GRILLO E LA PRESA DEL PALAZZO
di Michele Michelino (*)
Cambiare rappresentanti politici per dare continuità al capitalismo e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è da sempre una caratteristica del potere economico. In un sistema screditato da scandali e ruberie varie, per i poteri forti della borghesia imperialista cambiare è utile e necessario per far riacquistare credibilità a tale sistema, che vive e prospera sulla miseria di milioni di esseri umani. Razionalizzare il regime per migliorarlo, eliminando i lacci e laccioli che impediscono il più rapido accumulo di capitale, è da sempre funzionale alla logica del profitto.
La crisi economica, politica, sociale, se da un lato ha accelerato la lotta fra il capitale finanziario e speculativo, quello industriale e la rendita fondiaria parassitaria, dall’altra ha accelerato il processo di proletarizzazione della piccola borghesia, il cosiddetto “ceto medio” che, sempre più impoverito, cerca nuove referenti politici.
La lotta fra i vari rappresentanti politici della borghesia imperialista, europea e americana, fra Monti, il centrosinistra di Bersani-Vendola e il centrodestra di Berlusconi per la spartizione del bottino rappresentato dal governo (vero comitato d’affari della borghesia) e dalle istituzioni economiche e politiche diventa sempre più cruenta.
La lotta di classe del proletariato che si acuisce nel paese, nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nella società è invece assente dalle aule parlamentari in cui il proletariato non è rappresentato.
Sempre meno elettori si riconoscono in questo sistema dei partiti. Gli astenuti per la Camera in Italia, rispetto alle ultime elezioni politiche del 2008, sono aumentati di 2,1 milioni (da 9,5 milioni del 2008 a 11,6 milioni del 2013).
Il M5S-Grillo (lista non presente alle precedenti elezioni del 2008) - che è diventato il primo partito con 8,7 milioni di voti (25,5% dei voti) e con una nutrita squadra di parlamentari (109 alla Camera e 54 al Senato) – non ha pescato fra i disillusi del voto ma ha rubato voti agli incazzati e ai delusi degli altri schieramenti.
Il successo di Grillo - che con il suo partito interclassista riesce a incanalare la protesta di destra e sinistra - e il fallimento della lista Ingroia e dei partiti pseudo “comunisti” e guerrafondai di Ferrero e Diliberto che finora hanno ostacolato una vera opposizione di classe, pongono serie considerazioni a tutti gli antimperialisti e anticapitalisti.
L’emancipazione e la liberazione proletaria da uno stato di soggezione economica, politica, morale, intellettuale non la può regalare nessuno ed è diversa da quella vissuta e percepita da altre classi sociali.
L’emancipazione della classe operaia non si manifesta semplicemente nel mandare a casa tutta la vecchia classe politica, sostituendola nelle istituzioni borghesi con nuovo personale politico.
La storia non si ripete, anche se a volte presenta molte analogie. L’esperienza del PCI, quella recente del Partito di Rifondazione Comunista, del Partito dei Comunisti Italiani, dei Verdi, al governo con Prodi insieme agli intellettuali piccoli borghesi della loro corte ha dimostrato che si possono cambiare le formule e gli schieramenti politici, cambiare il vecchio con il nuovo personale politico, economico, intellettuale, salvaguardando e rappresentando comunque la continuità del sistema capitalista.
Per il proletariato, la liberazione dallo sfruttamento si pone in modo del tutto diverso da quello delle precedenti classi oppresse e sfruttate nel corso della storia. La classe operaia non ha bisogno di conquistare scranni parlamentari e sedie nelle istituzioni dei padroni, né di delegare a “salvatori della patria” i suoi diritti e interessi.
Il potere politico, qualsiasi potere politico, non è altro che il potere di una classe su un’altra. Può cambiare la forma di governo, ma il potere politico altro non è che il potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra. La dittatura di classe della borghesia può assumere forme molto diverse, ma nella sostanza difende gli interessi del capitale e del suo sistema di sfruttamento.
Se oggi la classe operaia e i lavoratori vogliono uscire dalla crisi senza continuare a pagarne le conseguenze non possono far altro che continuare a lottare contro la borghesia e gli speculatori internazionali, ponendosi però il problema della conquista del potere politico.
Se il proletariato, nella sua lotta contro la borghesia imperialista, si limita a lottare solo contro alcuni aspetti, non fa altro che aiutare chi vuole cambiare padrone lasciando inalterata la sua posizione di schiavo.
Solo se si costituisce in classe e, per mezzo di una vera rivoluzione, trasforma se stesso in classe dominante distruggendo i vecchi rapporti di produzione che continuano a riprodurre gli operai come schiavi salariati e i borghesi come padroni, allora e solo allora la sua situazione può cambiare.
L’abolizione delle differenze di classe, dei privilegi di tutte le caste politiche sindacali ed economiche è possibile solo intervenendo nel profondo: abolendo tutti i rapporti di produzione che le generano e le relazioni sociali corrispondenti.
E’ inaccettabile che, mentre aumenta la miseria delle masse popolari, i padroni e i manager intaschino milioni di euro l’anno e che l’amministratore delegato della Fiat Marchionne ogni anno “guadagni” 1037 volte più di un suo dipendente medio.
La lotta per la liberazione proletaria non si limita a mandare a casa i “disonesti e i ladri” sostituendoli semplicemente con gli “onesti”, non si accontenta di entrare nel palazzo del potere borghese, ma lotta per distruggerlo insieme al suo sistema di sfruttamento. E’ una lotta per un’altra visione del mondo, un’altra organizzazione della società basata sulla democrazia diretta. Una società socialista in cui ci sia l’obbligo per tutti di lavorare secondo le proprie capacità e il diritto eguale per tutti i lavoratori di essere retribuiti secondo il proprio lavoro (e in questo caso anche la proposta di 5000 euro lordi ai parlamentari, visti tutti i privilegi di cui godono, sono troppi e andrebbero dimezzati e portati a un salario pari a quello di un operaio).
La vera rivoluzione è quella che si pone come obiettivo la distruzione dello stato borghese e la creazione di un nuovo stato, in cui gli operai e i lavoratori che creano la ricchezza del paese siano essi stessi gli artefici del loro destino. Un nuovo sistema sociale in cui non si produce per il profitto ma per soddisfare i bisogni degli esseri umani. Un sistema che mette al bando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, le guerre, la fame, la sete e che condanna chi si arricchisce sulla miseria degli esseri umani come un criminale contro l’umanità.
Uno stato operaio fondato su nuove istituzioni proletarie perché pensiamo ancora - come Carlo Marx - che la classe operaia, liberandosi dalle catene dello sfruttamento capitalista, è l’unica classe “che emancipando se stessa emancipa l‘intera umanità”.
Per fare questo, oggi più che mai, serve che gli operai e i proletari coscienti, i rivoluzionari, si organizzino in un partito operaio, proletario e rivoluzionario che abbia nel suo programma l’abolizione dello sfruttamento capitalista, della proprietà privata del capitale sui mezzi di produzione e l’instaurazione di un sistema socialista.
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” Via Magenta 88 Sesto San Giovanni (Mi)
Email: cip.mi@tiscali.it
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