Il passaggio dal sogno all’incubo per i popoli dell’Unione Europea
di Alberto Rabilotta (*)
Con l’imposizione del “diktat” della Troika a Cipro, l’Unione Europea ha sciolto i pochi dubbi che esistevano su chi dirige e su chi gode i benefici della politica di mantenimento dell’unione monetaria.
Neppure durante il salvataggio del debito greco o spagnolo, per citare due casi, le critiche di economisti e politici all’Unione Europea (UE) e alla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) sono state unanimi sulla questione di fondo, il ruolo egemonico che gioca la Germania, come nel caso di Cipro.
L’euro o la vita?
Su giornali, portali e blogs, molti economisti negli Stati Uniti e in Europa vedono la “soluzione” alla crisi di Cipro applicata dalla Troika come un passo fatto dalla UE verso la sua distruzione.
“La lezione di Cipro è che l’Europa è politicamente in bancarotta (…) Durante la scorsa settimana l’Europa o, meglio, i leaders della UE, hanno fatto a se stessi un danno che non potranno più riparare” (theautomaticearth.com, 26 de marzo 2013).
“Cipro deve uscire dall’euro. Adesso. La ragione è presto detta: continuare nell’euro significa una incredibilmente severa depressione che durerà lunghi anni mentre (Cipro) cerca di creare un nuovo settore di esportazione. Abbandonare l’euro, e lasciare che la nuova moneta si svaluti, darà una grande accelerazione a questa ricostruzione” (Paúl Krugman, The New York Times).
“I buoni, i cattivi e l’incredibilmente brutto (aspetti dell’accordo su Cipro): L’accordo della Troika ha introdotto la più allarmante delle dimensioni, la fine definitiva di qualsiasi speranza di una genuina unione bancaria di tutta l’eurozona” (Yanis Varoufakis, economista greco).
“Cipro scopre che non tutte le nazioni sono uguali” e che “la preminenza appartiene agli interessi della più grande nazione dell’eurozona” (Christopher Pissarides, premio Nobel per l’economia e consigliere del Presidente di Cipro, Financial Time, 28.3.2013)
Fate quello che dico, non quello che faccio
Non vi è alcun dubbio che il Nobel Pissarides abbia ragione. Queste grandi nazioni dell’eurozona, con le loro grandi banche che hanno speculato e hanno guadagnato con i salvataggi della BCE, sono quelle che ora stanno negoziando un accordo di libero commercio UE-Canada che l’agenzia Canadian Press (CP) analizza a partire da una bozza dei negoziati (Weaker bank rules part of Canada-EU trade talks, 27.2.2013
La bozza citata da CP mette in chiaro che il tanto famoso sistema bancario canadese – l’unico dei 7 paesi del G7 che ha resistito alla crisi dei “subprime” perché non è crollato il “muro” che separa le attività di deposito dalle operazioni a rischio, e perché si è mantenuto un sistema di supervisione molto efficace – è sul tavolo dei negoziati perché “la UE non vuole escludere i servizi finanziari dall’ambito delle esigenze di disimpegno”. Detto in parole più semplici, le banche della UE vogliono stare dove si possono fare profitti più rapidamente e più facilmente.
Il Canada, secondo la Canadian Press, sta resistendo alle intenzioni della UE di indebolire la supervisione delle istituzioni finanziarie che ha salvato le banche canadesi dalla crisi e per questo ha adottato una strategia di cautela. Ottawa permetterà di aprire il suo mercato finanziario alla UE solo se le autorità canadesi conserveranno il potere di bloccare le attività affaristiche che mettessero a rischio il sistema finanziario. Però, aggiunge il rapporto, la cautela canadese si sta scontrando con l’aggressiva spinta europea (quella dei centri finanziari in Germania, Gran Bretagna, Francia e Olanda, tra gli altri) che cerca di ottenere la protezione totale per i suoi investitori.
