Avvoltoi in volo sull’Africa
di Daniela Trollio (*)
La povertà dell’uomo è il risultato della ricchezza della Terra: questo è il titolo del 1° capitolo del più famoso libro di Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina.
Ma tutto il mondo è paese, e questo vale – oltre che per altre nazioni – anche per il Mali, ultimo stato in ordine di tempo aggredito dall’imperialismo.
Il Mali, un paese di 1.240.000 km quadrati (quasi il doppio della Francia, capofila degli aggressori), è -sfortunatamente per i suoi poverissimi abitanti – un paese ricchissimo di risorse naturali, soprattutto energetiche e minerali.
Un’occhiata alle sue risorse può già darci un’idea del perché, proprio ora che la crisi devasta l’Europa e il resto del mondo occidentale, l’imperialismo – e non solo quello francese visto che i supporti logistici vengono forniti dagli Stati Uniti e anche l’Italietta di Mario Monti sgomita per partecipare – sceglie di intraprendere una nuova, disastrosa sia per la popolazione maliana che per quella europea, guerra di rapina.
I dati che seguono sulle risorse naturali del Mali sono tratti da un articolo di di R. Teichman pubblicato da Global Research, e non hanno bisogno di commenti.
Oro: il Mali è il terzo produttore di oro dell’Africa ed è famoso per la sua produzione sin dai giorni del grande impero maliano e del pellegrinaggio alla Mecca nel 1324 dell’imperatore Kankou Moussa, che portava nella sua carovana più di 8 tonnellate di oro!
Per questo il Mali è stato, tradizionalmente, un paese minerario per più di 500 anni.
Il Mali ha, attualmente, 7 miniere operanti di oro, che includono Kalana e Morila nel sud del paese; Yatela, Sadiola e Loulo nel Mali occidentale e miniere che hanno da poco ricominciato la produzione, in particolare Syama e Tabakoto. I progetti avanzati di prospezione dell’oro comprendono i siti di Kofi, Kodieran, Gounkoto, Komana, Banankoro, Kobada e Nampala.
Uranio:. Il potenziale della produzione si trova in un’area che copre circa 150 km. quadrati nella conca di di Falea-Nord di Guinea. Si ritiene che tale potenziale sia di 5.000 tonnellate. Il Progetto Kydal, nella parte nord-orientale del Mali con un’area di 19.930 km. quadrati, copre una grande provincia geologica cristallina conosciuta con il nome di Adrar Des Iforas. Si pensa che – solo nel deposito di Samit, regione di Gao – il potenziale di uranio sia di 200 tonnellate.
Diamanti: nella regione amministrativa di Kayes (regione mineraria n. 1) sono stati scoperti 30 tipi di rocce di kimberlite (roccia “madre” all’interno della quale si formano diamanti,). Tracce dell’esistenza di diamanti sono state trovate nella regione amministrativa di Sikasso (sud).
Pietre preziose: Circolo di Nioro e Bafoulabe: granati e minerali magnetici rari;Circolo di Bougouni e Conca di Faleme: minerali di pegmatite; Le Gourma: granati e corindoni; L’Adrar des Ilforas: pegmatite e minerali metamorfosati; Zona di Hombori e Douentza: quarzo e carbonati.
Minerali di ferro, bauxite e manganese: in Mali sono presenti importanti risorse di questo tipo ma ancora non sono sfruttate. Secondo i calcoli il Mali ha più di 2 milioni di tonnellate di potenziali riserve di minerali di ferro ubicati nelle aree di Djidian-Kenieba, Diamou e Bale. Si ritiene che le riserve di bauxite arrivino a 1,2 milioni di tonnellate a Kita, Kenieba, Diamou e Bale.
Sono state trovate tracce di manganese a Bafing Makana, Tondibi e Tassiga.
Depositi di roccia calcarea: stimati in 10 milioni di tonnellate a Gangotery; 30 milioni di tonnellate ad Astro e a Bah El Heri (a nord di Goundam) 2,2 milioni di tonnellate.
Rame: potenziali depositi a Bafing Makan (Regione Occidentale) e a Ouatagouna (Regione del Nord).
Marmo: a Selinkegny (Bafoulabe) sono stimati 10,6 milioni di tonnellate e vi sono indizi di presenza del minerale a Madibaya.
