpisti. Quasi immediatamente una pallottola lo uccise. Victor fu obbligato a stendersi bocconi per terra.

I soldati calpestavano la gente con i loro stivali, finché arrivò l’ordine di trasportare i “prigionieri” dell’Università Tecnica allo Stadio del Cile che, come il Nazionale, riceveva i prigionieri catturati.

Danilo Bartulin rimase insieme ad Allende fino all’ultimo minuto come difensore della Moneda. Ne uscì vivo, ma poi passò con Victor Jara gli ultimi momenti di vita del cantate nello Stadio del Cile. Era arrivato il pomeriggio del 12 settembre. Danilo fu riconosciuto come “il medico di Salvador Allende”. Il comandante fascista Manrique gli si avvicinò, aprì la giacca, estrasse la pistola e, puntandogliela alla testa, disse: “E’ arrivata la tua ora” e ordinò ai soldati: “lasciatelo a me”.In quello stesso momento vide un gruppo di giovani seguiti da soldati con le mitragliette in mano. I soldati gli dissero: “Sono dell’Università Tecnica”. Manrique passò davanti alla fila e indicò col dito un detenuto: “Anche questo lasciatelo a me”. Si trattava di Victor Jara. Vari soldati si agitarono: “E’ il cantante Jara….” Ma l’ufficiale ribatté: “Quest’uomo vuol farsi passare per un altro … E’ un leader estremista”. Era un giudizio sufficiente per giustificare l’assassinio.

Victor e Danilo furono messi in un corridoio freddo. Li picchiarono dalle sette della sera alle tre della mattina seguente. Erano buttati a terra senza potersi muovere. Rimasero tre giorni nella Stadio del Cile. Non ricevettero quasi niente da mangiare. Ingannavano la fame bevendo acqua.

Victor aveva il viso pieno di lividi e un occhio chiuso per un colpo. Parlava al suo compagno della sua famiglia, di sua moglie e delle sue bambine che amava molto, dei suoi spettacoli teatrali e delle nuove canzoni che sognava di scrivere.

Nello stesso stadio dove li tenevano prigionieri, Victor era stato applaudito quando aveva vinto il concorso nel festival della Nuova Canzone Cilena.

Victor si mostrava pessimista rispetto al suo destino. Pensava che non sarebbe uscito da lì: presentiva la sua prossima morte.

“Si comportava con coraggio, con dignità, non chiedeva grazia ai suoi torturatori…”. Lo videro in quel corridoio un paio di volte, il 13 o il 14 settembre. A volte su una sedia di legno, stremato, con le tracce dei colpi sulla fronte e sulle guance.

A volte i carnefici lasciavano in pace Victor Jara e Danilo Bartulin perché avevano troppo “lavoro” nello stadio. Dopo averlo torturato, sembrava si fossero dimenticati dell’artista. Poi misero Victor insieme ad altri prigionieri. Un soldato si avvicinò silenziosamente e, senza pronunciare una parola, toccò la spalla di Victor facendogli segno di seguirlo. Quando il cantante si alzò – sicuramente non pensava di tornare sano e salvo – ebbe il tempo di togliere di tasca un foglio di carta stropicciato e di darlo furtivamente a Boris Navia. Era la poesia Stadio del Cile, composta da Victor.

Più tardi, nello Stadio Nazionale, durante i primi interrogatori, tra le cose di Boris Navia trovarono il foglio con la poesia: lo aveva nascosto nei calzini. La poesia denunciava il fascismo e la dittatura. I militari credettero che l’autore fosse Boris e lo picchiarono senza pietà. Gli tolsero la poesia. Ma con l’aiuto dei compagni Boris aveva potuto fare varie copie a mano della poesia.

Il corpo di Victor Jara verrà scoperto vicino al Cimitero Metropolitano, e il cadavere di Litre Quiroga (1) in una strada di Santiago. I militari uccisero quella stessa notte i prigionieri rimasti nello Stadio del Cile e poi gettarono i loro corpi in città perché sembrasse che fossero morti in una sparatoria di strada.

Qualcuno ha detto: “Hanno torturato e ucciso Victor perché odiavano le sue canzoni”.

Stadio del Cile

Siamo cinquemila qui,
in questa piccola parte della città.
Siamo cinquemila.
Quanti siamo, in totale,
nelle città e in tutto il paese?
Solo qui
diecimila mani che seminano
e fanno marciare le fabbriche.
Quanta umanità
con fame, freddo, paura, dolore,
pressione morale, terrore, pazzia.

Sei dei nostri si sono perduti
nello spazio delle stelle .
Uno morto, uno colpito come non avevo mai creduto
si potesse colpire un essere umano.
Gli altri quattro hanno voluto togliersi
tutte le paure
uno saltando nel vuoto,
un altro sbattendosi la testa contro un muro,
ma tutti con lo sguardo fisso alla morte.
Che spavento fa il volto del fascismo!
Portano a termine i loro piani con precisione professionale
senza che nulla gli importi.
Il sangue, per loro, è medaglie.
La strage è un atto di eroismo.
È questo il mondo che hai creato, mio Dio?
Per questo i tuoi sette giorni di meraviglia e di lavoro?
Tra queste quattro mura esiste solo un numero
che non aumenta.
che, lentamente, la morte vorrà sempre più.

Ma all'improvviso mi colpisce la coscienza
e vedo questa marea muta
e vedo il pulsare delle macchine
e i militari che mostrano un volto di matrona
piena di dolcezza.
E il Messico, Cuba e il mondo?
Che urlino questa ignominia!
Siamo diecimila mani
in meno che producono.
Quanti saremo in tutta la patria?
Il sangue del compagno Presidente
colpisce più forte delle bombe e delle mitragliatrici.
Così colpirà di nuovo il nostro pugno.

Canto, che cattivo sapore hai
quando devo cantare la paura.
Paura come quella che vivo,
come quella con cui muoio, paura.
Di vedermi fra tanti e tanti
momenti di infinito
in cui il silenzio e il grido
sono le mete di questo canto.

Quello che vedo non lo vidi mai.

Quello che ho sentito e che sento
farà sbocciare il momento….

(*) Storico cileno

(1) Direttore del Dipartimento carcerario sotto il governo Allende

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)