Detto in parole che tutti possiamo capire, le “nazioni forti” dell’UE vogliono demolire in tutto o in parte le salvaguardie e la supervisione che sono la forza del sistema bancario canadese, per fare incursione senza controlli nelle attività finanziarie a rischio, con gli investitori europei protetti da qualsiasi sanzione o reazione da parte delle autorità e degli interessi canadesi.
La periferia controllata dai ceppi del debito
Per questo non desta sorpresa ciò che ha scritto il giornalista tedesco Jakob Augstein sul fatto che “il dramma di Cipro ha messo in chiaro che la crisi nella zona euro (ZE) si sta sviluppando come una lotta sull’egemonia tedesca in Europa. In superficie, Angela Merkel e il suo ministro delle Fianze Wolfan Schauble sembrano star lavorando per stabilizzare l’economia. In realtà stanno legando le altre nazioni con i ceppi del debito” (Der Spiegel, 25 marzo 2013).
Augstein cita l’antropologo statunitense David Graeber, che nel suo libro “Debt: The First 5,000 Years” (Debito: i primi 5.000 anni) segnala che, se la storia mostra qualcosa, è che “non vi è miglior modo di giustificare relazioni basate sulla violenza, e far sì che queste relazioni sembri morali, che riposizionarle in un linguaggio di debito, soprattutto perché questo fa immediatamente supporre che le vittime stessero facendo qualcosa di sbagliato”.
Persino il ministro delle Relazioni Estere del Lussemburgo, Jean Asselbom, ha criticato la Germania per “cercare l’egemonia dell’eurozona” e, già che c’era, ha messo in discussione la critica del “modello degli affari” di Cipro (simile a quello del Lussemburgo, perché la Germania non deve, “con la copertura di tecnicismi finanziari”, “strangolare i modelli economici” di altri paesi.
Asselbom ha sottolineato che i paesi grandi come Germania, Francia e Gran Bretagna, non possono sostenere che solo i loro centri finanziari sono necessari e che si deve farla finita con quelli situati in altri paesi (Reuters, 28.3.2013).
Senza dubbio al ministro Asselbom non è piaciuto quanto il ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici, ha detto a chi lo criticava per non aver dato il suo assenso alla politica applicata a Cipro: “a tutti quelli che dicono che stiamo strangolando un intero popolo…. Cipro è un’economia/casinò che era sull’orlo della bancarotta”.
L’economista cipriota Christopher Pissarides, nel suo articolo sul Financial Times (28.3.2013) rifiuta la definizione di Cipro come economia/casinò e ricorda che, dopo l’invasione della Turchia del 1971, Cipro perse la maggior parte della sua base agricola e industriale e che allora si decise di fare dei servizi per gli affari e per il turismo il principale settore di esportazione, per attrarre capitali dal Medio Oriente, dalla UE e dalla Russia mediante accordi sul doppio regime fiscale, politiche di immigrazione favorevoli e basse imposte per le imprese.
Premio Nobel 2010 e dallo scorso gennaio consigliere del presidente di Cipro, Pissarides afferma che per la Troika il “problema” è che i grandi depositi bancari arrivati a Cipro hanno gonfiato il settore bancario fino a dimensioni “insostenibili”, circa 8 volte il PIL. Ma questa proporzione – sottolinea l’economista – continua ad essere inferiore a quella del Lussemburgo e non molto diversa da quelle di Malta e dell’Irlanda.
Egli segnala anche che il piano della Troika parte da quanto affermato dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfan Schauble, sul fatto che “questo modello di affari è insostenibile” e che il sistema bancario cipriota deve ridursi del 50, 60% nei prossimi cinque anni.
Pissarides sottolinea che la Troika non ha perso l’occasione ed ha liquidato le due grandi banche di Cipro, la Laiki Bank e la Banca di Cipro, che avevano investito molto in titoli sovrani della Grecia e avevano bisogno di capitali per continuare ad operare, e afferma che “è lì dove il processo decisionale della Troika diventa sconcertante e la visione dei ‘padri fondatori’ della moneta unica diventa una burla”.
