AFRICOM: contro la Cina dal Mali
di Nazanín Armanian (*); da: rebelion.org; 29.1.2013
Un nuovo demonio dal volto umano da catturare – Mokhtar Belmokhtar, capo di Al Qaeda nel Magreb - nascosto in un territorio strategico da conquistare, il Mali.
Un po’ troppo simile alla favola di “Bin Laden in Afganistan”!!!
Curiosamente, questo “pericolosissimo” gruppo non aveva mai attentato prima agli interessi occidentali: si dedicava al sequestro, al saccheggio e al contrabbando. Ora fornirà il pretesto perfetto ai nuovi conquistatori del Mali per militarizzare il Sahel, le cui genti sofferenti stavano già lottando contro una gravissima carestia.
Cola la falsa scusa della “lotta al terrorismo”, la spettacolare aggressione militare della Francia, progettata dal Pentagono, ha obiettivi più seri che vincere quattro integralisti che tagliano le mani. Questo lo fa anche la super-alleata Arabia Saudita ed è ciò che progettano di fare gli adepti di Al Qaeda che, grazie alla NATO, governano la “nuova e democratica Libia”. Charles De Gaulle diceva che “la Francia non ha amici, ma solo interessi”. E il fatto è che l’uranio di questa regione rifornisce le 54 centrali nucleari francesi, e là la Cina si presenta come un pericoloso rivale.
Gli Stati Uniti, i loro alleati europei e la Cina combattono una dura battaglia, anche se con strategie diverse, per espandere la loro influenza in Africa e assicurarsi l’accesso alle sue risorse e ai suoi mercati. Questo nuovo giro di guerre inizia quando la Cina mette i piedi nella zona di influenza delle potenze occidentali e la trasforma nella sua “profondità strategica”.
Il Mali, dopo la Costa d’Avorio, il Sudan (dopo la spartizione del Sudan) e la Libia (Libia: un perfetto affare di guerra), è il quarto paese africano invaso dopo la creazione, nel 2007, dell’AFRICOM, il Comando Statunitense per l’Africa, il cui obiettivo è contenere la crescente presenza della Cina e soffocare le lotte di liberazione dei popoli africani. Le sue pratiche sono simili a quelle che gli Stati Uniti applicavano in America Latina nel decennio ’70 e ’80: cospirare, sequestrare, torturare ….
L’occupazione militare, il ritorno alla dimensione più sinistra del colonialismo, si deve soprattutto alla fragilità dei governi corrotti e incompetenti vicini all’Occidente. Così sarà garantito l’accesso duraturo alle immense risorse naturali del continente. La “colonizzazione blanda” che la Cina pratica è un nuovo obiettivo che offre a questi governi irresistibili vantaggi competitivi: le loro materie prime in cambio di donazioni, prestiti a basso interesse e costruzione di infrastrutture.
Con questo metodo la Cina è diventata, a partire dal 2009, il primo socio commerciale dell’Africa.
In Mali operano una ventina di società cinesi. In tutta l’Africa sono presenti circa un milione di cittadini cinesi, che fanno le stesse cose degli occidentali, ma senza sparare.
Già il Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), celebrato a Pechino nel 2000 e a cui parteciparono cinquanta capi di Stato del continente, aveva fatto innervosire Washington. Là furono stipulati accordi miliardari e investimenti per il progresso delle regioni depresse. Da allora, i prestiti che la Cina ha offerto al’Africa sono stati più grandi e più vantaggiosi di quelli della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, degli USA e dell’Europa.
Insieme agli altri paesi chiamati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), Pechino progetta di creare una banca d sviluppo per il continente, mettendo così in discussione le politiche del FMI e della Banca Mondiale.
Lo fa con i bilioni di dollari del debito pubblico degli Stati Uniti che custodisce nelle sue casse?
Troppi, e troppo vitali, interessi perché si possa evitare uno scontro armato.
La Cina è entrata in quella che era la zone di influenza europea. Dopo che gli Stati Uniti l’hanno obbligata ad andarsene dall’Iraq, dal Sudan e dalla Libia – i suoi fornitori di petrolio – e hanno ridotto i suoi acquisti di petrolio iraniano con le sanzioni dell’ONU, la Cina ha trasformato l’Africa nella sua “profondità strategica”.
L’AFRICOM progetta di installare un quartier generale centrale con succursali in tutto il continente, in cui gli antichi colonialisti – Francia, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna – avranno responsabilità e benefici, il che contrasta col fatto che il gigante asiatico manca di basi militari fuori dal suo paese. Mantenere l’egemonia mondiale costa: gli Stati Uniti hanno aumentato il bilancio del Pentagono da 267.000 milioni di dollari del 2000 ai 708.200 milioni del 2011.
Negli anni ’90 gli Stati Uniti lottavano contro la Francia in Congo - con una guerra “delegata” alle tribù e senza spargere il sangue dell’uomo bianco – per impadronirsi dei suoi diamanti, del coltran e del cobalto, tra gli altri minerali strategici, e con i 1.000 milioni di dollari che il suo oro produceva ogni anno. Per questo massacrarono centinaia di migliaia di congolesi.
Nel 2008 l’incubo degli Stati Uniti ha preso tratti somatici asiatici: la Cina aveva firmato accordi con il presidente Joseph Kabila per un valore di 9.000 milioni di dollari con i quali avrebbe pagato strade, ferrovie, ospedali e acquedotti in cambio della partecipazione nell’affare del rame e del coltan, che viene esportato in Cina per essere lavorato.
Oggi la Cina importa 2 milioni di barili di petrolio al giorno dal Sudan, dall’Angola e dal Congo, il 30% delle sue importazioni totali; anche un quarto del petrolio e delle materie prime consumate dagli Stati Uniti provengono da questi territori.
Nell’ultimo decennio la Cina ha investito 15.000 milioni di dollari in Africa ed è diventata il suo primo partner commerciale. Dal 2006 il commercio tra Cina e Africa si è triplicato. Le compagnie occidentali perdono i contratti e i mercati finanziari perdono i crediti che gli africano chiedevano per ottenere fondi dalle istituzioni finanziarie.
L’alternativa che Pechino offre è attraente per i governanti africani, anche se non per i cittadini, che vedono esaurirsi le loro materie prime in cambio di tecnologia e prodotti a volte di bassa qualità. E’ una relazione squilibrata e insostenibile, anche se non ha danneggiato l’immagine degli asiatici né ha provocato risentimenti.
La Cina sale e gli Stati Uniti continuano ad utilizzare l’inutile strategia della tensione, che porta benefici solo ad uno dei principali pilastri della sua economia: l’industria militare.
(*) Scrittrice, ricercatrice, giornalista iraniano-spagnola.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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