Gesso: a Taoudenit 35 milioni di tonnellate e a Indice Kereit (a nord di Tessalit) 0,37 milioni di tonnellate.
Caolino: riserve potenziali stimate in 1 milione di tonnellate a Gao (Regione del Nord).
Fosfati: Riserva di Tamaguilelt, produzione di 18.000 tonnellate annue e un potenziale stimato di 12 milioni di tonnellate. Vi sono altri quattro depositi potenziali nel nord, stimati in circa 10 milioni di tonnellate.
Piombo e zinco: 1,7 milioni di tonnellate di riserve stimate a Tessalit nella Regione Nord e indizi di presenza del minerale a Bafing Makana (Regione Occidentale) e a Fafa (Nord del mali).
Litio: indicazioni della presenza del minerale e un potenziale stimato in 4 milioni di tonnellate a Bougouni (Regione del Sud).
Scisto bituminoso: un potenziale stimato in 870 milioni di tonnellate nelle località di Agamor e Almoustrat, nella Regione del Nord.
Lignite: potenziale stimato in 1,3 milioni di tonnellate nella località di Bourem (Regione del Nord).
Sale di roccia: potenziale stimato in 53 milioni di tonnellate a Taoudenni (Regione del Nord).
Diatomite: potenziale stimato di 65 milioni di tonnellate a Douna Behri (Regione del Nord).
Il potenziale di petrolio del Mali attrae già da tempo il significativo interesse degli investitori.
Tale potenziale è documentato fin dagli anni ’70, quando alcuni movimenti tellurici sporadici e alcune prospezioni rivelarono segnali dell’esistenza di giacimenti di petrolio.
Con l’aumento globale dei prezzi del petrolio e del gas il Mali ha aumentato prospezioni, ricerche, sfruttamento, produzione e potenziali esportazioni di petrolio.
Il paese potrebbe anche rappresentare una rotta strategica di trasporto per le esportazioni di petrolio e gas del sub-Sahara verso il mondo occidentale e vi è la possibilità di connettere la conca di Taoudeni con il mercato europeo attraverso l’Algeria.
E’ già cominciato il lavoro di interpretazione dei dati geofisici e geologici raccolti in precedenza, che si concentrano in cinque conche sedimentarie nel nord del paese, cioè a Taoudeni, Tamesna, Ilumenden, Ditch Nara y Gao.
Noi aggiungiamo solo che l’imperialismo francese ha un interesse diretto e concretissimo sull’uranio, visto che la produzione di energia del paese si basa sulle 54 centrali atomiche che hanno costante bisogno di combustibile, che proviene in massima parte da questa regione. Questo spiega, forse, perché la Francia sia piombata come un avvoltoio per prima sul Mali. E spiega anche il coinvolgimento dell’Algeria, che chiede una soluzione diplomatica del conflitto invece di quella militare, con il sanguinoso sequestro dei 37 ostaggi stranieri.
Il copione è sempre lo stesso. Se i problemi sono urgenti ed i governi in carica troppo corrotti o troppo deboli per assicurare la difesa degli interessi imperialistici occidentali, ecco l’apparizione di un “pericolosissimo” gruppo terroristico - preferibilmente islamico dopo l’11 settembre - di cui non si era mai sentito parlare prima.
E’ il caso di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) che, prima di entrare in contatto con la guerriglia tuareg (tuareg che si sono affrettati a sconfessarla dopo qualche mese) , non aveva mai attentato prima contro gli interessi occidentali, dedicandosi al sequestro, al saccheggio e al contrabbando. C’è anche un capo, Mokhtar Belmokhtar, che si dice nascosto in Mali e che va catturato. E naturalmente i terroristi distruggono mausolei e vestigia storiche, come pare abbiano fatto a Timbuctu, l’antichissima capitale del Regno del Mali.
Tutto questo è già stato usato nell’Afganistan di Bin Laden, nell’Iraq di Saddam Hussein e ora ci viene ri-cucinato senza vergogna.
Che poi l’occidente imperialista finanzi, armi e sostenga, ad esempio, gli estremisti islamici che sono stati messi al potere in Iraq o in Libia; che l’imperialismo occidentale stia appoggiando con tutti i mezzi gli stessi estremisti per rovesciare il governo di Assad in Siria, fa sorgere, più che il sospetto, la certezza che gli islamici “buoni” siano sempre quelli che rispondono agli interessi imperialisti e quelli “cattivi” siano coloro che vi si oppongono.