Per l’economista Yanis Varoufakis – nella sua analisi intitolata “Il buono, il cattivo e l’estremamente brutto (aspetti dell’accordo di Cipro”) – è bene che il costo dei fatui banchieri ciprioti sia stato attribuito ai depositanti che si sono assunti il rischio, ma non ci si dovrà sorprendere se questo episodio di Cipro, che è durato una settimana, finirà registrato negli annali della storia come il punto principale di svolta: come il momento nella storia in cui l’Europa ha oltrepassato la barriera di ciò che è accettabile.
Varoufakis ricorda che il nuovo presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha detto in termini molto chiari che l’accordo con Cipro apriva la strada perché i prossimi accordi di salvataggio siano tali che la UE “non avrà neppure il bisogno di considerare la ricapitalizzazione diretta” delle banche che crollano, il che – puntualizza l’economista – costituisce la sentenza di morte tanto degli accordi di ricapitalizzazione diretta raggiunti nella UE nel giugno 2012 quanto di qualsiasi unione bancaria che abbia un senso. “Il messaggio è chiaro: ognuno per conto suo!”, e Varoufakis aggiunge che si seppelliscono anche i piani per usare le facilitazioni della BCE per “scollegare le banche dalla crisi del debito pubblico”.
Per l’economista greco, la combinazione di: a) negazione della necessità di consolidare il debito pubblico, b) il deragliamento di qualsiasi unione bancaria che abbia un senso e c) la mano dura con cui Cipro è stata trattata la settimana scorsa, implica un nuovo e orribile stato delle relazioni in Europa.
Finora coloro che hanno appoggiato l’austerità e il modo in cui la Germania gestiva la crisi della Zona Euro nei paesi deficitari (compresa la Francia) affermavano che bisognava seguire Berlino e Francoforte per ispirare sufficiente fiducia a chi controlla i cordoni della borsa (mostrare la volontà di ‘mettere in ordine casa’) prima che passassero dagli inevitabili euro titoli alla logica dell’unione bancaria e a ciò che era necessario per raggiungere una maggiore unione politica ed economica.
Ma quanto è stato applicato a Cipro, conclude Varoufakis, rivela l’errore di tale visione.
I popoli della periferia (Irlanda, Portogallo e anche Grecia e Italia), anche se non hanno gradito, hanno piegato la testa all’austerità e alla perdita delle leggi sul lavoro e sul welfare che li proteggevano e, nonostante questo, i poteri a Berlino e Francoforte continuano ad allontanarsi dai movimenti verso l’unificazione, adottano un crescente autoritarismo e politiche che dividono e spingono la Zona Euro esattamente nella direzione opposta a quella necessaria a ritrovare la propria sostenibilità politica ed economica.
Persino il giornalista Jean Quatremère, del giornale francese Libération, scrive che il governo di Berlino sembra incapace di controllare il suo enorme potere, e che se ai tempi di “Merkozy” (l’alleanza dell’ex presidente Nicolàs Sarkozy con la cancelliera Angela Merkel) sembrava che le decisioni fossero prese insieme, con il rifiuto dell’attuale presidente Francois Hollande di “appoggiarsi” alla Merkel, risulta chiaro cosa realmente sono le istituzioni europee: la foglia di fico che impedisce ai cittadini europei di vedere la volontà della Germania.
E aggiunge che la Germania ha deciso di risolvere la crisi dell’euro in base ai propri termini e che la pretesa superiorità della visione economica della Merkel sta portando al fatto che “la Germania perde tutti i suoi amici, anche se questi non sono ancora suoi nemici”.
Molti analisti ritengono che la ricetta usata con Cipro non abbia niente a che vedere con “salvare Cipro” bensì con la sua distruzione, sottolineando che non vi è il minimo dubbio che la posizione della Germania e dei suoi alleati sono la causa del “deficit democratico all’interno della UE”. Pissarides conclude il suo articolo affermando che per Cipro “il futuro è davvero cupo. Non è chiaro cosa ci cadrà addosso la prossima settimana, e neppure da dove arriverà”.
Il punto di rottura?
In termini politici quanto successo a Cipro, e le reazioni dei politici tedeschi e delle altre “grandi nazioni” della UE, ha già portato un cambiamento decisivo nella posizione politica del Partito della Sinistra (Parti de Gauche”) di Jean Luc Mélenchon, che per la prima volta ipotizza il tema della UE e dell’euro in termini di “rottura”.
Interrogato sulle misure urgenti da prendere , Mélenchon, ex candidato alla presidenza per il Fronte della Sinistra, ha detto al giornale L’Humanité :“al centro di tutto: condividere la ricchezza a favore del lavoro, effettuare la transizione ecologica del sistema produttivo. Per questo bisogna colpire il cuore dei problemi, l’Europa. Segnare una rottura su tre punti. Primo, la relazione franco-tedesca: completamente squilibrata, funziona solo come vantaggio esclusivo del capitalismo tedesco. Poi, l’euro. Noi abbiamo sempre difeso l’idea che la moneta unica poteva essere un punto di appoggio per una politica progressista, ma siamo arrivati al punto che in cui questo discorso è inoperante per l’ostinazione dei dirigenti europei. Infine, ‘l’arco mediterraneo’. Non è arrivato il momento di renderci conto che abbiamo un altro centro di gravità che non sia la Germania, all’altro lato del Mediterraneo?”.
Per l’agenzia Bloomberg, la “saga di Cipro” fornirà munizioni ai leaders populisti del sud Europa che vanno dicendo che alle élites politiche che gestiscono la crisi non importa un accidente dei risparmiatori ordinari.
L’Italia ha un sistema politico ingorgato, i votanti greci mostrano un crescente appoggio al partito Syryza che vuole rinegoziare i termini del programma di salvataggio della Grecia.
La Slovenia va dritto verso una richiesta di salvataggio e, secondo Carsten Brzeski, economista del gruppo ING a Bruxelles, la prova del fuoco sarà quando il problema di Cipro comincerà a danneggiare economie più importanti, come la Spagna e l’Italia.
Secondo il FMI, per rifinanziare il suo debito pubblico nel 2013, la Slovenia dovrà emettere obbligazioni per un valore di 3.000 milioni di euro, qualcosa di molto costoso per questo paese dato che il tasso di interesse su questi titoli è salito dal 4,5 al 6,4 % quale risultato del “salvataggio” cipriota.
Secondo l’economista Yves Smith (nakedcapitalism.com del 29.3.2013), il prossimo confronto sui salvataggi bancari e sulle riforme strutturali sarà in Slovenia: “E’una questione aperta la posizione che il nuovo governo di centro-sinistra (in Slovenia) adotterà in qualsiasi negoziato. La presidente Alemka Bratusek ha messo in chiaro che vuole dare priorità alla crescita, non alla riduzione del debito. Ma questo non quadra con le posizioni della Germania. La Slovenia e la Germania possono entrare in conflitto sulle riforme richieste alla Slovenia in cambio dell’assistenza. Se la Slovenia intende resistere alla troika, sicuramente troverà un forte rifiuto, com’è successo con Cipro. E altre dimostrazioni di forza non passeranno inavvertite in Italia e in Spagna”.
I “salvataggi” e le politiche di austerità che li accompagnano stanno causando veri e propri disastri sociali ed economici in un crescente numero di paesi della UE. Anche economie grandi come la Francia stanno andando verso la recessione per l’aumento della disoccupazione e la diminuzione dei consumi e della produzione industriale.
L’imposizione dell’egemonia tedesca sulla UE, un progetto in cui l’euro è la pedina chiave perchè ha concentrato il potere finanziario e ha portato l’indebitamento, che sta mettendo le manette un crescente numero di paesi, ha trasformato in incubo il passato sogno di una’Europa prospera con contenuti sociali.
(*) Economista e giornalista franco-canadese; da: alainet; 29.3.2013
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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