Nel corso degli ultimi 50 anni della nostra storia, i partiti e le organizzazioni di “sinistra” giocavano il ruolo di coscienza critica, di smascheramento della rapina imperialista. Da tempo non è più così. Le grandi manifestazioni di denuncia contro l’invasione dell’Iraq e dell’Afganistan sono state le ultime avvenute in Europa. Partiti e organizzazioni di “sinistra”, a volte persino chi si definisce rivoluzionario o anticapitalista, sono quelli che in prima fila hanno sostenuto e sostengono i massacri. Ricordiamoci sempre che la ripugnante menzogna della guerra “umanitaria” ci è stata rifilata, in occasione dello smembramento della ex Yugoslavia, proprio dal governo di “sinistra” di D’Alema, lo stesso che ci avvertì che il “posto fisso” per i lavoratori era ormai fuori dalla storia. E che, a eterna vergogna del movimento sindacale, il segretario della CGIL Cofferati definì la stessa guerra una “contingente necessità”. Necessità per chi? Non certo per i popoli e il proletariato, ma da lì è partito – sul fronte interno - l’attacco senza precedenti, in Europa, ai nostri diritti, alle nostre condizioni di vita e di lavoro, al nostro futuro.
Ma torniamo al Mali, che è il quarto paese africano aggredito, dopo la Costa d’Avorio, il Sudan con la sua spartizione e la Libia dal 2007. In quell’anno venne costituito l’AFRICOM, il Comando Statunitense per l’Africa. Come mai questo improvviso, profondo, interesse dell’impero per il Continente Nero? In quel periodo si stava affacciando un nuovo, temibile, nemico: non certo l’estremismo islamico, creato a tavolino nelle segrete stanze di Washington per cacciare l’Unione Sovietica dall’Afganistan (anche questa è orai storia), ma il peso sempre più crescente della Cina.
Dal 2009 la Cina è diventata il primo partner commerciale dell’Africa. Ha assunto questo ruolo offrendo notevoli vantaggi ai governi africani coinvolti: le loro materie prime in cambio di prestiti a basso interesse - ben più vantaggiosi di quelli delle istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale – donazioni, acquisto di terre incolte e dei raccolti con anni di anticipo, donazioni e costruzione di infrastrutture. In Mali operano una ventina di società cinesi e in tutta l’Africa vi sono circa 1 milione di cittadini cinesi al lavoro.
Sempre di spoliazione dei popoli e delle loro risorse si tratta ma, non possedendo il potenziale militare USA ed europeo, questa è la strada scelta dal gigante asiatico. Del resto la Cina possiede la metà circa del debito pubblico non solo statunitense ma anche europeo. Insieme al gruppo degli altri paesi detti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), la Cina sta progettando di creare una banca di sviluppo per il continente, mettendo così in serio pericolo il potere finanziario occidentale. E’ la stessa strada scelta, con ben altre finalità naturalmente, dai paesi del Sud America che hanno costruito l’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America).
Strada che fa tremare i polsi a Washington e a Bruxelles.
Così è molto più chiaro cosa sta succedendo oggi in Mali e perché, un’altra volta, piovono le bombe su popoli colpevoli solo di vivere in terre ricche, ricchissime, di materie prime che fanno gola all’imperialismo.
E noi, cosa possiamo fare? Senza un’organizzazione, senza un partito, è sicuramente difficile, ma qualcosa possiamo fare.
Riprendere, se mai l’abbiamo lasciata, la denuncia e la lotta alle politiche e, soprattutto all’essenza dell’imperialismo, legandola sempre a quanto succede sul nostro fronte, all’imbarbarimento delle nostre società così “democratiche” in cui non possiamo più neppure lavorare, studiare, curarci.
In ogni luogo di lavoro, in ogni casa, in ogni strada dobbiamo denunciare, e organizzarci per lottare, perché IL NEMICO E’ IN CASA NOSTRA E SI CHIAMA CAPITALISMO.
(Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni (MI)
E-mail: cip.mi@tiscali.it
web: http://ciptagarelli.jimdo.com
Dalla rivista “nuova unità”
Scrivi commento